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 L'opinione
Antibiotici, un miele non piu' vergine
 
di Massimo Ilari
 
Il «nettare degli dei» non è più così immacolato. Alcune aziende utilizzano sostanze per curare gli alveari, ma nocive per la nostra salute. Il prodotto genuino però esiste ancora. Ecco dove trovarlo
 
Per anni abbiamo sentito dire che il miele è un prodotto naturale che arriva sulla tavola come le api lo producono. Poi d’improvviso i media avvertono: è un ricettacolo di sostanze chimiche indesiderate. E allora irrompono i sensi di colpa e le domande che creano ansia. Ma come, finora ho sbagliato? Farò bene a consumarlo e a consigliarlo agli amici? Posso ancora darlo ai miei figli? Sicuramente sì, perché nel nostro paese, per fortuna, ci sono tanti apicoltori seri che producono miele come natura «comanda», e delle sostanze di sintesi non sanno che farsene. Ma vediamo da dove è partito l’allarme. Una recente inchiesta pubblicata su Salutest (n. dicembre 2005, rivista dell'Associazione indipendente dei consumatori «Altroconsumo») ha evidenziato che su 19 prodotti presi in esame, 6 sono risultati positivi agli antibiotici e tre fra questi erano italiani in tutto e per tutto. Un duro colpo per il «nettare degli dei», come è chiamato dai suoi cultori il miele, visto che si era appena assopito l’allarme esploso in Europa nel 2002 per il miele cinese contaminato dal cloramfenicolo. «Un durissimo colpo per un consumo che da noi non decolla: le statistiche parlano di 300-350 g pro-capite l’anno, a fronte del chilogrammo che assumono greci e tedeschi e dei 650 g che rappresentano la media europea», informa l’Istat. E, aspetto da non sottovalutare, queste sostanze qualche insidia per la salute la nascondono. «Il cloramfenicolo è un antibiotico che in Europa è bandito da molti anni in quanto ne è stata appurata la nocività per l’uomo, si parla addirittura di genotossicità. Rintracciarne, come è accaduto, ancora a distanza di tre anni, significative dosi di residuo anche nella pappa reale importata dalla Cina è un fatto molto grave. Per questo dico che utilizzare la pappa reale italiana non è solo una questione di qualità migliore, ma significa evitare di assumere prodotti nocivi per la nostra salute», si è espressa con decisione Anna Gloria Sabatini, presidente dell’Istituto nazionale di apicoltura di Bologna. E dire che gli antibiotici nel miele non dovrebbero proprio esserci. Vediamone subito la ragione.

Naturale per legge
Secondo la definizione riportata nel Codex Alimentarius, ripresa anche dal decreto legislativo 179/2004, «il miele è il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie e lasciano maturare nei favi dell’alveare». È tutto chiaro stando a questa definizione: il miele va considerato il prodotto naturale per eccellenza. Purtroppo le cose, come abbiamo visto, non stanno proprio così. Andando a fondo, salta fuori una verità nascosta. «La peste americana causa dell’immissione degli antibiotici nell’alveare come le tetracicline, la streptomicina e i sulfamidici, è un male che da tempo tormenta l’apicoltura e i veri apicoltori, quelli sensibili alla qualità del miele, hanno da sempre insegnato a individuarla ed eliminarla, bruciando l’intera famiglia di api, per evitare la diffusione del batterio che si presenta in due forme, la spora (forma di resistenza) e la forma vegetativa. Vista la capacità delle spore di sopravvivere nell'ambiente dell’alveare per 35 anni e il fatto che non sono minimamente influenzate dai trattamenti con sostanze antibiotiche è da sottolineare come sia del tutto inutile impiegare antibiotici per il controllo della peste americana. Troppo spesso si dimentica che il ricorso a questi componenti può essere responsabile non solo della contaminazione del miele e di altri prodotti dell’alveare, ma anche della comparsa di fenomeni di antibiotico resistenza. Il fenomeno rende nel tempo gli antibiotici inattivi nei confronti dei batteri che si vogliono combattere in quanto questi sono divenuti resistenti. Come dire la peste continua a proliferare e non si dispiega la benché minima azione preventiva», dichiara con forza il dottor Franco Mutinelli, responsabile del Centro di referenza nazionale per l’apicoltura di Padova. Una condanna senza appello quella del dottor Mutinelli, che mette in primo piano i danni che potrebbero derivare all’uomo da un uso scriteriato degli antibiotici in apicoltura, considerando anche che questi ultimi sono sì ammessi in altri alimenti ma là dove capita la legge riconosce solo l’uso di formulati farmacologici riconosciuti e testati, cioè privi di conseguenze nocive. Non a caso il dottor Mutinelli aggiunge: «La farmaco resistenza è un problema emergente in modo rilevante in medicina umana e da questo ne deriva una sempre maggiore attenzione della Commissione Europea all’utilizzo dei farmaci, soprattutto di quelli destinati a specie animali che producono alimenti». Spesso la Commissione europea riscuote ampie critiche per le sue decisioni in campo alimentare ma per il comparto miele porta avanti, senz’altro, una politica rigorosa.

Trattamenti scriteriati
«La presenza di antibiotici nel miele dipende, dunque, da trattamenti farmacologici intenzionali e immotivati, non avallati da nessuna autorità, effettuati per combattere in modo scriteriato le malattie infettive delle api, come la cosiddetta peste americana. Tali trattamenti potrebbero essere effettuati soltanto con farmaci registrati e prescritti da un medico veterinario. Il problema? In Italia e negli altri 25 Stati membri, la registrazione di farmaci per le api è molto trascurata e quindi veterinari e allevatori si trovano in difficoltà per prevenire e curare le patologie che colpiscono le api. La mancanza di un farmaco registrato e testato determina che il Limite Massimo Residuale (Mrl) sia zero», puntualizza il dottor Agostino Macrì, dell’Istituto superiore di sanità (Iss). In parole povere, la presenza di antibiotici nel miele, pur essendo evitabile, deriva da trattamenti illegali e non è accettabile. La legge parla chiaro: lo stabilisce il regolamento europeo 2377/90. In attesa di controlli più stringenti e di una maggiore formazione dei produttori il ricorso agli antibiotici in apicoltura, per motivi produttivi, è un fatto ampiamente assodato. «Visto il quadro è del tutto fuori luogo rassicurare l’acquirente finale facendo distinzioni basate esclusivamente sull’origine nazionale del prodotto, lo scontato italiano è meglio, consigliando di consumare il miele italiano perché sicuramente più naturale e controllato. Queste sono raccomandazioni che potrebbero fare anche in Francia e in Romania. Un fatto è certo, per uscire da questa impasse occorre puntare l’indice contro i cattivi apicoltori che con le loro pratiche illecite creano danni a quelli «buoni» e al consumatore frodandolo. Apicoltori che con i loro comportamenti determinano un disastro commerciale, bloccando l’intero mercato nazionale. Io metterei sotto accusa quei produttori che comprano, a basso costo, miele in Cina, dove si ricorre ampiamente ad antibiotici vietati in Italia, spacciandolo per italiano. Consiglio a tutti di andare a cercare la provenienza del miele in etichetta. Altro discorso per la pappa reale che purtroppo non è protetta da nessuna normativa nazionale ed europea», dichiara la dottoressa Elena Venditti, portavoce dell’Unione nazionale consumatori. «Si può mangiare ancora miele buono, ci sono apicoltori che lavorano bene rispettando i consumatori e se stessi, fornendo un prodotto sano e di qualità. Sicuramente il settore andrebbe regolato meglio. A cominciare dalla tracciabilità del vasetto di miele che potrebbe essere già un valido strumento per i consumatori. Un punto di partenza visto che andrebbe fatto di più», puntualizza la ricercatrice Elena Bessi, dell’Aat - Advanced Analytical Technologies SRL di Piacenza.

L’alternativa bio
Un altro vantaggio potrebbe venire dal miele biologico: il regolamento vieta nella maniera più assoluta il ricorso agli antibiotici, come nel convenzionale, e a qualsiasi altra sostanza di sintesi chimica. La differenza è che per il biologico ci sono tecnici controllori che forniscono indicazioni agli apicoltori sul come comportarsi e che in più effettuano dei controlli. Un’ulteriore possibilità è quella di comprare direttamente dall’apicoltore di fiducia. Il punto di riferimento è il cosiddetto mercato corto e allora sale in primo piano il rapporto diretto con l’apicoltore onde evitare spiacevoli sorprese. Infine, comprare italiano: le nuove direttive in materia di etichettatura obbligano a dichiarare sulla confezione la provenienza del prodotto. Certamente, al di là delle contraddizioni emerse anche in casa nostra, ci sono più controlli in Italia che in molti Paesi del terzo Mondo (miele extracomunitario).
Una ultima considerazione. La strada maestra della qualità e della sanità (assenza di residui) del miele è imperniata sulla conoscenza, si dovrebbero formare con maggiore professionalità gli operatori di un settore di nicchia che è sempre stato lasciato in un angolo proprio perché si è fregiato dell’etichetta di prodotto naturale. Ma questo ha causato soltanto danni e bugie che ora tutto gli apicoltori stanno pagando.

Cloramfenicolo nelle api cinesi
Una pappa troppo reale
Non c’è solo l’allarme miele, anche la pappa reale, ampiamente utilizzata come integratore dai salutisti, nasconde non poche insidie. È recentemente scattato l’allarme sanitario comunitario (Rapid alert system for food and feed) su pappa reale trovata contaminata dal cloramfenicolo, un antibiotico genotossico. L’impiego di questo antibiotico negli alimenti è vietato e sospettato, tra l’altro, di avere connessioni con alcune forme tumorali. La pappa reale nella quale sono state rilevate tracce di cloramfenicolo è quella prodotta da paesi terzi e in particolare dalla Cina. La pappa reale cinese ha un prezzo assai inferiore rispetto a quella italiana sia per i costi di produzione notevolmente più bassi, sia per il fatto che le api, per mezzo del cloramfenicolo, vengono indotte a una innaturale iperproduzione. E non è tutto. Dato che la produzione nazionale riesce a soddisfare solo il 3 per cento delle richieste del mercato (fino ai 400 quintali l’anno), il mercato cinese, leader con un milione di chili prodotti ogni anno, diventa la fonte di approvvigionamento più utilizzata dai distributori. Il problema è che circa l’80 per cento di pappa reale che arriva dalla Cina è contaminata dal cloramfenicolo. Occorre anche ricordare che in Italia la pappa reale non è soggetta ad alcun obbligo di legge rispetto all’indicazione dell’origine, né ci sono norme che prescrivano garanzie particolari per i consumatori.
 
Tratto da Vita e Salute, maggio 2006
 
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Scritto in data 01/06/2006 da Massimo Ilari
 
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