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 Patologia
Le attività antimicrobiche del miele
 
di Gianni Savorelli
 
“Non sempre siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” cantava Shakespeare. Quasi sempre, invece, siamo fatti di quel che si mangia. E anche le api si ammalano per quello che assumono. Dunque, il modo in cui vivono e si alimentano le api è da curare a fondo. Gli sbagli si pagano
 
Le api, considerate a  livello individuale, hanno un sistema immunitario molto più fragile rispetto agli altri insetti individuali. Nella difesa dell’alveare dai patogeni puntano, perciò, molto sull’eliminazione dallo stesso delle singole api non sane, ma soprattutto sulla cosiddetta “immunità sociale”. Di che cosa si tratta? In parole povere, nella disinfezione di quanto prodotto nell’alveare, in maniera da far sì che le api stesse e la covata siano il meno possibile a contatto coi patogeni. Ovvero, eliminare i patogeni per evitare che, magari moltiplicati, arrivino a contatto con altre api che potrebbero esere più deboli. Il miele, la scienza lo afferma da tempo, ha considerevoli attività antibatteriche ad ampio spettro. A conferire questa capacità è la somma di diverse componenti, variabilmente presenti nel miele. Tali aspetti sono stati ben spiegati da una ricerca olandese pubblicata su The Faseb, Journal Published ondine, marzo 2010 dal titolo “How honey kills bacteria” di Kwakman, De Velde, De Boer, Speijer, Vandenbroucke-Grauls, Zaat.
E non finisce qui.
E’ nota da tantissimi anni la presenza nel miele di perossido di idrogeno; ma il perossido non bastava, da solo, a spiegare le consistenti capacità antimicrobiche del miele. Più recentemente, nel miele neozelandese di manuka (Leptospermum scoparium), un miele la cui capacità antibatterica è assai elevata, sono state rinvenute concentrazioni considerevoli di methylglyoxal (Mgo) che ha, appunto, una spiccata azione antibatterica.
Neppure ciò, però, spiegava appieno la natura antibatterica del miele.
Nello studio sopraccitato, i ricercatori olandesi affermano di essere riusciti a identificare tutti i fattori battericidi che si trovano nel dolce nettare delle api. Per raggiungere il risultato è stato utilizzato un nuovo tipo di approccio, fatto di successive neutralizzazioni dei singoli fattori battericidi.
E allora? Si è riscontrata la presenza di una proteina, un peptide denominato defensin-1, che è molto importante nell’attività battericida del miele.
Defensin-1 è stata rinvenuta anche nella pappa reale (e per questo è chiamata anche “royalisin”) e nell’emolinfa dell’ape. Defensin-1 è, verosimilmente, prodotta nelle ghiandole ipofaringee delle api nutrici. Le api aggiungono secrezioni della ghiandola ipofaringea al nettare (che già di suo possiede capacità antimicrobiche funzionali al mantenimento del nettare, necessario per l’impollinazione) che diventa miele. Per produrre questa proteina  peptidica, le api necessitano di proteine più semplici da modificare.
Dunque, perché il miele possa avere determinate capacità disinfettanti, relativamente a tutte le sostanze attive presenti, è necessario che, nel momento in cui lo producono, le api abbiano a disposizione anche un adeguato corredo proteico, ovvero i precursori di quello che devono produrre, dal momento che qualsiasi sostanza deriva dallo smontaggio di altre assunte con l’alimentazione.
La scoperta porta a considerazioni che abbracciano scenari diversi.
Si può cominciare dicendo che situazioni di carenza di polline determinano la riduzione della produzione di pappa da operaia e ciò, verosimilmente, riduce la produzione di defensina (e chissà quali altre proteine legate al sistema immunitario. In ogni caso questi altri aspetti saranno il tema degli articoli dei prossimi mesi).
Alcuni fitofarmaci (Heylen, 2010), a livello di quantità non letali, producono effetti di riduzione della funzionalità delle ghiandole ipofaringee e ciò di nuovo conduce alla riduzione di efficacia dei meccanismi di difesa delle api.
Per converso, è ormai chiaro che il miele ha un potenziale battericida variabile, secondo la sua origine e ciò determina un fattore di resistenza più o meno elevato alle invasioni di patogeni che arrivano all’alveare, finendo poi nel circuito di produzione del cibo e ingerito dalle api di tutte le età, fino a trovarne qualcuna più sensibile delle altre. Il risultato? L’ape interessata al fenomeno si ammala e muore. Va detto che il miele dovrebbe avere la capacità di uccidere anche spore di funghi e virus - sarà una branca di studio veramente molto interessante per il prossimo futuro - dal momento che l’inserimento di sostanze disinfettanti nel miele fa parte di quella che è definita “immunità sociale”.
Come si esercita? Attraverso la produzione da parte delle api, sopracitato vecchie, dell’enzima glucosio ossigenasi il quale è distribuito nell’alveare. L’enzima dà luogo alla produzione di perossido di idrogeno e soprattutto di acido gluconico, una sostanza della quale sono state dimostrate le potenti capacità nei confronti dei funghi (Kaur, 2006). Per funghi s’intende anche Nosema, sia apis che ceranae. Perciò, il fatto che il miele presente nell’alveare riesca ad “accoppare” una quantità più o meno grande delle spore di Nosema o di virus che vi finiscono dentro fa una bella differenza, a livello di diffusione dei patogeni. Non è, purtroppo, ancora completamente noto il funzionamento dell’immunità sociale delle api e quali molecole la compongono, tuttavia alcune riflessioni sono immediate.
Secondo le risorse florali, vi possono essere delle situazioni di minor resistenza ai patogeni. Come dire che l’ambiente ha un peso sulla sensibilità ai patogeni. In altre parole, il miele può effettuare una disinfezione maggiore, così come le api stesse, perché in grado di produrre una maggiore quantità di sostanze antimicrobiche. L’apicoltore, in vari periodi dell’anno,  propone considerevoli quantità di soluzioni glucidiche agli alveari, soluzioni caratterizzate dalla pressoché assoluta assenza di sostanze disinfettanti al loro interno, rispetto a quanto, invece, contenuto mediamente nel miele. Il perché? Si può pensare che la somministrazione delle soluzioni glucidiche possa portare alla diluizione di presenza delle sostanze disinfettanti in circolo nel sistema alveare, esattamente come la circolazione di una botte di acqua in un’osteria diminuirebbe il tasso di ubriachezza degli astanti.
Infatti, si possono presentare due tipi di situazione: per cominciare, la somministrazione di soluzione zuccherina porta ad una complessiva diluizione della presenza di disinfettanti rispetto a quanto avverrebbe con analoga quantità di miele; poi, si determina l’inevitabile riduzione delle difese in certe parti dell’alveare e allora alcune api possono trovarsi ad elaborare solo soluzione zuccherina priva di effetto disinfettante e ciò potrebbe portare a esplosione della replicazione di patogeni presenti. Si può, dunque, pensare che l’alimentazione con glucidi sia nelle correnti situazioni di emergenza sanitaria pratica che contribuisce alla riduzione della immunità sociale degli alveari, portando ad un aumento del rischio di proliferazione di patogeni.

Batteri simbionti dell’alveare e alcaloidi contenuti nel nettare

Altri elementi di importanza chiave nella resistenza alle patologie sono, incredibilmente, i batteri simbionti e le sostanze “secondarie” contenute nel nettare. La dottoressa De Grandi e altri hanno realizzato per l’American Bee Journal, prestigiosa rivista statunitense di apicoltura, un interessante serie di articoli a proposito dei microbi simbionti dell’alveare. Secondo i ricercatori americani, dalla letteratura scientifica è noto che i microbi svolgono un ruolo essenziale per quanto riguarda lo stato sanitario di quasi tutti gli organismi viventi (e su questo si potrebbe intervistare Alessia Marcuzzi - pubblicità dello yogurt - Ilari ne sarebbe contento).
Anche le api possiedono un consistente repertorio di batteri e funghi  simbionti, per loro inoffensivi, ma essenziali per lo stoccaggio e la gestione delle scorte di cibo, particolarmente polline. Possono anche avere un ruolo nel controllo dei patogeni, non consentendo, per competizione, il loro sviluppo. Secondo De Grandi, in termini di numero e tipo i microbi presenti in un alveare sano superano, come numero, le api.
C’è, poi, Gilliam che ha dimostrato che vi è grande diversità di microbi nelle famiglie sane e che essi risiedono in larve, adulte e pane d’api.
La “semina” dei microbi avviene, probabilmente, durante lo scambio di cibo. I microbi  presenti nelle larve  tendono a perdersi in conseguenza della defecazione che avviene poco prima della pupazione. Invece, pupe e api appena nate non hanno microbi interni. E le adulte? Cominciano ad acquisire microbi, cominciando a mangiare pane d’api e scambiando cibo con le consorelle. Le comunità microbiche comunemente rinvenibili nel sistema digestivo delle api variano secondo la località e la stagione. I microbi sono presenti anche nello stomaco. Differenti batteri, ma soprattutto in dimensione della loro popolazione, variano col tipo di nettare che le api raccolgono. Tuttavia, le api sembrano anche avere alcune specie di batteri in comune, senza riferimento alle fonti nettarifere visitate.
In aggiunta ai microbi presenti all’interno delle api, c’è una comunità di microbi interattivi nel polline stoccato sotto forma di pane d’api.
La conversione di polline in pane d’api prevede il coinvolgimento in progressione di microbi che stabiliscono l’ambiente ideale per la fermentazione e predigestione del polline.
Numerosi generi di batteri e funghi sono stati isolati dal pane d’api, ma non nel polline che dà luogo ad esso (Gilliam 1979-1989). Ciò suggerisce che le api inoculino il polline stoccato  con microbi, mentre lo sistemano nelle celle e che una delle sorgenti di microbi siano proprio le api. Nei periodi caratterizzati da assenza di polline, come in inverno, i microbi, probabilmente, sono stoccati nel sistema digestivo dell’ape.
In primavera, quando la raccolta del polline ricomincia, il polline è inoculato dalle api e i microbi lo impiegano come mezzo per la loro crescita. Dal pane d’api “microbizzato”, le api re-inoculano loro stesse quando lo assumono. Perciò, tra il polline stoccato  e le api vi è un allevamento di  microbi nella famiglia. In conseguenza dell’attività dei microbi, il pane d’api differisce nella composizione chimica rispetto al polline raccolto.
Certi elementi come Vitamina K e acido lattico sono presenti solo nel pane d’api. La conversione del polline  in pane d’api è un processo altamente dinamico. Comincia col ritorno della bottinatrice e lo scarico del polline nelle cellette. Un’ape di casa aggiungerà nettare al polline e lo immagazzinerà nella cella. Per circa 12 ore, il polline “impacchettato” conterrà un’ampia varietà di microbi, inclusi  batteri e lieviti. I batteri lattici rinvenuti nello stomaco delle api probabilmente sono aggiunti al polline quando le api lo mischiano al nettare.
I batteri lattici (LAB) usano i fattori di crescita prodotti dai lieviti e da altri batteri e abbassano il pH del polline.
La fermentazione lattica è completa in circa 15 giorni. I lieviti, inizialmente presenti in scarso numero, aumentano dopo la fermentazione e permangono nel polline stoccato più a lungo di tutti gli altri microbi. Attraverso l’azione dei microbi, il polline è predigerito e di conseguenza vi è un aumento della quantità di nutrienti disponibili.
I lieviti sintetizzano vitamina B. Penicillium e producono diversi enzimi e antibiotici che prevengono la crescita di altri microbi.
Nel pane d’api di tre settimane sono stati isolati 21 differenti tipi di batteri e dopo sei settimane 23. Aspergillus niger è il più comune. In aggiunta al loro ruolo nei processi di produzione del cibo, i microbi sono essenziali per la prevenzione delle patologie. Si può, allora, ritenere che “sbilanciamenti” delle comunità batteriche siano uno dei fattori di potenziale aumento della presenza di patologie.
Possono essere anche la base di impoverimenti del cibo, oppure indicare l’impossibilità di utilizzo del polline per incompleta digestione con inevitabile carenza di vitamine o aminoacidi che riducono la vitalità della covata e la longevità delle adulte con, in parallelo, crescita non inibita dei patogeni in conseguenza di indebolimento  immunitario.
La crescita dei microbi in una famiglia di api è largamente dovuta alla raccolta di polline e nettare. Il polline contiene numerosi batteri e lieviti (Gilliam, 1979).
Il  nettare di molte piante pure (Herrera et al. 2009). Le api si trasferiscono vicendevolmente i microbi con lo scambio del cibo (trofallassi).
De Grandi riferisce che ci sono prove di come il tipo di polline raccolto e il momento dell’anno in cui viene raccolto incide sulla quantità di microbi sulle api e nel pane d’api. Per ciò vi sono differenze nella composizione della comunità di microbi presente in inverno rispetto a quella presente in estate (Rada et al., 1997).
La genetica delle api può incidere sulla diversità di presenza di microbi nella famiglia. Oltre che utilizzare il polline come cibo, le api lo utilizzano come substrato per la crescita dei  microbi loro necessari per avere nutrizione e salute ottimale.
Poi, vengono altri fattori. Contaminazione del polline da fungicidi, fitofarmaci e antibiotici sono, frequentemente, osservabili anche a livelli decisamente alti. I fungicidi sono particolarmente comuni nel polline dal momento che sono spesso irrorati su piante in fioritura. Più che un eventuale effetto di tossicità diretta può risultare insidioso l’effetto subletale in polline stoccato che può dare effetto di mancato sviluppo delle numerose specie di funghi necessarie a convertire il polline in pane d’api.
In aggiunta a questo quadro, diversi antibiotici, ad esempio streptomicina, sono registrati per uso su meli e peri per contrastare il “colpo di fuoco”  e impiegati in fioritura. Lo studio di Gilliam (1988) sugli effetti della streptomicina ha mostrato che i batteri simbionti delle api, tipici del sistema digestivo, diminuiscono, sensibilmente, fino a divenire completamente assenti. In molti casi, è l’apicoltore che inserisce direttamente l’antibiotico nell’alveare. Lo sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio  può incidere sulla crescita dei funghi simbionti: conta molto come è prodotto (Yoder et al., 2008). Il fatto che miele e pane d’api, presenti nelle famiglie morte con sintomi di CCD, non siano saccheggiati da altre api potrebbe essere dovuto alla alterata composizione microbiologica di questi e risultare, nei fatti, del tutto indesiderabile per le api.

L’importanza dei batteri nella resistenza ai funghi patogeni dell’alveare

I batteri simbionti, presenti nello stomaco delle api, rappresentano un consistente elemento di difesa dai funghi patogeni. Più sono rappresentati, peggio si trova il patogeno.
La pubblicazione da parte del ministero dell’Agricoltura australiano del lavoro di ricerca RIRDC, “Biological Control of Chalkbrood by Anti-fungal Bacterial Symbionts of Bees di  Murali Nayudu e Sheba Khan August 2009© e Rural Industries Research and Development Corporation”, (tutti i diritti riservati), dimostra l’assunto iniziale e il governo australiano lo mette a disposizione allo scopo di aumentare la pubblica conoscenza.
E’ chiaro che Apitalia, sentitamente, ringrazia, visto che l’indagine in oggetto getta una nuova luce su meccanismi di resistenza delle api nei confronti delle infezioni da funghi, con focus, al momento, su ciò che riguarda la covata calcificata. Analoghi meccanismi di resistenza potrebbero verificarsi validi anche per quanto riguarda il ben più pericoloso Nosema ceranae. I Microorganismi associati alle api e al loro cibo (miele, pane d’api, polline e propoli) comprendono batteri (Gram-variabile pleomorfici, Bacillus sp., Enterobacteriaceae), funghi (primariamente Aspergilli e Penicilli) e lieviti (Torulopsis sp.), (Gilliam et al.,1988). La scienza ha mostrato che alcuni microbi vivono, con grande reciproca tranquillità, nello stomaco delle api e ne aiutano la digestione. E’ stato anche suggerito che altri potrebbero provocare la fermentazione del polline immagazzinato nelle celle, andando a costituire il  pane d’api (Gilliam et al.,1994).
Alcuni di questi microorganismi dello stomaco producono antibiotici antagonistici ai funghi patogeni per le api come la covata calcificata (Gilliam,1997); ma non è chiaro se i batteri transitino semplicemente attraverso lo stomaco delle api, provenienti dal cibo ingerito o se formino associazione a più lungo termine con le api, ovvero colonie stabilmente presenti nello stomaco. Il contributo dei microbi endosimbionti alla nutrizione dell’ape può aumentare la sua abilità nel vivere in condizioni di dieta sub-ottimale (specialmente quando il cibo è scarso), aumentando l’efficienza della digestione e l’acquisizione di enzimi digestivi. Essi possono, inoltre, contribuire alla produzione di vitamine. I microorganismi presenti in polline e pane d’api sono risultati metabolicamente attivi. I funghi producono enzimi, coinvolti nel metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi. Bacillus sp. producono enzimi proteolitici che contribuiscono alla conversione del polline (Gilliam,1979).
E’ decisamente assai probabile che la più importante fra le funzioni benefiche dei microrganismi intestinali sia la loro abilità ad occupare siti nello stomaco delle api, impedendo con ciò la colonizzazione da parte di microorganismi patogeni.
In questo studio, poi, è stato verificato che le nutrici delle famiglie con presenza di sintomi di covata calcificata hanno, significativamente, meno batteri nel loro stomaco, rispetto alle api di famiglie sane. Lo studio di famiglie con progressiva remissione dei sintomi ha mostrato un parallelo aumento della presenza batterica nello stomaco delle nutrici. La quantità batterica in queste risulta, comunque, decisamente inferiore a quanto rinvenuto nelle api sane.
Ciò porta alla considerazione che la quantità batterica presente nello stomaco delle api sia correlata inversamente alla presenza, ovvero alla prevalenza del patogeno.
Batteri inibenti la covata calcificata sono stati rinvenuti nello stomaco di api con presenza di covata calcificata  e in fase di guarigione. Esperimenti di nutrizione di famiglie di api hanno dimostrato che è possibile introdurre  un alto numero di batteri nello stomaco delle api usando un inoculo, aggiunto a normale sciroppo di zucchero. Il numero di api portatrici e i batteri artificialmente introdotti si riducono immediatamente una volta che la somministrazione artificiale cessa. Il declino della presenza batterica è più veloce in estate, presumibilmente in conseguenza di un maggiore turn over delle api. Questo suggerisce, almeno relativamente ai batteri testati, che non vi sia colonizzazione batterica a lungo termine o meglio permanente. Lo studio suggerisce ancora che vi sia un insieme di meccanismi coinvolti nell’inibizione dello sviluppo della covata calcificata da parte di batteri. Per la prima volta, è stato chiarito il meccanismo di inibizione del patogeno covata calcificata dai batteri presenti nello stomaco delle api  e mostrata la produzione di agenti fungicidi o fungistatici.
E’ stato chiaramente stabilito che il numero di batteri presenti nello stomaco delle api è importante per il mantenimento dello stato di salute della famiglia. Anche il tipo di batteri presenti può essere importante per questo ruolo.

I metaboliti del nettare
La severità delle infezioni da patogeni  è condizionata dalla qualità della dieta del soggetto infettato.
In questo senso, è di particolare interesse il lavoro “Consumption of a nectar alkaloid reduces pathogen load in bumble bees Jessamyn S. Manson” di Michael C. Otterstatter; James D. Thomson pubblicato su Oecologia (atti). Sostanze definite metaboliti secondari sono spesso rinvenibili nel nettare florale delle piante. I metaboliti secondari includono tannini, fenoli, alcaloidi e terpeni e sono stati rinvenuti nel nettare florale di 21 famiglie di angiosperme (Adler, 2000). La presenza e diversità di elementi  secondari nelle angiosperme suggerisce che esse abbiano funzioni adattative per le piante come effetto deterrente dei saccheggi, incentivazione dell’impollinazione e protezione da microbi patogeni (Adler, 2000; Rhoades e Bergdahl, 1981).
Di queste, la capacità antimicrobica è la più generale dal momento che i microbi sono ubiquitari e il nettare è un mezzo ideale per ospitare un’ampia varietà di microorganismi.
Relativamente ai patogeni intestinali, la dieta dell’ospite può avere effetti notevoli sulla severità dell’infezione, alterando immunocompetenza, processi metabolici, o più semplicemente, limitando la disponibilità di  nutrienti per il parassita (Cory e Hoover, 2006; Logan et al., 2005; Wink e Theile, 2002). Sia nei fiori che nello stomaco dei visitatori dei fiori, i metaboliti secondari del nettare possono compiere azione antimicrobica.
Il nettare di Gelsemium sempervirens L. contiene il caratteristico alcaloide gelsemina, metabolita secondario, altamente tossico per i vertebrati (Blaw et al., 1979). Gelsemina non pare avere particolari effetti negativi sulle api (Elliott et al., 2008; Manson e Thomson, 2009) e nemmeno sui lieviti florali (Manson et al., 2007).
Gli insetti impollinatori si nutrono regolarmente da fiori il cui nettare contiene alcaloidi, ma le conseguenze di ciò non sono sempre chiare (Adler, 2000). I risultati dimostrano che il nettare artificiale, contenente l’alcaloide, riduce la gravità delle infezioni intestinali degli impollinatori.
Bombi (B. impatiens) inoculati col parassita Crithidia bombi sviluppano meno intensa infezione quando nutriti con gelsemina, per alcuni giorni. Tuttavia, l’infettività di C. bombi non risulta diminuire quando il patogeno è esposto a gelsemina, all’esterno dell’ospite.
Questi risultati suggeriscono che il nettare ricco di alcaloidi possa agire come microbicida, quando ingerito senza, però, interferire direttamente sulla vitalità del patogeno. Dal momento che C. bombi è depositato sui fiori dagli impollinatori infetti e può essere diffuso tra essi attraverso il nettare florale contaminato, nettare ricco dell’alcaloide, possono avere un sostanziale effetto sulla  trasmissione del patogeno, sia nell’alveare che tra la popolazione di impollinatori.
Vi sono diverse possibilità di azione degli alcaloidi contenuti nel nettare nei confronti dei patogeni intestinali. Riduzione della replicazione, in conseguenza dei costi associati alla tolleranza degli alcaloidi. Alterazione dello stomaco dell’ospite, in maniera da renderlo meno ospitale per il patogeno. Alterazione della capacità di aderenza alle pareti intestinali (Logan et al., 2005). Aumento del pH nell’apparato digerente, con potenziali effetti deleteri per il patogeno (Stiles and Paschke, 1980). La dieta ricca di alcaloidi può aumentare l’escrezione dell’apparato con spinta all’esterno dei patogeni.

Nuovi fattori di resistenza alla peste americana collegati alle caratteristiche di disinfezione del miele

La peste americana è una patologia batterica prodotta da un batterio sporigeno. Una delle caratteristiche della peste è che non è mai stato possibile determinare la quantità di spore necessaria a provocare i sintomi clinici della patologia, e cioè la morte di larve con esplosione della presenza di spore e continuo aumento della mortalità di larve. Questa mancanza di una “soglia critica” di spore è attribuibile a diversi fattori. Da un lato il patogeno Paenibacillus larvae è ormai diviso il cinque genotipi, con differenti caratteristiche di virulenza (e di sintomatologia).
Dall’altro, l’alveare presenta diversi meccanismi di resistenza.
Due, particolarmente interessanti, sono stati messi in evidenza dalla ricerca, recentissimamente. Innanzitutto, ricercatori olandesi (Kwakman et al.) hanno chiarito molti aspetti sulle capacità antimicrobiche del miele, basate principalmente su tre tipi di sistemi, la presenza dei quali può essere molto variabile a seconda delle caratteristiche del nettare raccolto, come detto sopra.
Nella produzione del miele le api aggiungono al nettare sostanze proteiche (defensina) che fanno anche parte del loro sistema immunitario e che sono prodotte nelle ghiandole ipofaringee. La produzione di queste proteine non può essere costante, ma dipende dalla condizione delle api, dalla disponibilità qualitativa di polline multiflorale ecc.
Il risultato è che il miele prodotto può risultare, in certi casi, molto datato dal punto di vista battericida ed essere in grado di uccidere una grandissima parte delle spore in esso presenti (verosimilmente anche di Nosema e virus, ma mancano ancora le prove scientifiche). Questo sistema di disinfezione  può, decisamente, ridurre il carico di patogeni vivi nell’ambiente alveare e, di conseguenza, il numero che arriva alle larve insieme alla nutrizione.
In certi altri casi, la capacità disinfettante del miele può essere molto bassa, perché prodotto in condizioni negative e di conseguenza esercita una bassissima azione sui patogeni presenti: finiscono tutti quanti alle larve. Ciò costituisce un ampio fattore di variabilità ai patogeni, agente della peste americana compreso.
Un altro aspetto, questo, della resistenza delle api ai patogeni; del quale è iniziato, recentemente, lo studio e che sembra, particolarmente, importante anche in relazione alla sindrome delle api (Colony Collapsing Disorder) e relativa ai batteri simbionti presenti nello stomaco delle api.
Un discreto numero di specie batteriche è stato identificato nello stomaco delle api, presenza comunque variabile, in maniera non ancora del tutto compresa. E’, comunque, certo che il  pane d’api serve alle api come fabbrica di produzione di batteri utili, prima di tutto per la predigestione del polline, che sarebbe un po’ duro da digerirsi tal quale solo a forza di stomaco. La colonizzazione dello stomaco a cura dei batteri simbionti costituisce, però, anche un elemento di difesa dai patogeni. Anche in questo caso non è del tutto chiaro come ciò avvenga, ma sembra abbastanza evidente relativamente a batteri non delle api che anche fra i batteri, patogeni o no che siano, vi è competizione per la riproduzione e qualcuno, anche a livello di microbi, è destinato ad avere la peggio. Sembra, perciò, che la possibilità di replicazione dell’agente patogeno della peste americana sia tanto più bassa tanto maggiore è la presenza di batteri simbionti. Dunque, la scienza sta dimostrando che il mondo in cui vivono le api, ovvero la natura, è parecchio più complesso di quello che si pensava. L’ambiente condiziona quello che le api producono e quanto prodotto nell’alveare ha un peso sulla resistenza dell’alveare ai suoi patogeni. Essendo impensabile, al giorno d’oggi, il ritorno ai “pascoli bradi”, ma anche il banale non far uso di sciroppo di zucchero per l’alimentazione, gli scienziati stanno pensando a cosa si può aggiungere alla dieta delle api per far tornare le loro difese ai livelli di una volta. Alcuni aspetti per fortuna sono semplici. Ad esempio, la vitamina B2 è un precursore dell’enzima glucosio ossidasi che dà luogo alla produzione di acido gluconico.
 
Titolo originale del lavoro:
\"Le attività antimicrobiche del miele e la sua importanza nell’impatto dei patogeni delle api con l’alveare\"
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 09/09/2011 da Gianni Savorelli
 
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