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 Pratica
Quanto costa perdere le api
 
di by Apitalia
 
Le api non sono un mezzo per arrotondare semplicemente il reddito familiare. Altresì, non è pensabile che siano condotte basandosi sulla filosofia “ricavare il massimo con il minimo sforzo”. Una filosofia il cui unico risultato è quello di ritrovarsi, prima o poi, le arnie vuote. Un altro atteggiamento che danneggia l’alveare è l’incuria. Dunque, perdere le api vuol dire non essere dei buoni apicoltori, non aver passione per le api e non “perdere” un po’ di tempo con loro
 
Farsi i conti in tasca è una cosa il più delle volte evitata dagli Apicoltori, con pochi o molti alveari, che vedono nelle api il surrogato ideale per qualche ora all’aperto e in compagnia di questi simpatici e indispensabili insetti. Oppure il mezzo per arrotondare un po’ pensione o busta paga, così striminziti in questi anni.
Occorre però non scivolare, per quanto riguarda il risvolto economico dell’allevamento, in una situazione che si può riassumere in poche parole: avere il massimo con il minimo sforzo. Tradotto significa torchiare le api il più possibile, dimenticando che dopo una eccessiva pressatura ci resta in mano solo morchia: assolutamente inutilizzabile.
E magari ci ritroviamo, da novembre ad oggi, con le arnie vuote. Sentendo dire, purtroppo spesso, “per quello che costa un nucleo, con qualche Kg di miele me lo ripago. È stata colpa di questo, di quello, del freddo, del caldo, ecc.”.
Le perdite di api nascono così. E’ un effetto domino che inizia in sordina e prende poi una piega catastrofica che solo pochi sanno gestire. Perdite che, trascurando quelle fisiologiche comuni ad ogni allevamento, hanno un loro preciso sinonimo: incuria. Ed è un’incuria molto più pericolosa che in altre zootecnie. L’ape infatti è un insetto, oltre che sociale, libero di spaziare nel territorio che controlla ed è in questa ottica che deve essere sempre vista.
E’ un’incuria territoriale, ambientale, culturale, apistica. E’ vero che spesso ci lamentiamo e diamo la colpa a tutto ciò che è attorno a noi. Ma è anche vero che facciamo poco: l’Apicoltore sta perdendo giorno per giorno la capacità di aggregarsi per far fronte, lavorando bene, alle avversità che quotidianamente gli si presentano di fronte. E’ per questo che in queste Note Tecniche non parleremo di lavori stagionali o di particolari tecniche. Ormai se ne scrive dappertutto. Parleremo di quanto ci costa perdere le api.
Significa perdere economicamente, perdere tempo, e non da ultimo perdere anche, giorno dopo giorno, un po’ di quell’autostima e ottimismo che da sempre caratterizzano l’Apicoltore. Perdere le api significa semplicemente non aver perso un po’ più di tempo con loro e per loro. Ovviamente quando ce n’era bisogno. Dopo non serve più.
Perdere famiglie in autunno e inverno o averle ridotte al lumicino in primavera è per la quasi totalità dei casi dovuto alla varroa e ai problemi ad essa connessi. E’ un problema grosso, soprattutto se pensiamo che ad ogni famiglia morta abbiamo prodigato cure e spese, l’abbiamo nutrita per integrare le scorte, abbiamo cambiato la regina, l’abbiamo curata con presidi più o meno costosi, ci abbiamo lavorato parecchio. Perché? Per niente. E’ meglio allora ammucchiare arnia e api in un bel falò autunnale. A conti fatti risparmiamo qualche soldo.
Esterrefatti? Lo spero bene!
Già da tempo però qualcuno ha capito che è il caso di lavorare bene, durante l’annata apistica, per far sì che le api arrivino pulite, senza varroa e in forze all’appuntamento improrogabile della tarda estate: il trattamento tampone.
E ne devono avere di forza perché dopo la varroa è proprio il trattamento tampone estivo che le devasta, soprattutto se consideriamo che viene fatto nell’ottica della proverbiale inventiva dell’Apicoltore. Ad agosto alle famiglie è dato di tutto e di più: dosaggi e tempi sono lasciati molte volte al caso e alla discrezione di ognuno con i danni che si possono immaginare. Ma proviamo solo a pensare di poter arrivare ad agosto con un carico di varroa accettabile, con le famiglie ben sistemate e con una tabella di marcia ad ampio respiro.
Qualche mezzo c’è.
C’è il famoso “telaino trappola” di Campero, da anni dimenticato ma sempre utile per abbassare l’infestazione e di semplice attuazione per chi ha un numero esiguo di alveari. Si tratta, tutto sommato di prelevare covata da fuchi allevata in un apposito telaio (in tre settori) (vedi foto a pag. 18).
C’è poi il sistema del blocco della covata per un paio di settimane: indispensabile per risanare le famiglie in brevissimo tempo durante l’estate, sempre alla portata di chi ha pochi alveari.
E c’è infine il sistema della somministrazione di acido ossalico gocciolato durante la primavera e l’estate ad intervalli di 15 - 20 giorni in assenza di melario o nel cambio tra un melario e l’altro.
Da anni consigliato dal dottor Antonio Nanetti, dell’Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna, sta ora trovando il favore di pochi, ma attenti, Apicoltori professionisti.
L’acido ossalico, somministrato con l’oculatezza che approfondiremo nel seguito di queste Note Tecniche (in uno dei prossimi numeri di Apitalia), non produce infatti alcun danno alla famiglia durante la stagione attiva, stagione nella quale le api hanno un ricambio generazionale così veloce da non “prendere” mai due volte di seguito la soluzione (l’acido) ma che abbatte inesorabilmente la varroa presente sulle api adulte.
Il rischio? Il rischio c’è, avverte il dottor Franco Mutinelli del Centro Regionale per l’Apicoltura. Ed è il rischio di credere di essere a posto così, di poter troppo posticipare il trattamento tampone o di non farlo proprio o farlo quando capita. Di dormirci sopra, insomma!
Le gocciolature estive, rigorosamente fatte senza melario, aiutano solo ad abbassare la soglia di collasso dell’alveare senza sostituire il tampone, indispensabile a pulire le api in previsione dell’intervento invernale di pulizia.
Se ci pensate, non è poco.
Torna sempre e più che mai attuale quello che scrisse Gaetano Malagola nel ‘54: “l’Ape fa ricco l’Apicoltore senza spesa ma NON senza attenzione!”
Buon Lavoro a tutti.
 
Si ringraziano, per la preziosa consulenza,
il dottor Franco Mutinelli (Centro Referenza Nazionale per l’Apicoltura)
e il dottor Antonio Nanetti (Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna).
 
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Scritto in data 03/05/2006 da by Apitalia
 
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