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NOSEMA E ANIDRIDE CARBONICA
 
di Gianni Savorelli
 
Recenti scoperte sui funghi patogeni, riconducibili anche a quelli tipici dell’alveare, dimostrano che la presenza di anidride carbonica, frutto del metabolismo degli esseri viventi, è elemento essenziale per la proliferazione dei funghi. La scoperta potrebbe avere un peso significativo per quello che riguarda il controllo dei tradizionali Nosema apis e covata calcificata o per la nuova minaccia Nosema ceranae
 
La ricercatrice polacca Dottoressa Czekonska ha studiato (Journal of Invertebrate Pathology Feb 2007) l’influenza dell’anidride carbonica sull’andamento dell’infezione da Nosema in Apis mellifera.
Non si tratta di una stranezza o di una perdita di tempo. Al contrario la ricercatrice ha dimostrato di essere molto ben informata. Ha infatti iniziato la sua ricerca poco tempo dopo la pubblicazione di tre studi sul ruolo dell’anidride carbonica sulla virulenza dei funghi.
Due studi sono di Joseph Heitman - Fritz Mühlschlegel e Jochen Buck. Il terzo è di Joseph Heitman a prosecuzione del lavoro svolto.
La scoperta è che la percezione dell’anidride carbonica è una condizione vitale per la virulenza dei funghi patogeni in differenti ambienti ospiti.
L’anidride carbonica risulta essere per il fungo un segnale fisiologico che induce la transizione filamentosa patogenica di C. albicans (fungo utilizzato nella prova di interesse perlopiù ginecologico). La percezione e la metabolizzazione dell’anidride carbonica si basa nei funghi su un gruppo di enzimi, (adenililciclasi) che perciò possono essere definiti i chemosensori che mediano sia la filamentazione di C. albicans che la biosintesi delle capsule di C. neoformans (altro fungo utilizzato nelle prove). La metabolizzazione del CO2 governa la crescita, la riproduzione e la virulenza dei funghi patogeni utilizzati nelle prove ed anche la cosiddetta morfogenesi, che è spesso essenziale per l’adattamento e la sopravvivenza in diversi tipi di ambiente. In altre parole (un pochino più semplici), sembra che un sonnecchioso e timido funghetto, si trasformi, come faceva il Dr Jackill nel tremendo Mr Hide, alla percezione dell’anidride carbonica e forse tanto più, quanta più anidride percepisce.
Dunque bisogna dare atto alla Dottoressa Czekonska di aver intuito che la scoperta poteva avere notevoli valenze anche sull’apicoltura, di cui lei si occupa, e speriamo che continui nel suo lavoro. Vi sono indubbiamente molti nuovi aspetti che andrebbero studiati.
Ha perciò provveduto ad infettare artificialmente alcune api con spore di Nosema apis preventivamente mantenute in atmosfera di CO2 per 30, 35 e 40 ore.
Ha poi verificato l’andamento dell’infezione rispetto ad altre api infettate con spore trattate col gas.
Il gruppo di api infettato con Nosema apis esposto a CO2, ha mostrato una più veloce proliferazione del parassita e una più consistente mortalità delle api infettate, confermando l’effetto del gas anche su questo patogeno dell’alveare.
Almeno nelle condizioni dell’esperimento, e cioè mantenimento in atmosfera di CO2. Forse la realtà di campo potrebbe essere un po’ diversa anche se l’anidride carbonica nell’alveare non manca di certo. Secondo Schirkevicius, col progredire della stagione verso l’inverno, il metabolismo di ogni singola ape rallenta.
Si può notare che ad una temperatura di 10°C l’assunzione di ossigeno di un operaia è 67 volte minore di quella tipica di temperature di 30-35 °C. A 0 °C poi, questa differenza diventa di 217 volte.
Pur diminuendo l’assunzione di ossigeno, la produzione di anidride carbonica aumenta. Quest’ultima può essere emessa senza consumo della corrispondente quantità di ossigeno, probabilmente prodotta dal consumo di proteine di stoccaggio (“grassi…”) e carboidrati.
Considerando che alle spore di Nosema apis dà fastidio il caldo (Malone), questi elementi potrebbero forse in parte spiegare la maggiore virulenza del Nosema apis in autunno e primavera.
Anche le larve producono anidride carbonica in conseguenza della loro respirazione. Come ciò avvenga è ben descritto da Markus Petz, Anton Stabentheiner e Karl Crailsheim.
Considerato che Nosema ceranae è molto più virulento di Nosema apis e teme molto meno sia il caldo che il freddo rispetto al suo cugino, viene da chiedersi, prima di tutto, se può essere considerato valido anche per questo patogeno l’effetto dell’anidride carbonica.
Purtroppo è molto probabile che la risposta sia positiva, ma di conseguenza si aprirebbe tutta una serie di considerazioni.
Ci si può allora chiedere se è da considerare sensato cercare di rendersi conto se l’alveare razionale è, rispetto a quello che le api si scelgono in natura, che verosimilmente in parecchi casi consente una circolazione dell’aria molto maggiore, davvero così razionale anche per affrontare i patogeni che con la globalizzazione arrivano senza sosta.
Come già avvenuto con l’avvento della varroa che rese molto consigliabile il fondo a rete, potrebbe essere il caso di capire se e come è possibile migliorare lo “scarico” dell’anidride carbonica durante tutto il corso dell’anno. Se in inverno, anziché cercare di tenere le api al caldo, bisognerà prima di tutto pensare di cambiar loro l’aria.
 
 
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Scritto in data 09/07/2007 da Gianni Savorelli
 
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