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 Pratica
Sul metodo di utilizzo dei varroacidi
 
di Luca Tufano e Gianni Savorelli
 
Per ottimizzare i risultati degli interventi varroacidi, l’apicoltore deve intervenire nei tempi giusti e nei modi giusti e con ciò si sottintende che debba esservi una buona conoscenza del ciclo biologico sia delle api che della Varroa. Allo stesso modo, sempre nella prospettiva di un’ottimizzazione degli interventi, risulta necessario conoscere le caratteristiche e modalità di azione dei diversi prodotti autorizzati in commercio in Italia. Ecco come fare: si tratta di un articolo molto pratico che metterà gli apicoltori in condizione di effettuare in modo adeguato i trattamenti antivarroa
 
Troppo spesso si assiste alla messa in discussione dell’efficacia di un principio attivo varroacida (e dell’insieme dei trattamenti), dimenticando che tale efficacia non è assoluta ma condizionata dalle modalità d’impiego, dalle condizioni dell’alveare e dai livelli di popolazione di Varroa, nonché da condizioni ambientali esterne. Inoltre, tutti questi elementi non sono statici, ma in divenire, «dialogano» e interagiscono tra di loro, si relazionano e condizionano a vicenda, mutando a seconda dei periodi dell’anno. Pertanto, per ottimizzare i risultati degli interventi varroacidi, l’apicoltore deve intervenire nei tempi giusti e nei modi giusti e con ciò si sottintende che debba esservi una buona conoscenza  del ciclo biologico sia delle api che della Varroa. Allo stesso modo, sempre nella prospettiva di un’ottimizzazione degli interventi, risulta necessario conoscere le caratteristiche e modalità di azione dei diversi prodotti autorizzati in commercio in Italia.
Nel considerare l’efficacia dei trattamenti acaricidi, dobbiamo ricordare che per la maggior parte dell’anno (ma NON in tardo autunno/inverno e NON al principio della primavera/fine inverno, negli apiari posti dove l’inverno è vero inverno) la Varroa è, per circa due terzi, annidata nelle celle di covata (naturalmente vi è una variabilità di questa proporzione in relazione allo stato dell’alveare) e quindi si trova in quella fase sotto opercolo che la pone al riparo dal contatto con i varroacidi. Ad eccezione di Maqs (principio attivo acido formico), non potendo raggiungere gli altri acaricidi registrati la Varroa sotto opercolo, la stessa deve essere attesa all’esterno. Inoltre, va considerato che tutte le sostanze applicate, incluse quelle ammesse in regime biologico (acido ossalico, timolo), hanno degli effetti negativi (tossicità) verso le api, ragion per cui oltre a disporre di pochi principi attivi efficaci ma non eccessivamente dannosi per l’alveare, dobbiamo attentamente sorvegliare i dosaggi e mantenerli al di sotto di una soglia di tossicità per le api, che alla lunga produrrebbero sulla colonia gli stessi effetti della patologia che si intende curare. Kraus ha dimostrato che nel caso del timolo la soglia letale per l’ape non è di molto dissimile da quella della Varroa, e ciò comporta naturalmente un grave problema perché oltre un certo limite non ci si può spingere. Lo stesso potrebbe dirsi per la reiterazione di trattamenti con ossalico, che nel caso del sublimato ormai sconfina nell’abuso, con gravi effetti di tossicità per le api e selezione di Varroe resistenti e morfologicamente più piccole. È dunque indispensabile l’utilizzo consapevole e sapiente del medicinale (che non deve, comunque, mai essere sovra-dosato perché questo comporterebbe gravi conseguenze per la salute delle api), al fine di evitare risultati insufficienti. Attualmente disponiamo di trattamenti ad azione topica, dove il principio attivo è portato direttamente sulle api e tale trattamento ha una durata molto limitata nel tempo (ad esempio, gocciolato con Apibioxal - p.a. acido ossalico) e di trattamenti con azione prolungata a seguito di rilascio continuato (strisce impregnate di molecole chimiche, vedi prodotti Apistan (p.a. fluvalinate) e Apivar (p.a. amitraz), gli effetti dei quali sono a loro volta prolungati  nel lungo periodo. Una categoria a parte è costituita dai principi attivi evaporanti (Apiguard, ApiLifeVar, Thymovar) che, tuttavia, da un punto di vista metodologico possono essere associati ai prodotti a lento e prolungato rilascio per il fatto che anch’essi agiscono in modo prolungato.
Si può notare di passaggio che la metodica di rilascio determina la quantità di Varroa che viene a contatto col principio attivo in un tempo assegnato in maniera arbitraria. La morte della Varroa è invece questione completamente avulsa dal modo di circolazione del principio attivo e dipende esclusivamente dal modo d’azione dello stesso sulla fisiologia dell’acaro. Questi fatti condizionano non solo i risultati, ma anche i tempi di osservazione dei risultati di abbattimento. Un esempio? Apistan e Apivar hanno all’incirca la stessa velocità di circolazione del principio attivo, ma il fluvalinate è molto più veloce ad accoppare la Varroa rispetto all’amitraz. Per cui il trattamento con fluvalinate (in assenza di farmacoresistenza) produce una massiccia caduta immediata. Quella con amitraz è molto più lenta e graduale. Il fatto di disporre di medicinali con caratteristiche e modalità di azione e applicazione differenti (topica, lungo rilascio, evaporanti - specificando che gli ultimi due sono in fondo  una serie di applicazioni topiche consentita dal dispositivo di rilascio del principio attivo) implica che si debba riflettere in modo logico prima del loro utilizzo e considerare che le possibilità di efficacia di questi principi attivi sono condizionate dal ciclo riproduttivo e biologico della Varroa presente al momento dei trattamenti. A maggior ragione, il ragionamento deve essere logico quanto i medicinali sono utilizzati in sequenza. La fase foretica delle varroe si ha solo per limitati periodi (non tuttavia così limitati come molti apicoltori credono) e se la maggior parte delle varroe madri entra in una nuova cella poco dopo lo sfarfallamento dell’ape parassitizzata, la maggior parte delle varroe figlie trascorre in fase foretica dai 6-8 giorni fino ad un massimo di 12 dopo lo sfarfallamento dell’ape parassitizzata, e non sono rare varroe che trascorrono in fase foretica anche diverse settimane, pur avendo covata disponibile alla parassitizzazione. L’importanza della fase foretica (il periodo trascorso sulle api adulte) dipende dal fatto che la nutrizione serve alle varroe figlie a completare la propria maturazione e incamerare le sostanze nutritive indispensabili alla produzione di uova. Inoltre, si sa che la Varroa, essendo cieca e trovandosi per giunta in un ambiente buio, si orienta con segnali chimici e riconosce attraverso degli «odori» (cairomoni) le api adulte  e l’età della covata da infestare. Per poter parassitizzare nuova covata, la Varroa deve raggiungere una nutrice che riconoscerà attraverso questi segnali odorosi, e utilizzarla come un autobus da prendere al volo. È questa una ragione fondamentale per cui in determinati periodi dell’anno (fine autunno/inizio inverno, oppure fine inverno/inizio primavera) gli ultimi o i primi  cicli di covata risultano meno parassitizzati: vi sono meno nutrici all’opera e quindi meno autobus in circolazione, dettaglio non da poco che costringerà la Varroa a sostare sulle api adulte. Questa è una fase di debolezza della Varroa, specialmente verso la primavera e a fine autunno, poiché assistiamo a una ripresa della deposizione da parte della regina in primavera, ma supportata da  nutrici vecchie (sempre ragionando in condizioni non eccessivamente meridionali), con le conseguenze che ora possiamo dedurre sulla velocità di parassitizzazione della Varroa. L’inverso a fine autunno quando una  consistente parte di api non lavora da nutrice, per  potersi trasformare in ape invernale (e se lavora come nutrice non lo può fare).  Inoltre, finché non vi è una ripresa significativa dell’importazione di polline in primavera ovvero finché non sarà scarso  in autunno, la Varroa infesterà la covata lentamente e tenderà a mantenersi sensibilmente in fase foretica. è interessante precisare con decisione  che sono due cose profondamente distinte la velocità, ovvero la  quantità di tempo necessaria per rientrare in una cella una volta uscita e la quantità di progenie prodotta una volta opercolata nella cella insieme alla larva (definendosi questo secondo  aspetto riproduzione). Le due cose sono profondamente distinte ed insieme danno luogo a un ciclo. Per tale ragione sono stati suggeriti dei trattamenti di pulizia primaverili o tardo invernali, secondo le condizioni climatiche, la cui logica si basa sulla «lentezza» della Varroa in questa fase dell’anno; oltreché sul fatto che abbattere varroe in questo periodo non significa solo contrastare la varroasi ma favorire una riduzione sensibile della dinamica virale dell’alveare per i mesi successivi. Avremmo quindi, finalmente, un metodo di contrasto verso la diffusione dei virus (DWV in primis), contro i quali nulla fanno i trattamenti estivi e ancor meno possono fare quelli autunnali. Di contro, un trattamento estivo non può che essere un «tampone» rispetto alla varroasi, cioè una mera azione di contenimento, peraltro spesso inefficace a causa delle tempistiche sbagliate (trattamento effettuato in ritardo) e dell’impennata di popolazione di Varroa rispetto al numero di api, e potrà spesso ritenersi un puntuale alleato dei virus per la situazione di stress immunitario che comporta.
Si è dunque parlato di trattamento primaverile/tardo invernale e poi estivo, ma, poiché disponiamo di varroacidi ad azione differente, indifferente non sarà l’uso di uno o dell’altro, o la loro alternanza o successione più o meno ravvicinata. Molti apicoltori, da anni, sfruttano l’alternanza dei principi attivi, senza però comprendere che affinché tale alternanza risulti efficace non si può non considerare il ciclo biologico della Varroa. È sufficiente invertire l’ordine di somministrazione di due principi attivi affinché la loro efficacia si riduca in modo paradossale. Abbiamo suggerito in diverse occasioni quattro possibili trattamenti per la fase primaverile/tardo-invernale: Apibioxal gocciolato, Apibioxal gocciolato + evaporante a base di timolo, strisce di Apivar, Maqs. I quattro trattamenti hanno un’efficacia variabile e sono posti in ordine dal meno al più efficace (con differenze di pochi punti percentuali tra gli ultimi tre). Tutti sono relativamente efficaci a temperature relativamente basse. Se Apivar è un medicinale  a rilascio prolungato, per Apibioxal parliamo di una modalità di somministrazione topica e un’azione per contatto ridotta a un tempo di circa 48 ore. Ciò implica che colpirò varroe in fase foretica e l’azione per contatto è pressoché immediata. Il timolo nelle varie formulazioni agisce a sua volta sul lungo periodo. Cosa producono questi medicinali nel dettaglio e nel tempo a livello di abbattimento?
Tutti e tre producono una certa mortalità di varroe foretiche dall’inizio del trattamento. Dopo circa 48 ore, a seguito dell’uso di uno dei tre medicinali, di varroe in fase foretica ne sono rimaste molte di meno e mentre ApiBioxal saluta e sparisce, i formulati a base di timolo o di formico continuano e inoltre aspettano le varroe  che escono dalla covata per diversi altri giorni, mentre quelli in striscia (Apistan e Apivar) la aspettano per diverse settimane.
Ciò significa che dopo 48 ore circa di trattamento con ApiBioxal,  e a maggior ragione dopo 72 ore o più per i medicinali a lento rilascio, il numero di varroe all’esterno della covata sarà molto rarefatto. Sono abbastanza poche, se non pochissime, le varroe sulle nutrici. Le foretiche di inizio trattamento sono in gran parte morte o entrate nelle celle. Eppure, non manca mai chi fa un bell’ossalico dopo aver fatto formulati al timolo o in strisce ancora in piena presenza di covata.
Speriamo di aver potuto spiegare che un simile ordine di intervento è destinato ad accoppare molte api e pochissime varroe. Soldi spesi malissimo e tempo impiegato ancora peggio.
È solo dopo diverse settimane dall’impiego di un varroacida  che si ritorna ad avere (di quelle ancora presenti) un rapporto di una fuori e due dentro (salvo la indisponibilità di polline non determini consistenti riduzioni di allevamento di covata, cosa che accresce la percentuale di varroe all’esterno della stessa).
Per cui i trattamenti topici a seguito di medicinali a lungo rilascio sono madornali errori gestionali che sparano ai fantasmi.
I trattamenti topici (ApiBioxal) possono avere un senso (consistente) immediatamente prima dei medicinali a lungo rilascio (o in contemporanea) per diminuire il tempo di abbattimento, lavorando sul grosso delle varroe in fase foretica (sul quale ad esempio il timolo stenta), ma mai dopo (salvo non si sia appunto arrivati ad una consistente riduzione della presenza di covata).
È capitato di osservare nel periodo estivo (Italia settentrionale) dei trattamenti che si basavano su ossalico gocciolato e ripetuto a fine agosto, con Apistan a fine novembre, quando invece per risultare efficace l’ordine dei trattamenti avrebbe dovuto essere invertito (peraltro con minor impiego di risorse), essendo l’Apistan efficace in presenza di abbondante covata, attività frenetica delle api e quindi temperature minime non inferiori ai 13-14 °C e ApiBioxal invece con assenza di covata (Varroa in fase foretica). E anche casi di formulazioni a base di timolo seguite da ApiBioxal in piena presenza di covata. Tutte queste sono considerazioni non di poco conto e risulta palese come l’efficacia di un principio attivo e l’ordine nella successione di più medicinali, condizionino il risultato finale di abbattimento di Varroa e anche quello di abbattimento di api.
 
 
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ApiBioxal sublimato

ApiBioxal gocciolato
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 08/01/2015 da Luca Tufano e Gianni Savorelli
 
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