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 Biologia
Poliandria e salute dell'alveare: due nuovi studi a confronto
 
di Luca Tufano e Gianni Savorelli
 
La poliandria nelle api ha attirato, da sempre, l’attenzione di genetisti e biologi perché, da un punto di vista evolutivo, apparirebbe, di primo acchito, come un comportamento poco vantaggioso, non necessario e non spiegabile. Cerchiamo di capire bene come stanno esattamente le cose, avvalendoci di quanto dicono due, recentissimi, studi
 
Presso le specie animali, la monogamia è ben lontana dal costituire la regola. In alcuni mammiferi, come i cervi ad esempio, è diffusa la poligamia e per questa ragione vediamo i giovani maschi, di questa specie, disputare ferocemente tra di loro per ottenere i favori non di una femmina, ma di un gruppo di femmine.
Negli insetti sociali, diversamente, vi sono alcune specie monogame accanto a numerose specie, in particolare tra le vespe e le formiche, dedite alla poliandria, cioè abbiamo una femmina che si accoppia e riproduce con più esemplari maschi. Si parla di poliandria estrema quando il numero dei maschi supera i sei esemplari.
Le api, come noto, rientrano in questa categoria, possedendo le regine un comportamento poliandrico accentuato: la regina effettua uno o più voli nuziali (fino a cinque) che le permetteranno di accumulare nella spermateca lo sperma proveniente da all’incirca 12 fuchi (Strassmann, 2001), fino ad un massimo di 20 nelle condizioni migliori. La poliandria nelle api ha attirato, da sempre, l’attenzione di genetisti e biologi perché, da un punto di vista evolutivo, apparirebbe di primo acchito come un comportamento poco vantaggioso, non necessario e non spiegabile.
Sul piano strettamente riproduttivo, infatti, un solo fuco può fornire tutta la quantità di sperma necessario a saturare la spermateca della regina (Oldroyd et Fewell, 2007). Inoltre, il volo nuziale presenta numerose difficoltà e pericoli sia per la regina vergine sia per i fuchi che sono esposti a rischi di predazione (uccelli e insetti predatori), nonché a un logoramento e dispendio di energie per poter affrontare voli lunghi dai risultati incerti, oltre alle fatiche che richiede l’accoppiamento stesso.
Sono state formulate negli anni differenti ipotesi, ma alcuni studi, recentissimi e molto innovativi, hanno fornito delle convincenti risposte in merito, rivelando come “Madre” Natura sia ben lontana dall’operare a caso. E ancora, sulla base di queste ricerche, emerge una relazione stretta tra le prestazioni di un alveare e la sua capacità di bottinamento da una parte e la poliandria dall’altra.
A sua volta, però, la poliandria e la capacità di fecondazione dei fuchi è condizionata dalla stato di salute dei maschi e dalla presenza di N. ceranae nella colonia, come vedremo.
Ad un esame approfondito, emerge come la poliandria delle api presenti, in ogni caso, dei vantaggi superiori ai rischi che si corrono per ottenerla. Se teoricamente la possibilità di trasmissione di patogeni per via sessuale dai fuchi alla regina (de Miranda et Fries, 2008; Cruz-Landim et. Al, 2012) varia e aumenta ragionevolmente in virtù della quantità dei maschi che partecipano alla fecondazione, l’inconveniente è compensato dalla straordinaria diversità delle sub-famiglie patrilinee che la poliandria estrema genera all’interno della medesima famiglia e dai sostanziali benefici funzionali che questa diversità determina.
È ritenuto probabile che operaie che svolgono all’interno dell’alveare compiti differenti siano caratterizzate e differiscano per patrilinea. La presenza di operaie «specializzate» e geneticamente diverse all’interno di alveare con linea paterna multipla è una caratteristica virtuosa che permette di aumentare le abilità delle api nel rispondere alle perturbazioni ambientali e ai patogeni (Oldroyd et Fewell, 2007).
Nell’alveare, infatti, un’elevata complessità della sua struttura genetica è correlata a una maggiore produttività di bottinamento, con sviluppo in tempi più brevi della colonia, e sopravvivenza e successo riproduttivo sul lungo periodo (Oldroyd et al., 1992; Cole et Wiernasz, 1999; Murakami et al., 2000; Goodisman et al., 2007; Mattila et Seeley, 2007; Mattila et al., 2008; Wiernasz et al., 2004, 2008). In accordo con lo scout-recruit model di Biesmeijer e de Vries (2001), una bottinatrice può essere informata di una fonte di cibo e quindi utilizzarla o perché è essa stessa a scoprirla (è scout), e individua le fonti di cibo attraverso sue proprie perlustrazioni, o perché è stata «reclutata» appositamente per quel compito; o ancora perché una bottinatrice esperta l’ha informata attraverso la waggle dance; oppure per il fatto che la nostra operaia è un’«ispettrice» con precedenti conoscenze delle fonti di cibo e si rende conto, controllando direttamente, che tali fonti sono ancora utilizzabili.
Benché le bottinatrici possano «spostarsi» attraverso questi stati comportamentali (Seeley, 1983; Biesmeijer e Seeley, 2005; Johnson et Frost, 2012), le caratteristiche genetiche della bottinatrice (il suo genetic makeup, come lo chiamano gli studiosi) influenzano la sua partecipazione a questo processo. Gli studi di campo stanno rivelando come la diversità genetica migliori lo sforzo di bottinamento per ogni categoria comportamentale nell’ambito della quale una bottinatrice può operare. Il ruolo delle «ispettrici» è fra i più importanti per l’organizzazione dello sforzo di bottinamento dell’alveare. Normalmente la maggioranza (circa 67%) delle bottinatrici che sfrutta una fonte di cibo precedentemente nota lo fa perché ha ispezionato la fonte essa stessa, non perché le singole bottinatrici sono state riattivate da segnali di reclutamento (Biesmeijer et Seeley, 2005), cosa che comporta un maggiore lavoro. L’attività delle ispettrici permette, invece, al collettivo delle bottinatrici di monitorare con reattività maggiore i cambiamenti nel breve termine della disponibilità di risorse (Granovskiy et al., 2012), senza che la massa delle bottinatrici si faccia carico di questo monitoraggio, che, comunque, non potrebbe svolgere efficientemente come le ispettrici, in ragione delle sue funzioni di bottinamento e dei molti viaggi effettuati a tale scopo. Nello studio pubblicato su Apidologie1, intitolato Extreme polyandry improves a honey bee colony’s ability to track dynamic foraging opportunities via greater activity of inspecting bees, di Heather R. Mattila e Thomas D. Seeley si è comparata la differenza dell’attività di bottinamento, quando scoperta delle fonti di cibo e reclutamento dipendono dalle ispettrici. L’approccio ha consentito di valutare se la struttura genetica di una colonia influisce o meno sulla velocità e intensità della risposta dell’alveare ai cambiamenti di disponibilità di cibo. La questione non è di poco conto anche rispetto alla pratica apistica, visto e considerato che in diverse situazioni i fiori concedono nettare per poche ore al giorno o per ristretti periodi di tempo a causa delle avverse condizioni meteorologiche, e pertanto vi sarà una bella differenza di raccolto se le api sono svelte ad approfittare della disponibilità nettarifera.
Lo studio da noi citato ha dimostrato, in modo inequivocabile, che la capacità di approfittare delle repentine variazioni del pascolo è prodotta in colonie a patrilinea multipla, tramite un aumento dell’attività delle bottinatrici «ispettrici» che sono bottinatrici «disoccupate» e con esperienza che visitano le fonti di cibo precedentemente utilizzate, per verificare se possono essere sfruttate nuovamente (Biesmeijer et de Vries, 2001). Regine inseminate da molti fuchi (18-20) producono colonie che rispondono con maggiore rapidità e maggiore forza numerica alla rinnovata fonte di cibo, rispetto a regine fecondate da un solo fuco.
Il disegno sperimentale ha permesso di confrontare le diverse tendenze delle bottinatrici, rivelando come le bottinatrici derivanti da una poliandria estrema sono più sensibili alle variazioni del pascolo, più reattive e più rapide nel comunicare i risultati delle proprie ricerche, consentendo alle altre bottinatrici, attraverso apposite danze, di raggiungere rapidamente e poter velocemente bottinare una fonte di cibo.
Più frequenti ispezioni possono generare un volo delle bottinatrici fino a cinque volte superiore e le ispettrici producono in colonie a patrilinea multipla, rispetto a colonie a patrilinea singola fino a 5 volte in più di waggle dances, fornendo, dunque, fino a 5 volte in più segnali utili all’individuazione di fonti di cibo. In media, nel corso del test, della durata di 4 giorni, le ispettrici degli alveari a patrilinea multipla hanno ispezionato i nutritori tre volte in più rispetto alle ispettrici di famiglia a patrilinea singola. La maggiore attività implica, allora, un maggiore reclutamento di bottinatrici, attraverso apposite danze e, quindi, maggiore attività di bottinamento complessiva dell’alveare.
Ma c’è dell’altro.
Le ispettrici a patrilinea multipla hanno verificato, nel corso dei test, le condizioni del nutritore più frequentemente delle altre. Da ultimo, le bottinatrici di famiglie a patrilinea multipla tendono a scoprire e comunicare all’alveare, con maggiore velocità, quando il nutritore (o i fiori) dispongono nuovamente di risorse utili. Insomma, nelle famiglie derivate da regine estremamente poliandriche, non ci sono solo più bottinatrici coinvolte nella scoperta, sfruttamento e reclutamento di forza lavoro verso rinnovate fonti nettarifere, ma le ispettrici svolgono anche un maggior numero di verifiche, aumentando così, complessivamente e di molto, le capacità di bottinamento della famiglia.
Ciò implica più rapida scoperta di fonti di cibo e più veloce reclutamento, di fatto risultati maggiori, in tempi più brevi.
Questa recente ricerca di Mattila e Seeley studia, per la prima volta, il legame tra genotipo e capacità di ispezione, scoprendo che la probabilità che una bottinatrice diventi «ispettrice», migliorando così le prestazioni generali dell’alveare, è influenzata dalla linea paterna alla quale appartiene. Approssimativamente, un terzo delle ispettrici di una colonia deriva da un numero limitato di linee paterne (da una a tre) tra le molte linee presenti e le linee paterne che producono le ispettrici spesso non solo le stesse che generano la massa delle bottinatrici, ragione per cui per avere un buon numero di ispettrici è necessario che vi sia un numero elevato di linee paterne: che la regina sia stata fecondata da un numero alto di fuchi.
Tuttavia, venendo alle note dolenti, è piuttosto raro che la poliandria estrema si verifichi, oggi, con la stessa facilità del passato, a causa della mutata (in peggio) situazione sanitaria e della diffusione di malattie molto pericolose, come il Nosema ceranae, che, essendo asintomatiche, sono trascurate e non trattate dagli apicoltori.
I fuchi, poi, vengono spesso considerati molto poco sia dalla letteratura specialistica sia dagli apicoltori, tuttavia le loro condizioni di salute non sono indifferenti al benessere dell’alveare, anche se i fuchi risultano particolarmente soggetti ad alcune patologie. Ciò impone delle riflessioni anche rispetto a quanto abbiamo detto prima circa le virtuosità e le maggiori capacità di bottinamento di famiglie a linea paterna multipla.
I fuchi sono, in realtà, un elemento critico sia per l’allevamento delle api sia per la selezione naturale.
Nell’alveare vi sono differenze di immunocompetenza tra i sessi, derivate, probabilmente, da differenti strategie di somministrazione di risorse vitali, in relazione alle necessità di riproduzione e di sopravvivenza.
Un recente studio intitolato Sex-Specific Differences in Pathogen Susceptibility in Honey Bees (Apis mellifera) di Gina Retschnig , Geoffrey R. Williams, Marion M. Mehmann, Orlando Yanez, Joachim R. de Miranda, Peter Neumann2 ha messo in luce che il N. ceranae produce una consistente mortalità tra i fuchi e quelli che riescono a sopravvivere presentano una massa corporea ridotta, caratteristica morfologica che induce a ipotizzare che possano avere difficoltà di volo e che queste difficoltà vadano a determinare delle insufficienze di fecondazione delle regine, con un numero di fuchi inferiore atti alla fecondazione. Pur con tutti limiti delle condizioni di laboratorio (i fuchi soffrono particolarmente l’allevamento in laboratorio), N. ceranae mostra sui maschi un forte impatto. Nelle condizioni di laboratorio, la mortalità dei fuchi è risultata, nei 14 giorni di test, la seguente: 62,5% nei gruppi di controllo, 87,5% nei gruppi infettati da N. ceranae e 92,5% nei gruppi infettati con N. ceranaee e BQCV (Black queen cell virus, virus associato a N. apis e N. ceranae)3. In aggiunta alla mortalità provocata dal patogeno, i sopravvissuti presentano una perdita di peso non trascurabile (16% circa). Meno di 2 milioni di spore, 8 giorni dopo l’infezione, danno effetti di ridotta sopravvivenza. I risultati suggeriscono che la mortalità dei fuchi, a seguito di infezione da N. ceranae, può avvenire nel giro di una settimana dall’ingestione del patogeno.
Emerge, chiaramente, come i dati raccolti da queste due ricerche siano strettamente collegati e come la situazione sanitaria dei fuchi possa pesare sulle produzioni e sulla sopravvivenza delle famiglie. Se una poliandria estrema e quindi regine fecondate da un numero elevato di fuchi (18-20) garantiscono generazioni di bottinatrici maggiormente efficienti (in ragione della più numerosa presenza di «ispettrici», che dipendono da specifiche linee paterne) e pertanto, grazie alla maggiore disponibilità di cibo e alla elevata capacità di sfruttamento di fonti nettarifere e pollinifere, anche colonie con condizioni di salute migliori e maggiore resistenza ai patogeni4, allo stesso tempo la poliandria dipende, verosimilmente, dalle condizioni di salute dei fuchi.
Il proliferare di infezioni causate da N. ceranae e patogeni associati impedisce le buone prestazioni dei fuchi, ostacolando così il fenomeno naturale e funzionale alla sopravvivenza della specie noto come poliandria, dimostrando ancora una volta come questa patologia (N. ceranae), così irragionevolmente trascurata perché apparentemente asintomatica, possa invece causare sotterranei e gravissimi danni alla sottospecie di Apis mellifera; danni capaci di comprometterne, nel giro di poche generazioni, accanto alle prestazioni di bottinamento, anche le stesse capacità di sopravvivenza. Inoltre, il virus BQCV, spesso associato a N. ceranae, si manifesta tipicamente proprio sulle pupe di regina e sulle celle reali e perciò si evidenzia particolarmente negli allevamenti di regine, e può costituire un campanello di allarme significativo della associata presenza di N. ceranae in quelle colonie, ma sarebbe meglio dire in quelle zone. La capacità di fecondazione dei fuchi provenienti da colonie infette da N. ceranae sarà, verosimilmente, compromessa e otterremo un impoverimento complessivo delle linee e caratteristiche genetiche di un ceppo, a causa di un impoverimento delle patrilinee, con tutte le ricadute ormai ben note sul piano funzionale. Le nostre regine saranno «dimezzate», alla maniera del visconte di Italo Calvino, e genereranno delle colonie meno propense all’attività di bottinamento e meno capaci di sfruttare le risorse del pascolo (svantaggio non da poco, specialmente per chi pratica nomadismo e utilizza brevi «finestre» per fare raccolto). Allo stesso tempo, colonie incapaci di approvvigionarsi in modo soddisfacente, sia in termini nettariferi ma ancora di più polliniferi, risulteranno sicuramente più sensibili a tutti i patogeni nel complesso, con maggiori rischi per la sopravvivenza della colonia che risulterà di conseguenza anche meno produttiva. Anche in caso di sopravvivenza, i superstiti avranno delle performances ancora più compromesse dal maggior impatto dei patogeni, facendo cadere l’alveare in una spirale perversa che genera api e fuchi progressivamente sempre più deboli, forse fatalmente costretti a svanire. In parallelo, si selezionano probabilmente delle linee resistenti al Nosema ma che possono soccombere per Varroa-virus.
Non è una prospettiva felice ed è anzi uno scenario drammatico perché, al di là delle sorti dell’apicoltura moderna, queste ipotesi scientifiche aprono a qualcosa di «apocalittico», a una catastrofe ecologica che rischia di coincidere se non con l’estinzione almeno con la riduzione al lumicino del patrimonio genetico delle api, con gravi rischi per la sopravvivenza della specie.
 
Note

1. Apidologie anno 2013. Ricevuta 6 giugno 2013, accettata 23 ottobre 2013.

2. PlosOne anno 2014. Ricerca ricevuta il 18 luglio 2013, approvata il 25 novembre 2013, pubblicata il 17 gennaio 2014.

3. Come Nosema, a cui è associato, anche questo virus si trasmette per via oro-fecale, ma non causa sintomi visibili nelle api adulte infette.
È strettamente associato con l’infezione da N. apis ma come interagisca con N. ceranae non è ancora chiaro. Black queen cell virus - Virus della cella reale nera (BQCV) - si sviluppa esclusivamente nelle celle di regina, specialmente in associazione con Nosema. Colpisce le pupe delle regine, che muoiono e diventano nere, come nere diventano le celle reali. La malattia compare più frequentemente negli allevamenti di regine e si combatte praticando una razionale lotta alla nosemiasi (Cfr. A. Contessi Le api - Cap. 9 “Le malattie degli adulti” - Edagricole).

4. Abbiamo in diversi articoli insistito sulla relazione tra la risposta immunitaria (che dipende dalla disponibilità di alcuni elementi proteici atti ad attivare
i geni deputati) e le condizioni del pascolo. Vedi, tra gli altri, Attivazione immunitaria dell’ape, patogeni e condizioni del pascolo di Gianni Savorelli, David Baracchi e Luca Tufano, Apitalia gennaio 2014. Proprio in considerazione delle condizioni del pascolo, che si presentano spesso inidonee per assenza di polifloralità e quindi di pollini ricchi dal punto di vista nutrizionale, nonché della variabilità di queste condizioni in ragione dei rapidi e avversi mutamenti climatici o delle caratteristiche dei diversi fiori, è indispensabile avere famiglie che sappiano al meglio sfruttare in breve tempo la disponibilità di cibo nei periodo in cui essa è alla portata. Come abbiamo visto, questa capacità è condizionata dalla presenza di bottinatrici «ispettrici».
 
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Un fuco con l'endofallo estroflesso.

 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 07/03/2014 da Luca Tufano e Gianni Savorelli
 
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