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 Ambiente
Api, il rilancio da risorse più eque e stop alla moria
 
di Ambiente e Territorio - Coldiretti
 
Valutiamo con favore quanto dichiarato dalla Coldiretti e che qui di seguito riportiamo. Valutiamo con favore, almeno così ci sembra di capire, che si punti il dito non solo sui neonicotinoidi (del resto, già da diversi anni in sospensiva) ma anche sull’arsenale chimico che viene usato in agricoltura convenzionale. Non siamo d’accordo sul fatto che questi fitofarmaci siano considerati sotto controllo. Non siamo d’accordo sul fatto che si punti il dito contro le ditte che commercializzano farmaci contro le malattie dell’alveare: loro non c’entrano niente. Sino ad ora i soldi, destinati al settore apistico, noi non capiamo bene a che cosa siano serviti. Certo, potrebbe dipendere dalla nostra scarsa capacità di comprensione e dunque non mettiamo sul banco degli imputati nessuno. Ciò non toglie che a nome degli apicoltori chiediamo, a gran voce, una rendicontazione: punto per punto. Un fatto è certo, occorre darsi una mossa se vogliamo salvare l’Apicoltura
 
L’apicoltura chiede una maggiore attenzione per lo sviluppo del settore attraverso un’equa distribuzione delle risorse finanziare alle imprese e la soluzione di alcuni problemi che gravano sul settore causando una netta perdita del patrimonio apistico con rilevanti danni economici ed ambientali.
E’ una popolazione stimata in circa 50 miliardi di api ed 1 milione di alveari che offrono gratuitamente un servizio di impollinazione a beneficio dello sviluppo delle colture agricole, lungo tutto lo Stivale, che si aggira intorno ai 2,5 miliardi di euro l’anno.
E’ quanto emerso da un incontro di Coldiretti con gli apicoltori associati che ha consentito di fare il punto della situazione su un settore strategico per l’agricoltura, ma troppo spesso sottovalutato a livello istituzionale. Il settore risente di una forte crisi confermata dai dati dell’Osservatorio nazionale miele secondo il quale la produzione 2012 è stata scarsa, molto scarsa o, addirittura, nulla in alcune zone, a raccolti ormai conclusi.
Un’annata decisamente non soddisfacente per la grande maggioranza dei mieli prodotti. La produzione è stata difficoltosa un po’ in tutta la penisola: al Nord per quanto riguarda il raccolto di acacia, al Sud e nelle Isole per quanto riguarda i mieli tradizionalmente vocati, come gli agrumi e l’eucalipto. I dati dell’Osservatorio evidenziano una molteplicità di cause, imputabili principalmente al cambiamento climatico. In particolar modo, nel periodo estivo, le alte temperature persistenti, unite alla siccità, hanno causato, oltre che produzioni pressoché nulle, anche un elevato consumo di miele nei melari da parte delle api, ridotte alla fame: sono giunte da tutta Italia segnalazioni di ricorso all’alimentazione per le api.
Solo a macchia di leopardo si sono registrate produzioni sufficienti: melata di bosco in Piemonte e millefiori nella zona della Campania e Molise. Nel 2012 meglio è andata per altri tipi di miele, come castagno e sulla, ma la loro produzione non è bastata a salvare un anno negativo.
Nel corso dell’incontro organizzato da Coldiretti, il primo problema emerso è il fatto che le risorse finanziarie, destinate alle Associazioni degli apicoltori per la realizzazione del programma di sviluppo del settore, sono erogate senza operare una distinzione tra apicoltori professionali e hobbisti, a scapito di chi esercita l’apicoltura a livello imprenditoriale: numericamente rappresenta spesso nelle associazioni solo l’1% degli associati.
Il problema andrebbe affrontato sia nell’ambito delle risorse stanziate dal programma nazionale per il settore ,attualmente in corso di approvazione da parte del ministero sia nel contesto degli aiuti previsti dai Piani di Sviluppo Rurale.
Altra questione emersa è quella della compatibilità tra impiego di fitofarmaci da parte degli agricoltori ed eventuali effetti negativi sulla salute delle api. Oltre, infatti, al problema dell’uso dei neonicotinoidi che ormai è in via di risoluzione a livello comunitario (la votazione svolta in Commissione europea a metà marzo ha ingarbugliato la cosa, ndr), gli apicoltori chiedono che siano identificati, tra i prodotti fitosanitari registrati prima dell’entrata in vigore del reg. CE 1107/2009, che ha introdotto criteri di valutazione delle sostanze attive molto più rigorosi, quelli che possono pregiudicare la salute degli insetti impollinatori.
Già alcuni anni fa, l’attività di ricerca svolta dal gruppo di lavoro dell’Area di Entomologia del Dipartimento di Scienze e tecnologie Agro ambientali dell’Università di Bologna e del Cra - Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna aveva effettuato delle sperimentazioni evidenziando come i metodi per valutare gli effetti dei fitofarmaci verso le api ai sensi della vecchia dir. 91/414/CEE, si basavano fondamentalmente su fenomeni macroscopici come la mortalità e l’attività di bottinamento. A questi basilari studi, che fornivano importanti informazioni sull’azione degli fitofarmaci verso le api, secondo il Cra Api bisognava affiancare saggi di tipo comportamentale. Alcuni dei prodotti fitosanitari di vecchia registrazione e attualmente in commercio, infatti, possono influire negativamente sull’etologia, sull’orientamento o sul sofisticato organismo delle api, determinando un lento ma inesorabile fatale processo di indebolimento dell’alveare. Inoltre, considerando che la sensibilità verso lo stesso fitofarmaco da parte di api provenienti da zone diverse, o addirittura da famiglie differenti, può variare considerevolmente (come riportato da diversi lavori scientifici), l’Istituto evidenzia che sarebbe utile condurre le prove per l’autorizzazione all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, in aree più limitate rispetto a quelle che l’attuale normativa prevede.
E’ ormai una considerazione ampiamente condivisa che le api siano uno “strumento” insostituibile nell’opera di impollinazione di moltissime colture agricole e la loro salvaguardia, che inizia da un impiego oculato dei fitofarmaci, è essenziale per una buona produzione agricola sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Gli studi condotti in merito dal Cra - Api hanno valutato non solo il tasso di mortalità delle api prima e dopo l’intervento fitoiatrico, ma hanno considerato l’alto livello di socialità di questi insetti, anche rispetto a numerosi altri parametri come la “forza” della famiglia, l’attività di volo e di bottinamento, l’eventuale presenza di residui della sostanza attiva in studio nelle matrici apistiche, la raccolta del polline, ecc. Inoltre, le sperimentazioni hanno evidenziato come diversi fitofarmaci possono agire, in un tempo più o meno lungo, anche sulla covata aumentando i tempi di osservazione rispetto a quelli delle normali sperimentazioni. Il Cra - Api, ha evidenziato, però, che nonostante l’alta tossicità rilevata in laboratorio di alcuni fitofarmaci, il prodotto in campo, se utilizzato seguendo le norme tecniche di impiego indicate in etichetta (in particolare l’intervento chimico da effettuarsi a non meno di 10 giorni dall’inizio dell’antesie (in assenza di altre fioriture nelle vicinanze), non risulta pericoloso per le api. Quando si verificano, pertanto, fenomeni di mortalità e spopolamenti degli alveari in seguito all’uso di questi prodotti ciò avviene a causa, probabilmente, di utilizzi non corretti da parte di alcuni agricoltori o perché si tratta di un prodotto valutato dalla Commissione Ue sui parametri della dir. 91/414/Cee che allora non prevedevano prove sperimentali sufficientemente esaustive per escludere il rischio di tossicità di una sostanza attiva per le api.
Il reg. 1107/2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari che ha sostituito la dir. 91/414/Cee, ha risolto tale problema in quanto stabilisce all’allegato II, punto 3.8.3, che per le nuove registrazioni di fitofarmaci “una sostanza attiva, un antidoto agronomico o un sinergizzante sono approvati soltanto se, alla luce di un’adeguata valutazione del rischio fondata su orientamenti per l’esecuzione di test riconosciuti a livello comunitario o internazionale, è stabilito che, nelle condizioni d’utilizzo proposte, l’impiego dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva, l’antidoto agronomico o il “sinergizzante” in questione comporti un’esposizione trascurabile per le api o non abbia alcun effetto inaccettabile acuto o cronico per la sopravvivenza e lo sviluppo della colonia, tenendo conto degli effetti sulle larve di api e sul comportamento delle api. La nuova regolamentazione comunitaria sui fitofarmaci garantisce, allora, la piena compatibilità tra l’uso dei prodotti fitosanitari e la sopravvivenza delle api anche perché l’uso di tali mezzi di produzione è indispensabile in agricoltura, in quanto come ha evidenziato un interessante studio pubblicato sulla rivista Nature “il metodo di produzione biologico fa bene all’ambiente, ma non è in grado di sfamare il mondo” (www.ambienteterritorio.coldiretti.it/tematiche/Agricoltura-Biologica/Pagine/Ilbiologicod%C3%A0beneficiambientalimanonpu%C3%B2sfamareilmondo.aspx).
Ma il problema principale relativo alla tutela della salute di tali preziosi insetti - hanno evidenziato gli apicoltori associati a Coldiretti - non è tanto quello dell’uso dei fitofarmaci da parte degli agricoltori confinanti, ma la varroa, l’acaro parassita che non è stato sconfitto in quanto sul mercato italiano i pochissimi prodotti a disposizione non sono in grado di debellarlo efficacemente. Si tratta di una vera piaga per gli alveari ed è la principale causa di moria delle api che determina non solo rilevanti danni economici all’apicoltore, ma anche sul piano ambientale. Gli apicoltori chiedono, quindi, un intervento presso il ministero della Salute e i servizi veterinari regionali affinché alcuni di tali prodotti siano dichiarati inefficaci, a causa di fenomeni di farmaco resistenza. Una soluzione possibile è quella di chiedere al ministero l’attuazione del principio del mutuo riconoscimento per alcuni prodotti autorizzati in altri Stati membri per la lotta alla varroa attualmente non registrati in Italia per la loro commercializzazione. La mancanza sul mercato italiano di prodotti efficaci per la lotta alla varroa è dovuta anche al fatto che le case produttrici di farmaci veterinari non hanno investito in questi anni nella ricerca e nella sperimentazione per gli elevati costi di registrazione considerato che si tratta di un settore che viene considerato di minore rilevanza economica rispetto ad altre tipologie di allevamenti.
Secondo Coldiretti, occorre individuare nuovi percorsi, creando accordi di collaborazione per la ricerca sperimentale tra il ministero della Salute le associazioni di apicoltori e le case produttrici dei fitofarmaci, così come è stato fatto di recente per la registrazione dell’acido ossalico. Avviando dei progetti di ricerca che, finanziati con risorse pubbliche, consentono un abbattimento dei costi di registrazione e creino un margine di convenienza alle case produttrici, per immettere sul mercato nuovi farmaci per la lotta alla varroa.
 
 
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Scritto in data 19/04/2013 da Ambiente e Territorio - Coldiretti
 
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