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 L'opinione
Non è tutto oro quel che luccica
 
di Gianni Stoppa
 
Chi mi conosce sa bene quello che faccio, non posso raccontare barzellette. Ho sempre creduto che si può lavorare in modo sostenibile e pulito. In più, è inconfutabile che l’esperienza si fa sulla propria pelle e si paga molto cara, specialmente in apicoltura dove gli effetti di un errore si vedono e come e per porvi rimedio, a volte, non basta una sola stagione
 
Mi sembra chiaro, e senza ombra di dubbio, che il miele deve restare  esente dall’antibiotico. Lo affermo non per fanatismo prescientifico, ma anche per ricordare a tutti gli apicoltori che nell’immaginario collettivo il Miele è simbolo di Naturale, Sano, Buono, Genuino. Per farmi capire meglio è doveroso che i miei ricordi tornino indietro di almeno vent’anni. E ne spiego subito la ragione.
Sono entrato nel mondo apistico proprio perché qualcuno parlava di truffe da parte degli apicoltori, accusandoli di produrre il buon miele delle api somministrandogli zucchero.
Da buon consumatore mi sono sentito preso in giro.
Allora, senza indugi, per saperne di più ho frequentato il settore e la cosa è risultata fatale. Prima di questa scelta ero già convinto, e sicuro, che l’agricoltura e tutto quello che c’è di correlato si potesse fare con un basso impatto ambientale e una sostenibilità rivolta a dare un senso nel produrre a dimensione d’uomo. È ovvio che quando s’industrializza un’attività, di certo a rimetterci è la qualità del prodotto: sovente, per raggiungere gli obiettivi produttivi, si usano metodi e sistemi volti a velocizzare la filiera. Magari se le cose non vanno bene e si è presi dalla disperazione si arriva al limite o si oltrepassa la legalità. Tutto vero, però, per quanto mi riguarda, il dover produrre non giustifica comportamenti maldestri: forse poi ci dimentichiamo che l’apicoltura italiana è fatta ti tanti apicoltori che detengono poche api. Che interesse hanno a compromettere il loro lavoro con tali pratiche al di fuori dalla legge? Capisco ma non condivido, invece, il comportamento dei pochi che detengono molte famiglie. Non voglio mettere nessuno sul banco degli imputati, ma ritengo sia giusto che inizino a interrogarsi sul senso di fare apicoltura in quel modo. Una riflessione, sempre del tutto personale. Siamo arrivati al punto che per demerito di chi ha utilizzato e utilizza ancora, illegalmente, sostanze non ammesse nel settore apicoltura, anche chi ha cercato di lavorare in modo pulito si è trovato il proprio ambiente alveare sporco e inquinato, senza avere neppure mai visto alcun prodotto di sintesi o non ammesso. Ora c’è chi vorrebbe far passare l’uso degli antibiotici anche nel nostro settore, affermando che ormai nel miele un tot di residuo di antibiotici è presente.
Un legittimo sospetto mi viene dal Progetto europeo di sorveglianza epidemiologica dello stato di salute delle api, coordinato dal ministero della Salute. È appena terminato il progetto APENET, ricerca biennale fatta su tutto il territorio nazionale dove si è monitorato l’ambiente alveare dal punto di vita epidemiologico e pressione ambientale esterna. Ne è scaturito una grande quantità di dati e risultati, a mio avviso di notevole interesse, degni di riflessioni e considerazioni. Inoltre, il ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha rifinanziato il progetto (BEENET) in forma potenziata e per altri due anni.
Mi chiedo il perché in tempo di crisi non si sfrutti il lavoro già fatto in modo molto più approfondito, anche se lo conosciamo benissimo il perché. Vengo al dunque. Non vorrei che dal Progetto di sorveglianza epidemiologica uscissero risultati strani, ad esempio dal punto di vista epidemiologico, e si cominciasse ad affermare «le api stanno malissimo, perciò servono antibiotici per le virosi e acaricidi per la varroa». Se in un alveare si trovano api morte, i casi sono due. Innanzitutto, siccome la ricerca è epidemiologica, non trovano varroa, non trovano altro, le api sono morte ma stanno bene. Poi, le api sono morte di Nosema, varroa, virus perché è da dimostrare che muoiano per patologie e non per altro. Ce lo stiamo dicendo che non siamo proprio cosi stupidi. Per quanto riguarda gli antibiotici, giacché ormai il danno è fatto, sarebbe il caso di darci un limite di tempo entro il quale questo tipo di molecola debba sparire, arrivando alla completa pulizia degli alveari.
Il mio lavoro è l’apicoltore e non lo faccio per hobby, perciò alla sera i conti devono tornare. Chi mi conosce sa bene quello che faccio, non posso raccontare barzellette. Ho sempre creduto che si può lavorare in modo sostenibile e pulito. In più, è inconfutabile che l’esperienza si fa sulla propria pelle e si paga molto cara, specialmente in apicoltura dove gli effetti di un errore si vedono e come e per porvi rimedio, a volte, non basta una sola stagione. Non ho niente da insegnare a nessuno, non sono certo un maestro, segreti non ne “tengo”: perché se le mie api stanno bene è opportuno che stiano bene anche quelle degli altri. Il vantaggio sarà di tutti. Nella mia breve esperienza, ho appreso ad osservare le api e ad interpretare il loro comportamento imparando da loro, non certo imponendo regole umane a un essere che è sulla faccia della Terra da più di settanta milioni di anni. Niente paura, non voglio essere prolisso, quello che ho colto allevando api non sono altro che osservazioni ovvie e banali, ma essenziali anche se per molti apicoltori sembrano non aver senso. Credo che la validità di un metodo in apicoltura si misuri con la costanza produttiva, considerando, però, gli andamenti stagionali e con la stabilità della popolazione. In ogni caso è banale chiedere all’oste se ha il vino buono.
La peste americana è sicuramente un “grosso” problema, tanto più “grosso” quanto più non si conosce abbastanza con cosa abbiamo a che fare. A volte, si pensa di sapere tutto ma in apicoltura non abbiamo ancora finito di imparare, tanto è vero che quello che sto scrivendo in questo momento, domani potrei metterlo in discussione. È importantissimo il concetto di equilibrio, la questione è molto più complessa di quanto non si creda. Non bisogna confondere questa espressione esclusivamente con la forma esteriore, bensì con tutti quegli elementi che compongono, contengono, aggregano, favoriscono la vita di un organismo. In questo caso, l’alveare. Le manipolazioni eseguite, senza conoscere gli effetti che portano ad una famiglia, possono essere deleterie e stressanti. Gli effetti non si vedono subito bensì a distanza di tempo perciò non sembrano “assoggettabili” alle operazioni fatte: un alveare stressato è vulnerabile come un essere umano stressato, lo sappiamo bene. L’ingabbiamento o la sostituzione della regina rappresentano un grande stress. Non ci sono dubbi: noi vediamo una reazione che ai nostri occhi è giudicabile in modo positivo, le api, da parte loro, reagiscono per sopravvivere alle incursioni che operiamo con un super lavoro.
Poi c’è la questione cera, questa matrice è veramente importante e la sua sostituzione costante e continua abbassa la carica batterica nell’alveare. Ero ad Apimell con amici, in Marzo, e volevano acquistare cera certificata biologica. Una triste realtà. Non si è trovata e non si trova cera pulita, forse ci dimentichiamo che le nostre api non producono più cera da moltissimi anni, eccetto quel po’ che utilizzano per opercolare i telaini da melario o costruire ponti. Eppure è una necessità fisiologica che non viene loro concessa, un po’ perché non conosciamo il loro comportamento e di conseguenza si dice che non si può fare; un po’ per avidità per non perdere qualche chilo di miele, in cambio della longevità delle nostre api, non considerando che una famiglia persa ci porta un danno economico di circa trecentocinquanta euro. Provate a fate i vostri calcoli. La mancanza di conoscenza del nemico ci fa diventare aggressivi, mentre se si conosce il lato debole del nostro nemico si può tenerlo sotto controllo con azioni preventive, senza spreco di energie né vittime. Un giorno, Gianni Savorelli, mette a disposizione sulle pagine di Apitalia la sua passione e preparazione, riportava una ricerca sulla peste americana descrivendo il comportamento etologico delle api.
La cosa ha attirato la mia attenzione. Ho rammentato alcuni dati di una relazione fatta ad Apimell diversi anni fa da due veterinari del IZSLT: da prove di laboratorio si era riscontato una azione inibitrice nei confronti di Paenibacillus larvae, da parte dell’olio essenziale di Cannella. Savorelli spiegava che le spore trasmesse alle larve attraverso l’alimentazione si nutrono del contenuto intestinale della larva stessa, cioè del nutrimento che assume.
Tutto torna. Sappiamo che le larve vengono nutrite a polline e facendo uno più uno viene fuori che è sufficiente mettere dell’olio essenziale di cannella in un impasto di miele e polline e somministrarlo alle api, anche qui però si deve fare esperienza.
Non è tutto oro quel che luccica.
 
 
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Favo naturale costruito totalmente dalle api; lo sciame può costruire cinque-sei favi naturali con una percentuale bassissima di celle da fuco, dipende dalla popolosità della famiglia.

 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 19/04/2013 da Gianni Stoppa
Associazione Regionale Apicoltori del Veneto
 
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