Se le api volano con un equipaggiamento Rfid [Torna all'indice generale] |
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![]() L’idea di applicare il modello allo studio delle api è di due ricercatori, Mario Pahl e ShaoWu Zhangun, il primo che lavora presso il Beegroup dell’università tedesca di Würzburg e l’altro che lavora presso il Centre of Excellence in Vision Science dell’Australian National University di Canberra. I due scienziati hanno attaccato sul dorso delle api un piccolo tag Rfid (identificazione a radiofrequenza. E’ una tecnologia per l’identificazione automatica di oggetti, animali o persone (AIDC Automatic Identifying and Data Capture) basata sulla capacità di memorizzare e accedere a distanza a tali dati usando dispositivi elettronici - chiamati TAG o transponder - che sono in grado di rispondere comunicando le informazioni in essi contenute quando “interrogati”. In un certo senso sono un sistema di lettura “senza fili) e, in dettaglio, un Microsensys mic3-Tag 64-D delle dimensioni di 1×1.6 mm e del peso pari a 2.44 milligrammi, con una frequenza di 13.75 Mhz. I lettori Rfid sono stati posizionati all’interno di un tunnel che le api devono imboccare per arrivare all’alverare. «Abbiamo deciso di usare i tag Rfid per registrare le entrate e le uscite dall’alverare delle api – hanno spiegato i due ricercatori - tracciando i dati relativi a ogni singolo volo percorso da ciascun insetto. Le dimensioni ridotte del tag non disturbano l’ape e questo ci permette di studiare il loro comportamento, senza impattare sul loro ecosistema». Il tag, incollato sulla schiena delle api, trasmette tutta una serie di informazioni legate alla vita delle api. La georeferenziazione consente di mappare le aree in cui le api transitano prevalentemente, la durata e la velocità dei loro viaggi. Ma anche i loro criteri d’orientamento. Informazioni che fino ad ora la scienza non aveva mai potuto registrare ad analizzare. Lo studio ha permesso di conoscere che le api, rispetto all’alveare, si muovono in un raggio di 13 chilometri dirigendosi verso tutti i punti cardinali. Le informazioni raccolte sono diverse: il periodo di “formazione” delle api più giovani, ad esempio, inizia con una sorta di mappatura del territorio: compiendo dei giri concentrici, le api iniziano progressivamente ad allontanarsi dall’alverare, memorizzando alcuni punti di riferimento. Nel caso spefico, una particolare montagna situata a est, a circa un chilometro dall’alveare. È proprio questa montagna aiuta le api del campione a non perdere l’orientamento, aiutando gli insetti a trovare la via di casa anche a 11 chilometri di distanza. Le api per fare ritorno all’alveare impiegano anche diversi giorni. La velocità media dei voli? 15 chilometri orari. Altri dati inimmaginabili, ma interessanti, rilevati grazie al tag Rfid? Pare che le api cambino velocità di marcia secondo il punto cardinale verso cui procedono. Per compiere 3 chilometri andando a ovest, ad esempio, un’ape impiega 78 minuti, mentre la stessa ape ne impega 280 se vola verso nord. E i tempo medi di “pit stop” per il rifornimento di polline? In media uno ogni 25 minuti. Il modello applicativo dell’Rfid, definito A2M (animal to machine), in realtà è una ulteriore deriva della IoT. Se i test con l’Rfid si dimostreranno assolutamente innocui per le api, l’idea di avere sul barattolo del miele anche informazioni precise sulla provenienza del polline potrebbe intrigare moltissimi salutisti e, di conseguenza, produttori e retailer. |
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(by The Biz Loft) | |