“Le istituzioni ci chiedono di bruciare vive le api. Questo non è possibile. E’ un atto di crudeltà che gli apicoltori di Fiumicino non vogliono più praticare”. Lo ha dichiarato al VELINO Paolo Rinelli, apicoltore professionista che rappresenta buona parte degli apicoltori di Fiumicino, nel denunciare la mancanza di antibiotici specifici per il mondo apistico. Rinelli ha spiegato che quando negli alveari si verificano epidemie come la peste americana, la peste europea e Nosema, l’Azienda sanitaria locale, sotto il controllo dell’Istituto Zooprofilattico del Lazio e della Toscana, impone agli apicoltori di bruciare i propri alveari al fine di contenere l’espandersi delle malattie. “Questo accade già da molti anni. Il regolamento di polizia veterinaria del 1952 impedisce l’uso di qualsiasi farmaco in apicoltura perché non esistono prodotti appositi per uso apistico”, ha proseguito Rinelli. Secondo l’apicoltore è solo questione di soldi, “perché le aziende fitofarmaceutiche non hanno interesse a commercializzare prodotti per curare le malattie delle api per un ramo marginale come quello dell’apicoltura”. Usare antibiotici in apicoltura, non registrati per tale scopo, consiste in reato penale perché non ci sono ad oggi prodotti antibiotici il cui utilizzo è registrato per l’apicoltura, sebbene i principi attivi siano gli stessi, in dosi naturalmente minori, di quelli usati nella zootecnia. “Sul Codex degli animali della Ue è scritto chiaro che gli animali di allevamento non devono essere sottoposti a sofferenze”, ha denunciato ancora Rinelli nel sottolineare che la colpa di questo risiede anche nella politica delle ditte biologiche che “pur di non usare antibiotici preferiscono far bruciare vive le api”. |