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Permangono gli interrogativi
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Fermo il nostro rispetto per le Istituzioni, invitiamo la Salute a prendere in considerazione le valutazioni del nostro opinionista Francesco Colafemmina.
Non si tratta di farneticazioni di un giornalista ma di una persona che conduce un'azienda apistica e che è, innanzitutto, apicoltore.
Massimo Ilari, Direttore Editoriale Apitalia



Dopo l'incontro di ieri fra associazioni e istituzioni in merito al problema Aethina tumida gli interrogativi permangono. Come anticipato la strategia del ministero - totalmente prono ai diktat dell'UE - è quella di proseguire sulla strada dell'eradicazione. Una strada che non è indicata in alcun Regolamento comunitario. Ma l'Italia, si sa, è da sempre un caso a parte. In questa vicenda “epica” del coleottero le responsabilità sono equamente suddivise soltanto fra attori italiani: gli apicoltori che continuando a considerare l'allevamento delle api quasi al di sopra della legge spesso operano traffici strani di api vive, praticano nomadismo selvaggio privo di tracciabilità, non riescono ad informarsi adeguatamente sulle minacce per il settore. C'è da dire che non sono certo la maggioranza e io come migliaia di altri operiamo in ben altro modo. E come sottacere il ruolo di quelle associazioni che spesso invece di operare come dei buoni padri di famiglia con i loro associati, di coinvolgerli nelle problematiche e di responsabilizzarli maggiormente, preferiscono mantenere dei ruoli onorifici, essere referenti superiori di una massa informe di soggetti. Infine, le istituzioni che per anni hanno ignorato questo settore minoritario dell'agricoltura italiana e continuano a trattare gli apicoltori e le api come dei fastidiosi problemi più che come risorse per il Paese.
In questa storia, tirando le somme, vediamo all'opera la tipica improvvisazione italiana. Sull'Aethina tumida l'unico documento normativo esistente era una ordinanza ministeriale del 2004 che recependo la legislazione europea obbligava al ricorso - ove applicabile - dei sistemi di eradicazione previsti nel 1954 per la peste americana, in caso di scoperta di un focolaio di un piccolo coleottero degli alveari. Tutto qui.
In Inghilterra, di contro, la National Bee Unit non solo aveva da anni a disposizione un accurato sistema di monitoraggio nei principali punti di possibile ingresso del coleottero. Si era in più dotata di un risk assessment sull'arrivo di AT., e soprattutto aveva un “Contingency plan” ossia un “Piano di emergenza” in caso di scoperta di focolai del coleottero. Questo piano è oltremodo interessante per noi perché testimonia la differenza abissale fra l'impreparazione italiana e la professionalità anglosassone.
Il piano di emergenza AT del Regno Unito costituisce forse l'unico documento del genere in Europa. E magari occorre ribadire che le procedure di eradicazione del coleottero non sono sancite da alcun Regolamento comunitario, ma sono rimesse alla considerazione dei singoli Stati membri. Il Regno Unito prevedeva almeno 3 scenari. Il primo con la scoperta di un focolaio isolato a ridosso dell'arrivo del coleottero. Le procedure adottate sarebbero state quelle del tentativo di eradicazione con la distruzione degli alveari infestati e del materiale apistico relativo. Il secondo caso prevedeva la scoperta di ulteriori focolai entro i 16km di raggio dal primo. Il terzo una diffusione oltre questi confini. E come si sarebbero comportate le autorità?

«Se le verifiche dimostrano che il focolaio è isolato e l'eradicazione è praticabile, tutte le colonie nell'apiario affetto e nell'area circostante l'apiario infetto, le colonie di contatto in apiari vicini e gli sciami naturali considerati ad alto rischio di infestazione saranno distrutte. In tutte le altre circostanze, ossia se AT si è insediata, allora sulla scorta della presente conoscenza tecnica non ci sarebbe alcun beneficio nel tentare di eradicare e piuttosto sarebbe opportuno implementare una politica di contenimento per rallentare la diffusione del coleottero attraverso restrizioni nel movimento delle colonie e trattamenti degli apiari infestati».
Dunque, avete capito bene. Un'altro Stato membro dell'UE prevedeva nel 2013 in caso di focolai molteplici su un'area entro i 16km di raggio di fermare immediatamente l'eradicazione data la sua inutilità. Questo non vuol dire che il processo - tardivo - tentato in Calabria e Sicilia sia stato inutile. Vuol dire soltanto che in Italia ad oggi manca un contingency plan: non è prevista alcuna gradualità, non si sa cosa accadrà se entro il 31 maggio 2015 spunteranno fuori altri focolai. E' questa totale incertezza normativa a spaventare tutti noi. Anche perché nel frattempo sono andati in fumo quasi 3000 alveari.
In più, c'è la minaccia del blocco da parte dell'UE. Il blocco non solo del commercio di api vive, ma anche dei prodotti apistici. Ad oggi vale la pena ricordare che l'UE impone delle limitazioni al commercio di prodotti “apicoli” non per uso umano con il Regolamento 142/2011. Non certo l'esportazione di miele, polline o pappa reale per uso umano (sebbene l'Italia sia un paese importatore più che esportatore).
Dunque, si continua a brancolare nel buio. Le autorità non sembrano d'altro canto interessate a proteggere il settore, ma agiscono sulla scorta delle proprie esperienze in altri settori (come quello di bovini e ovini), settori nei quali esiste una chiara tracciabilità dei capi di bestiame e nei quali sono all'opera altre patologie non paragonabili al coleottero che non solo si riproduce negli alveari, ma anche in colonie di bombi e nella frutta.
Questa incertezza si riversa sulla programmazione degli apicoltori per il 2015. Una programmazione pressoché impossibile, fondata sulla totale incertezza e sulla paura - specie se si vive in regioni limitrofe alla Calabria - di qualche nuovo rogo. In più c'è un vuoto normativo o meglio una debolezza normativa in merito al nomadismo. Nonostante, ad esempio, la nuova legislazione pugliese regolamenti il nomadismo per chi proviene da altre regioni, cosa accadrà a primavera del 2015, tenendo conto che le zone agrumicole di Calabria e Sicilia sono off limits? Ci sarà una concentrazione di nomadismo più o meno selvaggio e proveniente da ogni dove in Puglia? In tal caso, chi difenderà gli apicoltori pugliesi dal possibile arrivo di migliaia di alveari con tutti i rischi sanitari connessi?
Forse, oltre alle istituzioni e dei legislatori dovremmo essere noi apicoltori a essere più responsabili e limitare il nomadismo in un momento di forte emergenza. Se d'altra parte l'UE dovesse poi imporre un bando contro l'apicoltura italiana non ci resterebbe che rispondere come Vladimir Putin, mettendo al bando le importazioni dall'UE. Questo ci costringerebbe a incrementare le produzioni di miele, a riconvertire aziende che fanno pacchi e che allevano regine in aziende che producono miele e limiterebbe i traffici sconsiderati di regine e api vive provenienti da altre parti del mondo. Magari è utopia, ma in questo periodo di confusione continuo a ribadire che solo un'apicoltura autarchica e professionale potrà salvarci dalla rovina.
 
(by Francesco Colafemmina - 2.12.2014)
 
 
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460 Kb Contingency Plan for the arrival of small hive beetle (Aethina tunìmida) and Tropilaelaps mites in England and Wales
 
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