Salvare il miele, apicoltori in trincea [Torna all'indice generale] |
|
![]() I parassiti, e soprattutto i pesticidi utilizzati per il mais, fanno strage negli alveari: perso fino al 60% dello stock. E dalla Cina arrivano i «finti mieli», a base di glucosio. Miele e «mieli» proliferano dappertutto: sugli scaffali dei supermercati, al bancone del bar, nei ricettari gourmet, come sulle tavole comuni. Slow Food ha dedicato, recentemente, proprio al nettare prezioso addirittura un «Master of Food» per scoprirne la storia, i segreti e le mille «dietrologie» gastronomiche. Trend in netta ascesa, si potrebbe azzardare: voce inequivocabile dei consumi e dell’audience popolare. Ma le api sono realmente «tornate»? E poi ancora: è tutto miele quello che luccica? Non sembrerebbe, almeno a sentire le ragioni di Lodovico Valente, storico apicoltore di Botticino che intorno alla passione per questi insetti e per la cultura del loro frutto ci ha costruito - dice testualmente - «più o meno 70 anni di vita». Impossibile glissare, dunque, di fronte all’allarme che lancia senza se e senza ma. «La mortalità delle api è in forte aumento - dice - e la produzione di miele è conseguentemente in calo; mentre la perdita di alveari nel mondo industrializzato è stimata tra il 40 e il 60%, con punte locali fino al 100%». Dati che suonano in controtendenza rispetto a quanto dicono le abitudini dei consumatori, aggravati dal fatto che «non vedo nessuno - aggiunge Valente - tra quelli che ne avrebbero facoltà, seriamente impegnato a disinnescare il conto alla rovescia della loro scomparsa». Già, scomparsa. Fatto che se in natura selvatica è ormai avvenuto, ora - secondo l’analisi di Valente - rischia di estendersi in modo nefasto anche alle sezioni dove si fa apicoltura. I motivi? «L’abuso di veleni neonicotinoidi e le degenerazioni ambientali, prima di tutto. Fattori tali per cui - spiega - l’impollinazione oggi è diventata quasi un’esclusiva delle apicolture, dove tra l’altro la decimazione delle api prolifera comunque». Ma se le api muoiono e la produzione risulta complicata, come può il miele scorrere a fiumi e fare picco nei consumi? «Forse perché stanno diventando superflue alla produzione», ipotizza Valente. Ed è qui che pare svelarsi l’inghippo, delineando un quadro dove la parola «miele» sembra lasciarsi usare con troppa facilità. «È il caso del finto-miele cinese, prodotto con fruttosio, glucosio, enzimi e solo in ultimo addizionato con polline bresciano. O delle 47 tonnellate di miele adulterato sequestrato quest’estate a Bologna, dai Nas». Per un’offerta in esubero, quindi, la rotta sembra tracciare una qualità altrettanto in esubero, ma verso il caos delle furbate. Quanti consumatori, del resto, fanno attenzione ad acquistare il vero miele italiano, genuino e di qualità? Troppe le «trappole» sugli scaffali. Il gioco è semplice: «Un chilogrammo di glucosio costa un euro -osserva Valente - mentre un chilo di miele di acacia costa dieci euro. Ecco perché in Italia col miele non è possibile fare impresa». Tanto più quando s’innesca il meccanismo delle vie commerciali traverse: «In Italia si ha più interesse a vendere il miele estero e, di conseguenza, anche a sostenere che la morìa di api sia una bufala. E il miele estero purtroppo è anche mangiabile. All’ultima degustazione molta gente non distingueva un miele asiatico da un miele di rododendro» conclude amareggiato, Valente. |
|
(by Brescia Oggi - Elia Zupelli) | |