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 Biologia
Il sistema immunitario dell'alveare
 
di Gianni Savorelli
 
Ovvero l’immunità del singolo e l’immunità dell’insieme. L’ape è un insetto debole, se considerato a livello di singolo individuo, rispetto agli altri insetti solitari. Per difendersi dai patogeni confida molto sulla sua socialità
 
Il concetto di immunità è diventato comprensibile ai più perché se ne parla anche in parecchie trasmissioni televisive, non a caso si cita il rafforzamento del Sistema immunitario per fare fronte all’influenza e altri virus stagionali.
Semplificando, immunità vuol dire essere in grado di rimanere indenni di fronte alla minaccia di un patogeno. E il discorso vale pure per l’alveare, senza discussioni.
Fantasie? Eh no, visto che la ricerca scientifica ha dimostrato che si tratta di un elemento fondamentale per la condizione sanitaria delle api.
Tutto ciò nonostante l’ape, intesa come singolo insetto, passato attraverso l’evoluzione ad una situazione di socialità, presenti un numero ridotto di geni deputati a funzioni immunitarie rispetto agli insetti solitari.
Però, compensa questa carenza attraverso meccanismi definiti come immunità sociale. Per farla breve, produce sostanze adatte a disinfettare quanto è in circolo nell’alveare: in pratica, riduce il contatto della singola ape con i patogeni. Anche il miele possiede considerevoli capacità di disinfezione, ampiamente variabili secondo l’origine botanica dei fiori dai cui è ottenuto (ecco, dunque, la probabile spiegazione del perché i vari tipi di miele producono diversi effetti curativi sull’organismo, ndr).
Il nettare dei fiori contiene, inoltre, sostanze (alcaloidi, a oggi le più note) definite come metaboliti secondari, in grado di esercitare “azioni di contenimento” sui patogeni non esclusivamente di carattere farmacologico. Da ciò si può, fra le altre cose, concludere che l’ambiente consente un diverso tipo di controllo delle patologie anche relativamente al nettare.
Il ruolo del polline per quanto attiene agli aspetti sanitari delle api è ormai consolidato.
Il lavoro: “The ontogeny of immunity in the honey bee, Apis mellifera L. following an immune challenge” Alice M. Laughton, Michael Boots, Michael T. Siva-Jothy -Journal of Insect Physiology in press, analizza in maniera puntuale le caratteristiche immunitarie dei singoli abitanti dell’alveare nelle varie fasi della loro vita; difese immunitarie alle quali l’organismo ape deve affidarsi ogni qual volta i patogeni, superando le difese immunitarie sociali, lo raggiungono.
Nell’introduzione del lavoro, gli autori presentano le conoscenze scientifiche acquisiste nei lavori di altri autori. E’ noto che il sistema immunitario innato degli insetti può essere diviso in due parti, caratterizzate da risposte costitutive o indotte (dai patogeni), basandosi, appunto, sul modo in cui la difesa immunitaria opera (Schmid-Hempel, 2005).
Le risposte costitutive - che possono essere considerate quelle, comunque, sempre presenti - comprendono le risposte cellulari: coagulazione, fagocitosi, formazione di noduli, incapsulazione e l’attivazione della risposta umorale fenolossidasi (ProPO-AS), (Gillespie et al., 1997).
Il sistema ProPO-AS, definibile anche cascata della fenolossidasi, produce l’enzima fenolossidasi, responsabile della biosintesi della melanina, coinvolta nella sclerotizzazione (indurimento) della cuticola (e spiega perché, spesso, le api con problemi sono scure), cicatrizzazione, formazione di noduli, incapsulazione e stimolazione della fagocitosi (Mason, 1955; Ratcliffe et al., 1984; Cerenius et al., 2008).
Questo tipo di risposte sono sempre presenti (Siva-Jothy et al.; Cerenius et al., 2008) e nell’ape sembrano espresse sempre ai massimi livelli.
Per contro, le risposte indotte (dalla presenza di patogeni), defnite come produzione di proteine (peptidi) antimicrobici (AMPs), richiedono, appunto, la presenza di un patogeno a stimolare il sistema di riconoscimento e la produzione delle sostanze deputate.
E’ un tipo di risposta più lento a mettersi in moto, ma più specifico e di effetto più duraturo (Boman and Hultmark, 1987).
Da ciò, gli autori pensano che una diminuzione del numero di emociti funzionanti (situazione possibile  anche da stati di carenza proteica, ovvero di polline) possa ridurre la risposta immunitaria cellulare dell’ape (Robinson, 94 1992; Bedick et al., 2001; Amdam et al., 2004, 2005; Omholt and 95 Amdam, 2004 Bedick et al., 2001).
Le bottinatrici hanno, poi, una minore massa di corpi grassi rispetto alle nutrici (Wilson, 97; Rich et al., 2008) e sono proprio questi corpi grassi a sintetizzare le proteine dell’emolinfa, comprese le AMPs, deputate a funzioni immunitarie (Hultmark, 1996; Lehrer and Ganz, 99 1999; Tzou et al., 2000).
E’ perciò potenzialmente possibile che una riduzione della massa di corpi grassi possa condurre ad una diminuzione dell’efficacia delle risposte immunitarie indotte.
Questo fatto può essere una delle spiegazioni relativamente alla maggiore suscettibilità al Nosema ceranae, da parte delle bottinatrici, e al rapporto inverso  tra disponibilità di polline e prevalenza di virus e Nosema.
Da ultimo, viene fatto considerare che il mantenimento dell’attivazione del sistema immunitario ha un costo consistente (Kaaya e Darji, 1988; Zerofsky et al., 2005; Konig e Schmid-Hempel, 1995; Moret e Schmid-Hempel, 2000).
In altre parole, l’ape che deve mantenere il sistema immunitario attivo per fronteggiare la presenza continua  di patogeni è stanca e ha meno energia per lavorare. E’ come dover smielare 500 melari con la febbre a 39 °C.
I ricercatori sono anche partiti dal presupposto che le larve in fase di sviluppo e le pupe dispongano di capacità immunitarie ridotte, rispetto alle api adulte. E’ ragionevole pensare che cerchino di utilizzare le loro risorse per lo sviluppo confidando che le nutrici facciano da filtro e le mantengano in una situazione di relativa sterilità. Con ciò si presume e si spera che le nutrici siano sane e riescano a esercitare la loro azione di filtro.
Quando ciò non avviene, le larve ricevono patogeni in quantità. Patogeni che devono fronteggiare tramite le loro capacità  immunitarie, a scapito del loro sviluppo e delle successive capacità lavorative. Gli autori hanno potuto dimostrare che vi è effettivamente variazione nell’attività  immunitaria associata alle differenti fasi di sviluppo in tutte le caste. E sì perché sia operaie che fuchi hanno un più basso livello di attività di fenolossidasi durante gli stadi, come larva e pupa, rispetto alla fase di vita da adulte, confermando altre ricerche (Lourenco et al., 2005; Wilson-Rich et al., 2008; 433 Chan et al., 2009).
Così, a parità di età, si può dire che le capacità immunitarie sono proporzionali al peso della larva, ovvero a quello che mangia. Nei diversi stadi di vita, il livello di fenolossidasi, rinvenibile dopo l’introduzione di un patogeno nel corpo di un’ape, risulta diminuito rispetto a quanto presente  prima dell’introduzione del patogeno. Questo sembra dovuto alla sua rapida utilizzazione e alla impossibilità di rimpiazzo in tempi brevi.
Il sistema di fenolossidasi delle api è paragonabile, perciò, a un fucile a un colpo solo, colpo che viene sparato alla prima necessità. La conseguenza  è che, almeno per quanto riguarda la cascata di fenolossidasi, l’ape non è adatta a sostenere ripetuti attacchi da  parte dei patogeni. Le api adulte mantengono costante la massima produzione possibile di fenolossidasi per fronteggiare le eventuali insidie presenti nell’ambiente in cui devono bottinare.
Anche nei fuchi, fenolossidasi si mantiene a un livello relativamente costante nel corso della vita da adulto, tuttavia inferiore a quanto presente nelle operaie. La produzione di AMP (peptidi antimicrobici - ovvero proteine capaci di azioni nei confronti dei microbi -, come già verificato da altri studi), aumenta di 500 volte sia nelle operaie che nei fuchi, a seguito dell’esposizione a un patogeno (Boulanger et al., 2001, 2002; Evans, 2004). In aggiunta, è stato verificato anche un aumento della produzione delle proteine AMP col progredire dell’età.
La prova? Entrambe le caste hanno mostrato una diminuzione nell’attività del sistema AMP, legato al progredire dell’età  e in condizioni di presenza di patogeni. Il fenomeno è definito come invecchiamento immunitario (Doums et al., 2002; Hillyer et al., 2005).
In altre parole, il sistema AMP dell’ape si stanca di lottare contro ripetute esposizioni ai patogeni divenendo via via meno efficace.
Tenendo conto anche della caratteristica di “fucile a un colpo” del sistema fenolossidasi si può concludere che la singola ape si presenta poco adatta a fronteggiare la continua presenza di patogeni e che, come già ben dimostrato, l’alveare, nel suo complesso, deve fare considerevole affidamento  sulla immunità sociale, per ridurre l’esposizione ai patogeni del singolo individuo-alveare.
 
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 11/01/2012 da Gianni Savorelli
 
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