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 Patologia
Virus, varroa e Nosema ceranae
 
di Gianni Savorelli
 
Si conclude la nostra analisi dei terribili patogeni che assediano l’alveare e che mettono in difficoltà gli apicoltori. Tre puntate, questa è l’ultima, dense di informazioni e da tenere sempre con sé per lavorare al meglio. Lo ripetiamo la conoscenza dei nostri nemici, coniugata a buone pratiche apistiche, permette di gestire al meglio l’attività apistica, produrre un miele di qualità e ciò che più conta “pulito”
 
Nosema ceranae

Agisce a diversi livelli, particolarmente sulle bottinatrici riducendone significativamente l’aspettativa di vita e l’attività lavorativa, finché l’infezione non è gravissima. Successivamente ha incidenza anche sulle api in genere. Sull’ape infetta riduce le difese immunitarie  e aumenta la necessità di cibo. Le lesioni provocate nello stomaco possono facilitare la replicazione dei virus con effetto sinergico. Associato a Imidacloprid ne aumenta consistentemente la tossicità (Alaux 2009).

Virus

Prima dell’avvento della varroa erano presenti sulle api in quantità minima. Ora sono presenti praticamente in tutti gli alveari  e in quantità consistenti.  Spesso asintomatici possono risultare devastanti da soli, e a maggior ragione associati ad altri patogeni.
varroa
Indebolisce le difese immunitarie dell’ape facilitando la riproduzione di virus e verosimilmente di Nosema.
Ha un tasso di riproduzione sempre più elevato  e sempre di più risulta associata a veicolazione di virus (che partono dalla larva stessa) e moltiplicazione degli stessi.

Polline

Essendo l’elemento da cui si ricavano le proteine necessarie a costruire i corpi (e quant’altro) delle giovani api nascenti è assolutamente indispensabile sia come quantità che come qualità. La famiglia non può compensare le perdite naturali in condizione di ristrettezza pollinica, figurarsi se in aggiunta è in condizioni di stress con perdite di adulte sopra la norma, in conseguenza di Nosema ceranae, associato a Imidacloprid e/o a virus.
Dato che il polline è alla base anche della produzione di difese immunitarie sociali (Alaux 2009) e individuali, la sua scarsità porta a scarsità delle difese immunitarie sociali (disinfezione dell’alveare) rendendo lo stesso maggiormente vulnerabile anche alle altre patologie della covata (peste americana, europea, calcificata) e individuali.
Scarso riscaldamento della covata, eventualmente caratteristico di famiglie indebolite, porta alla nascita di api sempre più sensibili ai fitofarmaci e va perciò considerato fra gli effetti di stress che fanno partire l’effetto domino che per come è strutturato l’alveare crea problematiche pesantissime.
I patogeni considerati, sommati ai neonicotinoidi (o verosimilmente altri fitofarmaci) e a scarsa presenza quali-quantitativa del polline, portano le api a progressivo indebolimento, con sempre crescente difficoltà di approvvigionamento del polline e sempre crescente difficoltà a rinnovare la popolazione, fino nei casi più sensibili all’estinzione dell’alveare.

Nosema ceranae nuova pericolosissima patologia asintomatica delle api

Per capire la patologia detta Nosema ceranae, provocata dall’omonimo microsporido (fungo), bisogna pensare all’alveare come ad un sistema complesso di individui che funzionano come un intero. In tale contesto la malattia del singolo è un qualcosa di diverso dalla malattia dell’alveare.
Un patogeno come il ceranae, nel nostro caso, può essere letale per il singolo individuo, ma la famiglia nel suo insieme può riuscire a compensare la perdita. Il problema è che ad un certo punto della stagione le famiglie non riescono più a compensare le perdite  e la famiglia collassa. In questo senso la regina (e la sua relativa possibilità di deposizione, ovvero la presenza di feromoni della covata e disponibilità di polline) è fondamentale per mantenere la popolazione della famiglia, almeno in una condizione di non diminuzione a causa delle perdite di singoli individui colpiti dalla patologia.
Higes et al., dimostrano le ripercussioni della patologia sulla famiglia nonché i tratti della sua evoluzione clinica fino alla morte, al collasso delle famiglie. E’ stato non solo analizzato l’evolvere naturale dell’infezione, che varia molto da regione a regione, ma anche dimostrata la trasmissione della patologia agli alveari vicini.
Gli autori fanno altresì presente che è difficile definire lo stato di salute di una famiglia in seguito all’infezione da ceranae, dal momento che non produce alcuna sintomatologia. Il fungo, prima di tutto, colpisce l’intestino delle bottinatrici e nella sua riproduzione provoca lesioni che impediscono l’assunzione dei nutrimenti. L’ape muore essenzialmente di fame. E’ stato, però, anche dimostrato da Kralj che l’ape affetta da ceranae perde molte delle sue capacità di orientamento e ciò spiega il mancato ritorno di buona parte delle bottinatrici infette: è uno dei due comportamenti che portano allo spopolamento.
Nella fase iniziale della patologia, le bottinatrici sono, considerevolmente, più infettate rispetto alle api domestiche e questo è, verosimilmente, l’unico elemento utilizzabile per la determinazione dell’estensione della patologia. Si può ritenere che vi sia una relazione del tipo: più le bottinatrici sono infette, minore è il numero di favi di covata e minore è il numero di favi ben popolati. Non sembrano, invece, esserci relazioni con la proporzione di api di casa infette o col numero di spore verificabile.
Api  morte, raccolte sul terreno tra i fiori antistanti e dall’alveare in diversi mesi estate compresa, hanno mostrato lesioni patologiche all’epitelio ventricolare, in tutto comparabili  a quelle già descritte in prove sperimentali (Higes, 2007). Le bottinatrici raccolte tra i fiori hanno mostrato quantità di spore in media di 21 milioni, a dimostrazione che api pesantemente infettate non fanno ritorno all’alveare. Nosema ceranae può, comunque, facilitare lo sviluppo di altri virus dal momento che le lesioni intestinali riducono la resistenza naturale alle infezioni virali. Secondo Lodesani, Cra-api, vi è molto meno Nosema dove il polline è ottimo e ve ne è molto di più dove il polline è pessimo. Sembra esservi una correlazione tra numero di spore di ceranae e virus delle ali deformate.
E allora? E’ come dire che in presenza di entrambi si viene a creare un effetto sinergico che facilita la riproduzione di entrambi i patogeni. La moltiplicazione del patogeno si verifica nel corso di tutto l’anno, senza interruzione alcuna (anche se con differenze quantitative a seconda del periodo; ceranae teme il freddo).
Poi, è stato dimostrato che le api giovani, quando si sentono affette da patologia, affrettano l’uscita dall’alveare tentando di rendersi utili come bottinatrici. Questo è il secondo tipo di comportamento che spiega il repentino spopolamento dell’alveare al progredire dell’infezione da ceranae: produce nelle api infette anche un effetto di immunodepressione.
Antúnez et al., hanno verificato  l’effetto dei due tipi di Nosema sul sistema immunitario delle api.
Ne risulta che l’infezione da N. apis e N. ceranae produce significativi cambiamenti nell’espressione di abecina che risulta aumentare, significativamente, 4 giorni dopo l’infezione da N. apis, in comparazione al controllo e alla tesi infettata da N. ceranae. Sette giorni dopo l’infezione con N. ceranae la produzione di abecina diminuisce.
Imenoptecina, da parte sua, cresce in conseguenza dell’infezione da N. apis; mentre ceranae riduce significativamente la sua produzione. Defensina aumenta con N. apis.
Nessuna variazione è osservata con infezione di N. ceranae . E’, dunque, dimostrato che il sistema immunitario delle api attiva velocemente i meccanismi di difesa a seguito di infezione da N. apis. Per contro, l’infezione da ceranae sopprime la risposta immunitaria, riducendo la trascrizione di alcuni geni.
Da precedenti studi è noto che solo poche cellule dell’epitelio ventricolare sono infette dopo 3 giorni dalla somministrazione di Nosema; mentre la maggioranza delle cellule risulta infettata dopo 7, con evidente degenerazione (Higes et al., 2007).
Con infezione da N. ceranae l’espressione dei peptidi  antibatterici non è attivata, neppure quando il patogeno ha già invaso l’epitelio ventricolare (Higes et al., 2007).
A 7 giorni dall’infezione la produzione di abecina, imenoptecina e GLD diminuisce significativamente suggerendo che N. ceranae sopprime parzialmente i meccanismi immunitari di difesa.
Nelle condizioni di campo le api infettate naturalmente sono, verosimilmente, meno resistenti agli stress ossidativi (Nelson et al., 2007), e invecchiano prima Remolina (2007).
Il meccanismo porta all’accorciamento dell’aspettativa di vita osservato. In aggiunta, la soppressione del sistema immunitario oltre che alla proliferazione del N. ceranae, favorisce anche la replicazione di virus presenti allo stato latente. Dal momento che anche Varroa produce soppressione immunitaria (Gregory et al., 2005; Yang and Cox-Foster, 2005), la  simultanea presenza di entrambi i patogeni risulterà devastante per le api. In altre parole, ceranae aggira il sistema immunitario dell’ape “spegnendolo”, in una sorta di AIDS delle api. Riduce anche la capacità di produzione della proteina di stoccaggio - la vitellogenina - producendo così un invecchiamento precoce, unito  a elevata vulnerabilità anche ad altri patogeni oltre che, verosimilmente, ai fitofarmaci.

Il nosema ceranae e le regine

In caso di alta infezione la regina stessa può divenire infetta da Nosema ceranae e morire in poche settimane. Come sopra detto, anche per questa patologia sembra che una delle chiavi di resistenza sia nel mantenere il più basso possibile il livello di infezione. Oliver ha verificato come il campionamento per la diagnosi del Nosema ceranae debba prevedere il prelievo di  bottinatrici, catturate verso mezzogiorno, specialmente se osservate camminare nei pressi dell’entrata.
Secondo diversi autori, la ricerca al microscopio non è sufficientemente precisa per questo patogeno.
Bourgeois et al., hanno dimostrato una grande variabilità della presenza del patogeno tra alveari dello stesso apiario e tra apiari diversi. Perciò ogni famiglia che mostra difficoltà può essere potenzialmente colpita dal patogeno, anche se tutto il resto dell’apiario funziona al meglio. Webster ha voluto cominciare a valutare l’effetto di trattamenti fisici o chimici  ulla vitalità delle spore di Nosema apis e Nosema ceranae. Fra le sostanze testate il timolo si mostra particolarmente interessante.
Nella prova di 24 ore, in evaporazione, riesce ad uccidere il 64% di spore di N. apis e l’82% di spore di N. ceranae. Si deve considerare che nei trattamenti contro la varroa la presenza del timolo nell’alveare è di circa un mese. Tali trattamenti dovrebbero, pertanto, avere una discreta azione anche nei confronti delle spore di Nosema ceranae. La formulazione Apiguard è anche veicolata per contatto a livello di microcristalli. Potenzialmente può, perciò, svolgere anche un’azione di disinfezione per contatto, essendo rimossa dal supporto attraverso l’utilizzo della ligula: potrebbe sviluppare un azione di disinfezione proprio della parte responsabile della proliferazione della patologia.
Si deve, però, anche considerare che pur essendo rilevante il rischio costituito dalle spore presenti sulle api, sui favi  e nel materiale, la quantità maggiore di spore si trova nello stomaco e nell’apparato boccale delle bottinatrici, nelle quali il patogeno trova le migliori condizioni di proliferazione. La distribuzione del patogeno tra le api dell’alveare, a prima vista, avviene attraverso la trofallassi.
Il polline, invece, sembra svolgere una duplice azione nel contenimento del patogeno. Da una parte consente un cospicuo allevamento di covata: queste api vanno a rimpiazzare quelle decedute e la famiglia mantiene una popolazione sufficiente almeno a sopravvivere.
Dall’altro, consente sia il buon mantenimento delle difese immunitarie  delle api contro il patogeno sia buona capacità di proliferazione delle nuove cellule intestinali.
Le api affette da Nosema ceranae fanno una gran fatica ad assumere nutrimento, sia che si tratti di sciroppo che di paste solide. Perciò, diventa necessario applicare lo sciroppo direttamente sulle api, per cercare di far sì che lo assumano leccandosi.
In questa maniera, si può somministrare solo una piccola quantità di medicamento  e diventano necessarie 4/5 ripetizioni. La metodica in oggetto non ha però dato risultati esaltanti (Mussen-Oliver). Da ciò si capisce l’importanza della prevenzione o di intervenire ai primissimi sintomi.
Ma andiamo avanti.
E’ dimostrato che famiglie sane vicine a famiglie infette possono contrarre l’infezione. N. ceranae può essere controllato da sostanze antibiotiche, ma le stesse non possono evitare la reinfezione dopo sei mesi.
Sulla base di questi dati, sembrano, al momento, tre le possibili direttrici di lotta al patogeno: riduzione della quantità di spore presenti sulle api e sui favi, mediante applicazione topica di adeguate sostanze (timolo - in primavera ed estate, utile nel contempo per il contenimento della varroasi; acido peracetico - utilizzabile per aspersion (ad ogni visita); riduzione della quantità di spore presenti  a livello di stomaco e apparato boccale delle api, a mezzo somministrazione di fungistatico (Vita Feed Gold - utilizzabile a calendario in primavera ed estate oppure all’esigenza); aumento della capacità di allevamento di covata e della nutrizione delle api, mediante dieta con polline artificiale (che può essere somministrato a piacimento assieme al feromone sintetico della covata; che consente una raccolta molto maggiore di polline anche nei periodi di disponibilità e quindi di fronteggiare molto meglio le infezioni primaverili ed estive e consente, quando utilizzato insieme a polline sintetico, una maggiore assunzione di questo con maggiore allevamento di covata sia nei mesi tardo estivi/autunnali che invernali, in climi temperati).
Secondo Oliver, la spostamento delle famiglie aperte in pieno giorno, lasciando le bottinatrici contaminate sul posto, può costituire un veloce mezzo di riduzione dell’infezione.
Le stesse potrebbero essere gestite in melari e mantenute coese dal feromone artificiale della regina Bee Boost. In questa maniera potrebbero continuare a rendersi utili fino all’ultimo.

La moria delle api può terminare

Oggi sono, dunque, tre i patogeni che devono essere considerati capaci di indebolire pesantemente  l’alveare o addirittura portarlo a estinzione, secondo in che quantità sono presenti (Varroa, Virus, Nosema ceranae) in tutti i mesi dell’anno e che, di conseguenza, devono essere gestiti.
Nell’ambiente in cui l’ape opera  sono presenti fitofarmaci che dal punto di vista dell’ape costituiscono unicamente un problema.
Si parla, per ora, soprattuto di neonicotinoidi, presenti nella guttazione della pianta che nasce dal seme conciato e utilizzati anche direttamente su parecchie colture e persino per giardinaggio.
Possono, poi, aggiungersi fattori di disagio nutrizionale come scarsità di polline o scarsa qualità. De Grandi ha scoperto che la proliferazione virale è tanto maggiore quanto è minore la disponibilità di polline Insomma, l’ape è soggetta ad una sofferenza lunga e continua che in parecchi casi dà luogo alla sindrome che si osserva ormai da diversi anni.

Gli aspetti clinici: la diminunuzione delle difese immunitarie e della autodisinfezione della colonia

Sia la varroa che il Nosema ceranae indeboliscono il sistema immunitario dell’ape che diventa così sempre più sensibile prima di tutto ai virus (trascurando, per semplificare, batteri e funghi) che riescono a moltiplicarsi in misura maggiore  e continuano ad essere sempre più presenti e in quantità sempre maggiori sia nelle api che nelle regine, che sui favi, miele, polline e materiale tutto.
L’ape, indebolita nel sistema immunitario e proveniente da famiglie indebolite (con scarsa cura termica della covata), presenta sempre minori possibilità di detossificazione dei fitofarmaci. E’, perciò, ancora più colpita. Le api producono sostanze naturali antimicrobiche e per la disinfezione di tutto quanto presente nell’alveare. L’alveare nel suo insieme diviene in grado di produrre solo minor quantità di sostanze disinfettanti e diviene via via sempre più contaminato.

La proliferazione dei virus e il collasso da varroa

La replicazione dei virus presenti nelle larve è in parte provocata dalla presenza della varroa e in parte dalla debolezza immunitaria. In diversi casi i virus riescono anche ad arrangiarsi molto bene anche da soli, senza aiuti.
Deve, perciò, essere ridotta negli anni la quantità massima di varroa presente (anticipando i trattamenti oppure, ancora meglio, trattando anche in primavera oltre che a fine estate e  inverno). In parallelo, si deve pensare alla riduzione del carico virale in tutti i periodi in cui si può operare (con assenza di raccolto  nel melario, per comodità).
Si può auspicare la selezione delle regine con eliminazione di quelle alla testa di famiglie con problematiche virali più o meno evidenti (molti virus sono asintomatici).

Strategia globale di lotta Un concatenarsi di fattori per l’ape estremamente problematici

Per la complessità della situazione esposta è necessario pensare ad una strategia complessiva di lotta ai patogeni dell’alveare non il considerarli singolarmente ed avulsi uno dall’altro. Si ha, oggi, a che fare con problematiche sanitarie che si concatenano con effetti devastanti.
Cercando di fare il possibile per minimizzare l’esposizione delle api ai fitofarmaci  è necessario contenere il carico di patogeni il più possibile già dalla primavera e il mantenimento di adeguate difese immunitarie. Un adeguato lavoro di selezione dovrebbe essere realizzato considerando che la varroa promuove la moltiplicazione dei virus presenti nelle api stesse che deve, pertanto, essere il più basso possibile e dipende innanzitutto dal livello di contaminazione della regina.
Di Prisco e al. mostrano che l’infestazione da varroa deprime il sistema immunitario e aumenta la suscettibilità a patologie secondarie, ma anche il “semplice” indebolimento delle famiglie deprime il sistema immunitario e aumenta la suscettibilità a patologie secondarie e a fitofarmaci.
Le famiglie dovrebbero essere mantenute forti e con considerevole capacità di raccolta di polline che dovrebbe essere ben disponibile a livello multiflorale. La carenza quali-quantitativa di proteine può essere l’elemento di partenza della debacle della famiglia.
Secondo Di Prisco la proliferazione virale nelle api delle famiglie deboli avviene anche in assenza di varroa ad un livello quasi doppio di quella che è la proliferazione virale in famiglie forti con elevato carico di varroa (30 %).
Ciò significa che con indebolimento della famiglia (con relativa diminuzione delle difese immunitarie) in presenza di virus (infezione silente) questi riescono a moltiplicarsi in maniera del tutto autonoma fino a divenire sintomatici e problematici al di là di quale sia il livello di presenza della varroa, la quale d’altra parte non farà che determinare l’aumento della replicazione virale.
 
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 06/05/2011 da Gianni Savorelli
 
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