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 Ambiente
Un potente rilevatore ecologico
 
di Claudio Porrini
 
Le caratteristiche morfologiche dell’ape nonché le sue abitudini comportamentali la rendono un ottimo indicatore ambientale, in grado di segnalare sostanze presenti in quantità infinitesimali. I campi di applicazione dell’insetto in qualià di bioindicatore sono assai vari: inquinamento da fitofarmaci in aree agricole o da metalli pesanti in zone urbane, contaminazione radioattiva, ecc.
 
Le api sono degli ottimi indicatori biologici perché evidenziano il danno dell’ambiente in cui vivono, attraverso due tipi di segnali: mediante l’alta mortalità nel caso della presenza di insetticidi e attraverso i residui che si possono riscontrare nei loro corpi, o nei prodotti dell’alveare, nel caso di agrofarmaci poco tossici e di altri agenti inquinanti come i metalli pesanti e i radionuclidi.
Molte caratteristiche etologiche e morfologiche fanno dell’ape un buon rivelatore ecologico: è facile da allevare; è un organismo quasi ubiquitario; non ha grandi esigenze alimentari; ha il corpo coperto di peli che la rendono particolarmente adatta ad intercettare materiali e sostanze con cui entra in contatto; è altamente sensibile alla maggior parte dei prodotti antiparassitari (in particolare insetticidi) che possono essere rilevati quando sono sparsi impropriamente nell’ambiente (per esempio durante la fioritura, in presenza di flora spontanea,in presenza di vento, ecc.); l’alto tasso di riproduzione e la durata della vita media, relativamente corta, induce una veloce e continua rigenerazione nell’alveare; ha un’alta mobilità e un ampio raggio di volo che permette di con trollare una vasta zona; effettua numerosi prelievi giornalieri; perlustra tutti i settori ambientali (terreno, vegetazione, acqua, aria); ha la capacità di riportare in alveare materiali esterni di varia natura e di immagazzinarli secondo criteri controllabili; necessita di costi di gestione estremamente contenuti, specialmente in rapporto al grande numero di campionamenti effettuati.

Indicatore diretto e indiretto di agrofarmaci

Come detto precedentemente, le api sono estremamente sensibili agli antiparassitari. Il numero di api morte davanti all’alveare è quindi una variabile molto importante da considerare nel valutare questi agenti inquinanti e varia secondo un certo numero di fattori: la tossicità del principio attivo usato, la presenza e l’estensione delle fioriture delle piante coltivate o spontanee, la presenza delle api nell’appezzamento, o nelle sue vicinanze, durante il trattamento chimico, i mezzi usati per la distribuzione del prodotto, la presenza o meno di vento, ecc. Molte api direttamente investite dall’insetticida in campo, mentre visitavano i fiori per raccogliere il nettare e il polline, moriranno in campo o durante il loro volo di ritorno,mentre altre api colpite soltanto marginalmente moriranno nell’alveare.
In questo caso l’ape funge da indicatore “diretto”.
Nel caso invece di prodotti che non sono particolarmente tossici, l’insetto funge da indicatore “indiretto”, cioè non sensibile ma esposto e fornirà le informazioni sotto forma di residui.
Con questa strategia si rilevano il livello di mortalità delle api, i principi attivi responsabili, i periodi e le zone ad alto rischio, le colture trattate e gli errori degli agricoltori nella gestione fitoiatrica. È inoltre possibile valutare, con specifici indici, il grado di inquinamento ambientale. Alcune classi di agrofarmaci presenti sul mercato possono anche non provocare mortalità osservabili ma ugualmente causare spopolamenti di alveari o indurre nelle api comportamenti anomali o disorientamento. Per questo motivo nel protocollo di monitoraggio di questi inquinanti, oltre al controllo della mortalità, è prevista anche una valutazione della “forza” e dello stato di salute della famiglia.

La contaminazione da metalli pesanti

Una delle caratteristiche fondamentali che differenziano i metalli pesanti da altri contaminanti come gli agrofarmaci, è il tipo di immissione nel territorio e il loro destino ambientale. I prodotti fitosanitari vengono diffusi in maniera puntiforme, sia nel tempo che nello spazio e - a seconda del tipo di molecola chimica e della sua stabilità e affinità con l’organismo bersaglio e l’ambiente circostante - sono degradati dai diversi fattori ambientali in tempi più o meno lunghi.
I metalli pesanti, invece, sono emessi in continuazione dalle varie fonti, naturali e antropiche e, non subendo degradazioni, vengono continuamente rimessi in “gioco” entrando nei cicli fisico-biologici.
I metalli pesanti possono essere captati dalle api nell’atmosfera tramite il loro corpo peloso e portati nell’alveare insieme al polline, oppure assunti suggendo il nettare dei fiori, l’acqua di pozzanghere, fossi, fontane e ruscelli o insieme alla melata degli afidi. Le variabili da considerare nell’utilizzo delle api, o dei prodotti dell’alveare, in tal senso sono parecchie, come ad esempio gli eventi meteorologici, la stagionalità e l’origine botanica del miele.
In una nostra ricerca finalizzata a studiare la captazione dei metalli pesanti da parte delle api, sono stati analizzati 178 campioni di api bottinatrici provenienti da zone urbane, industriali e naturali. Le api, per determinare il quantitativo di inquinanti presenti all’interno e all’esterno del loro corpo, sono state prima “lavate” e poi “disgregate”. Il piombo è risultato presente in quantità più elevate nel disgregato rispetto al lavato nelle zone urbane e industriali mentre in quella naturale il rapporto si invertiva. In quest’ultima zona anche il nichel e il cromo erano maggiormente presenti nel lavato.
Si può quindi desumere che la maggior contaminazione delle aree urbane e industriali favorisce l’ingestione e - almeno per il piombo - l’accumulo degli inquinanti nel corpo delle api rispetto all’area naturale.

Rilevati anche i radioisotopi

Il controllo della contaminazione radioattiva in Italia è iniziato nelle aree circostanti le centrali nucleari di Trino Vercellese e di Caorso diversi anni prima dell’incidente di Chernobyl. Le misure radiometriche sui reperti apistici prelevati non hanno mai registrato alcun residuo di radionuclidi. Ma è stata l’emergenza di Chernobyl (aprile-maggio 1986) a fornire la prova inequivocabile di come l’ape possa funzionare egregiamente anche per il rilevamento dei radioisotopi attraverso le analisi svolte su numerosi campioni di miele, cera, api e polline provenienti da tutta Italia.
Ancora, nel maggio 1998 nei campioni di api prelevati dalle stazioni di monitoraggio ambientale dislocate nella provincia di Bologna, abbiamo rilevato la presenza anomala di Cesio 137. Questo radionuclide artificiale, usato in varie applicazioni ad uso civile, è uno dei principali prodotti radioattivi delle reazioni di fissione che avvengono nei reattori nucleari.
Si è potuto escludere che la radioattività anomala riscontrata provenisse da impianti nucleari in attività in quanto il Cs-137 non era accompagnato dagli altri radionuclidi che normalmente vengono prodotti durante la fissione.
L’evento è stato invece messo in relazione con un incidente accaduto verso la fine di marzo del 1998 in una acciaieria di Algeciras nella Spagna meridionale, con emissione di Cs-137 proveniente da una sorgente radioattiva dismessa e finita in fonderia.
I livelli di radioattività erano inferiori alla soglia minima di attenzione, ma la matrice api ne ha prontamente evidenziato la presenza seppure minima nell’ambiente.

L’individuazione precoce del colpo di fuoco

Erwinia amylovora è l’agente causale del colpo di fuoco, la più distruttiva malattia batterica delle Rosacee, in particolare per pero, melo e ornamentali.
Nella regione Emilia-Romagna la malattia è stata segnalata per la prima volta nel 1994. L’ape può esserne un potenziale vettore e quindi gli spostamenti degli alveari per la produzione di miele e per il servizio di impollinazione sono stati conseguentemente limitati dalla legge. Tuttavia è stato dimostrato che le api possono essere proficuamente utilizzate per il controllo della presenza del batterio nell’ambiente.
A questo scopo sono state installate diverse stazioni, costituite ognuna da tre alveari, in aree infette, ai bordi di queste e nelle zone non contaminate. In queste stazioni a cadenza settimanale veniva raccolto il polline per essere successivamente esaminato in laboratorio al fine di identificare la presenza del batterio e, tramite le analisi palinologiche, per identificare le specie botaniche visitate dalle api.
La determinazione del batterio nelle matrici apistiche è basata sul metodo immunoenzimatica-chemiluminescente dei prodotti della Pcr-Elisa.
Almeno un campione di polline proveniente da ognuna delle stazioni situate nelle aree infette è risultato positivo. È risultato positivo, inoltre, un campione di polline prelevato in una stazione di una zona definita non contaminata, ma posizionata ai bordi di un’area infetta.
Alcuni mesi più tardi nella stessa area è stata segnalata la presenza del batterio. Quindi il polline può essere considerato una buona matrice di facile impiego per il monitoraggio del microrganismo, in particolare nelle aree di espansione della malattia.
In effetti negli anni successivi (1999-2002), in seguito a questi incoraggianti risultati, è stata progettata un’indagine per il rilevamento precoce del colpo di fuoco tramite l’utilizzo delle api. Diverse stazioni sono state disposte lungo una linea perpendicolare al fronte di espansione sud-est dell’epidemia nella provincia di Forlì-Cesena, con la prima stazione vicina all’ultimo focolaio accertato e l’ultima a circa 28 km di distanza verso le zone non ancora interessate dalla malattia. In questo modo sono stati identificati nuovi casi di colpo di fuoco prima dell’individuazione delle squadre di controllo.

Esplosivi: apprendimento olfattivo e condizionamento

Il motivo per cui le api sono considerate ottime candidate all’individuazione di sostanze esplosive, risiede nel fatto che presentano un’elevata capacità di apprendimento degli odori. Per la stragrande maggioranza delle molecole all’ape basta una sola esposizione perché possa fissarne nella memoria l’odore. Il processo di apprendimento associativo degli odori nelle api è una componente essenziale del comportamento di bottinamento.
Ovviamente le molecole più facilmente riconosciute dalle api sono quelle dei profumi dei fiori e quindi associabili a una ricompensa in nettare o polline.Tuttavia esse possono essere indotte a collegare alla ricompensa pressoché qualunque odore, anche quelli solitamente repellenti.
Quando un’ape atterra su un fiore, la percezione del profumo (stimolo odoroso condizionante), attraverso le antenne, e del nettare, tramite recettori sulle zampe e sulle parti boccali, innesca l’automatica estensione della ligula e il prelievo del nettare (ricompensa). Si crea quindi una associazione tra la percezione degli stimoli odorosi diffusi in concomitanza all’ottenimento della ricompensa e l’automatica estensione della ligula.
Riproducendo questa sequenza in laboratorio utilizzando api opportunamente condizionate e immobilizzate, è possibile utilizzare il riflesso di estensione della ligula (PER - Proboscis Extension Reflex) per rilevare la presenza di sostanze esplosive in ambienti chiusi come aeroporti e stazioni ferroviarie. A questo scopo sono stati messi a punto dei kit in cui le api sono collocate in modo che l’estensione della ligula interrompe un raggio laser e comunica al computer l’avvenuta percezione della sostanza ricercata. Più complicata ma possibile è la ricerca di sostanze esplosive in ambienti aperti (per l’individuazione di campi minati nelle aree a rischio), perché le api, condizionate a ricercare un “nettare” che contenga la stessa sostanza, devono essere seguite con un miniradar.
 
Articolo tratto dalla rivista “Il Divulgatore” n. 5-6/2009,
Editore Centro Divulgatozione Agricola
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 30/04/2010 da Claudio Porrini
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali (DiSTA), area di Entomologia, Università di Bologna
 
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