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 Patologia
La peste americana
 
di Gianni Savorelli
 
La Peste americana incide in maniera più o meno pesante sullo stato di salute delle api. E’ una patologia con cui gli apicoltori si confrontano costantemente e che crea non poche difficoltà. Con questo inserto intendiamo iniziare una riflessione sulla malattia, un viaggio ragionato attraverso il quale dire basta agli antibiotici che tanti danni stanno producendo all’immagine del miele. Gli apicoltori che avranno la costanza di seguirci, ne trarranno senz’altro beneficio
 
Premessa

In teoria la quantità di spore di Paenibacillus larvae larvae, responsabile della peste, necessaria perché si manifesti la malattia è di circa 50 milioni. Nelle condizioni di campo questa quantità è, invece, ampiamente variabile secondo le caratteristiche delle famiglie. E’ stato osservato che possono essere necessari, in certi casi, fino a 300 miliardi di spore in famiglie particolarmente resistenti,  per avere la manifestazione del sintomo clinico. E’ importante precisare (ma si vedrà meglio nel seguito) che, in assenza di sintomi clinici, la patologia può essere in ogni modo in agguato sotto forma di presenza di spore in quantità insufficiente ad uccidere larve.
Alcune famiglie (Hansen) possono avere nelle scorte di miele quantità altissime di spore (anche superiori a quantità  che in altri alveari portano alla manifestazione dei sintomi clinici), senza arrivare alla manifestazione di sintomi clinici (larve morte). Se ne deduce che la resistenza delle api a questa patologia è ampiamente variabile e deriva da numerosi fattori. Non tutti saranno presentati in questa trattazione non essendo direttamente utilizzabili dall’apicoltore.


Il processo di infezione

Le larve sono infettate dalle spore presenti nel miele (che da loro vengono ingerite). Le spore germinano nel lume intestinale delle larve e da qui il batterio passa all’emolinfa. Il patogeno è in grado di infettare le larve in maniera pericolosa in particolar modo quando queste hanno meno di due giorni. La DL 50 (quantità di spore che porta a morte metà delle larve infettate) è tanto più bassa quanto più giovane è la larva. Il tempo necessario a portare a morte la larva è perciò dipendente da diversi fattori, soprattutto il livello iniziale di infezione e caratteri di resistenza delle larve. Può perciò essere variabile anche con, in certi casi, larve che muoiono addirittura prima dell’opercolazione (Brodsgard) e che possono essere evacuate dalle api, anche se la maggioranza delle larve infettate muore dopo circa nove giorni dall’inizio dell’infezione, con formazione di nuove spore, nei due giorni successivi alla morte.
La covata infettata può essere rimossa da api con comportamento igienico più marcato, in grado di rendersi conto che la larva è morta o morente e capaci di disopercolare le cellette  prima che vi sia la formazione delle spore (Ratnieks). Se ciò non avviene, la rimozione della larva in periodi successivi sarà assai difficile. Alcune colonie riescono ad asportare per masticazione l’intera parete della cella a cui la larva è aderente (Ratnieks). Le larve che successivamente sono allevate in celle che hanno contenuto larve colpite dal patogeno, hanno dall’8 al 19% di probabilità di contrarre la patologia (Ratnieks). Le api addette alla pulizia finiranno, probabilmente,  per infettare la covata quando diverranno nutrici.
C’è però da dire che la quantità di spore da esse trasmessa potrà essere sensibilmente ridotta dall’attività del proventricolo. Questo funziona come un filtro che può bloccare il passaggio delle spore e altro nel lume intestinale. Da qui saranno eliminate attraverso le feci. Per contro, la trofallassi tende a distribuire, a tutte le api, le spore incamerate da una singola ape.


Particolarita’ della patologia e fattori di resistenza

Descritto il meccanismo di trasmissione del batterio si possono fare alcune considerazioni. I batteri  possono presentare virulenze all’interno della spessa specie. Nella fase esponenziale di sviluppo del batterio, differenti proteasi (enzimi) sono prodotte (Dancer) che verosimilmente contribuiscono alla dissoluzione del corpo della larva. Per questo motivo la consistenza delle larve morte potrà essere ampiamente variabile.
Una particolare proteasi (Dancer) risulta importante nella virulenza del batterio. La sua azione sembra essere quella di ridurre la risposta immunitaria della larva, riuscendo poi di conseguenza ad ucciderla. E’ stato anche osservato cosa avviene nei tessuti della larva quando il batterio inizia a riprodursi (Gregorc). Le cellule infettate dello stomaco sono immediatamente circondate da particolari proteine (prodotte dalla larva), denominate Istoni, che sembrano mostrare funzioni difensive.
Un altro fattore di resistenza della larva deriva dalla pappa reale (Bilikova) la quale contiene un peptide denominato defensina realisina MW 5523 che risulta esercitare attività antibatterica contro batteri Gram-positivi come appunto il Paenibacillus larvae larvae.
Nelle api adulte, di contro, il batterio non riesce assolutamente a svilupparsi. Specificamente, è stata studiata l’influenza dello stomaco delle api adulte sulla moltiplicazione e germinazione delle spore (Galle) di P. larvae larvae.
Gli studi focalizzati su due gruppi di api adulte caratterizzate dall’avere un gran numero di spore nel tratto gastrointestinale mostrano che api di mezza età (che sono conosciute come in grado di rimuovere le larve morte e ripulire le celle) e api invernali, che non hanno possibilità di defecare frequentemente, possiedono nello stomaco sostanze in grado di inibire completamente la crescita delle spore di P. larvae larvae. Queste sostanze inibenti sono molto stabili alla temperatura mostrando il 60% di capacità di inibizione dopo15 minuti, a 125°C. Sostanze inibenti la crescita di P. larvae larvae, non meglio identificate, sono presenti nell’estratto di larve di 4 giorni e, in misura minore, in quelle di un giorno. Tali sostanze sono invece assenti nelle larve di 6 giorni prossime all’opercolazione. Ciò lascia presagire che le larve di età maggiore sfruttano già le sostanze intestinali per la difesa dal parassita.
Negli estratti d’intestino d’ape adulta si mostra una più forte capacità che negli estratti di larve a inibire la crescita del batterio. L’intestino delle nutrici di 8 giorni mostra un potenziale di inibizione più  elevato rispetto alle altre api adulte. Sembrerebbe pertanto che siano almeno due i meccanismi naturali di difesa. Dunque tutte le larve e le api adulte possiedono diverse sostanze capaci di contenere lo sviluppo di P. larvae larvae. Fanno eccezione e sono perciò vulnerabili solo le larve nei primi giorni di età. Differenze nella quantità di queste sostanze sono riscontrabili fra api di differenti colonie e ciò può contribuire alle differenze di resistenza e di suscettibilità delle famiglie alla peste americana. Anche polline e pane d’api, pappa da operaie e pappa reale inibiscono la crescita batterica (Creilscheim).

Ciclo di sviluppo larvale

Per diagnosticare la peste americana è importante conoscere il normale processo di sviluppo delle larve. Identificare i sintomi della covata significa comparare eventuali anormalità con gli aspetti caratteristici della covata sana. Tre giorni dopo la deposizione l’uovo si trasforma in una piccola larva di color bianco perla. A questo stadio appare come una piccola C sul fondo delle celle.
Per un periodo di 4 giorni la larva mantiene questa forma a C, aumentando però notevolmente di taglia. All’ottavo giorno dalla deposizione, la larva si sdraia lungo la parete inferiore della cella preparandosi alla trasformazione in adulta. Al nono giorno la cella viene opercolata. Al dodicesimo giorno la larva effettua la pupazione e la forma da adulta comincia ad apparire. La pupa è inizialmente bianca, ma gradualmente assume la colorazione da adulta.


Sviluppo di larve affette da peste americana

La forma vegetativa del batterio si moltiplica nell’intestino della larva, ma non riesce a penetrare le pareti e moltiplicarsi nei tessuti fino a che la larva non assume la posizione orizzontale. Non vi sono normalmente sintomi visibili dell’infezione fino a che la larva non muore, poco prima o poco dopo la pupazione, cioè dopo l’opercolazione. Vi possono perciò essere delle differenze a seconda che il cadavere sia di una larva o di una pupa.


Sintomi visibili all’ispezione del favo

Il primo sintomo osservabile è normalmente un cambiamento nel colore dell’opercolo, che può assumere una colorazione più scura, fino ad apparire quasi nero. Le celle infette sono anche leggermente umide, quasi oleose in apparenza e caratterizzate da leggera depressione al centro (caratteristico aspetto affossato). Percependo anormalità nella cella le api cominciano a rosicchiare l’opercolo per rimuovere il contenuto. Questi fori hanno una forma più irregolare rispetto alle celle in fase di opercolazione e non ancora terminate e anche rispetto alle celle in cui la giovane ape comincia ad uscire. I sintomi della peste americana si trovano generalmente sulle larve di operaia, in rare occasioni sui fuchi e mai nelle celle reali. Se la malattia è allo stato avanzato e ha già coinvolto più larve, si può presentare un quadro caratteristico in cui alcune celle ancora opercolate sono circondate da covata di età più giovane.


Colore delle larve

Le larve sane sono color bianco perla. Le larve malate assumono una colorazione marrone caffelatte. Tuttavia anche altre patologie possono dare una colorazione similare alle larve morte. Il colore può anche variare secondo quanto tempo è trascorso da quando la larva è morta, da quanto si è degradata ed essiccata. Dopo circa un mese sarà completamente secca e potrà avere un colore molto vicino al nero. Le larve morte di peste americana presentano molte volte la caratteristica di avere la ligula estroflessa e prominente verso l’alto.


Posizione nella cella

Le larve infette da peste americana si trovano generalmente sdraiate lungo la parete inferiore della cella. Larve infette non possono essere trovate nella posizione a C tipica delle larve più giovani dal momento che il patogeno non uccide la larva prima che questa si sia sdraiata lungo la parete.

Ligula della pupa

Quando larve o pupe morte a causa della peste americana si seccano assumendo la consistenza di scaglia, possono essere più difficili da identificare, dal momento che la scaglia può aderire completamente alla parete inferiore della cella, presentando uno spessore minimo. In questi casi i resti delle larve possono essere particolarmente difficili da vedere. I resti delle pupe, invece, possono essere più facilmente identificabili dal momento che in genere la ligula è essiccata nella posizione estroflessa e punta direttamente verso l’angolo opposto dell’esagono della cella.
Questo può essere considerato un sintomo piuttosto caratteristico (“patognomico”) perché nessun altra patologia produce qualcosa di simile nella pupa morta. Non può però essere esclusa l’azione di fitofarmaci in alveari che manifestano questa sintomatologia.


Odore

Larve e pupe infette da peste americana hanno un odore tipico definito simile alla colla da falegname o di pesce morto. L’intensità dell’odore può variare considerevolmente, dipendendo dal numero delle celle infette e dalla temperatura. L’odore può perciò non essere fortemente relazionato alla patologia.
L’odore della peste americana è stato talvolta usato come mezzo per una diagnosi precoce della malattia. Allo scopo specifico sono stati addestrati cani, il cui olfatto è notoriamente molto sensibile. Uno studio effettuato sulle sostanze volatili prodotte dal P. larvae larvae (Dalibor Titera) a mezzo spettrografia di massa quali siano le sostanze componenti il caratteristico  odore prodotto dallo sviluppo del batterio. Le sostanze volatili caratteristiche risultano essere (nomenclatura inglese):
Acetic-anhydride
Dimethyl-disulfide
Dimethyl-trisulfide
Isopropyl-pyrazine
Methyl-isoprophyl pyrazine a Dimethyl- isobuthyl -pyrazine.


Viscosita’ della larva

Larve e pupe infette da peste americana manifestano in genere una discreta viscosità. Storicamente uno stuzzicadenti era usato per valutare la viscosità della larva. La viscosità (o filamentosità) dovrebbe essere causata dall’azione degli enzimi proteolitici prodotti dal P. larvae larvae. Negli ultimi anni sono però rinvenibili ceppi poco o niente filamentosi, il che rende molto difficile la diagnosi e il distinguere ad esempio larve morte a causa di virus o fitofarmaci da quelle morte per causa del batterio. Per tutte le ragioni sopra esposte (e per quelle menzionate più sotto relative ai virus) si può ritenere che per una diagnosi certa sia oggigiorno decisamente consigliabile utilizzare i test da campo ad anticorpi e ricorrere ad un laboratorio diagnostico.


Diagnosi

Tanto più è precoce, tanto minori saranno i rischi di estensione del contagio alle altre famiglie. E’ perciò auspicabile una frequente e attenta verifica dei telai di covata durante tutto il corso dell’anno. Da quando la varroa è presente anche la diagnosi della peste americana risulta molto più complessa e difficile da riconoscere.
Diverse sintomatologie virali o atipiche possono essere scambiate per peste americana o, quest’ultima, può sembrare all’apicoltore qualcos’altro. Non sembra perciò il caso di prendere decisioni prima di avere una diagnosi sicura.
Oggi è come detto disponibile in commercio un kit che consente una facile e piuttosto attendibile diagnosi della peste americana. Il laboratorio è comunque in grado di eliminare ogni dubbio mediante l’isolamento del germe.


Diagnosi anticipata

Ritter e Van der Hohe hanno sviluppato una metodica, ormai sperimentata, di diagnosi anticipata della comparsa dei sintomi della malattia. Sulla base di osservazioni pluridecennali i ricercatori affermano che nella maggior parte dei casi la malattia si manifesta a seguito di accumulazione all’interno dell’alveare di spore durante diversi anni.
Hanno perciò diviso la quantità di spore che può essere presente nell’alveare in tre categorie “assente”, “scarso”, “alto”. L’analisi di un campione di 50 ml di miele proveniente dal nido, meglio se dai favi più vecchi, consente di rilevare la presenza numerica delle spore all’interno dell’alveare. Su questa base è possibile avere la situazione dell’alveare e il livello di rischio in cui si trova nei confronti della patologia.
Titera ha invece sviluppato una tecnica diagnostica a partire dai detriti che si accumulano sul fondo dell’alveare. Le spore nei detriti dell’alveare sono un eccellente  indicatore dello stato di infezione della colonia. E’ possibile analizzare anche insieme campioni provenienti da 2 fino a 15 famiglie. I detriti sono sciolti in soluzione organica e il P. larvae larvae è coltivato utilizzando metodi comuni.
Il rinvenimento di 104 o più CFU (spore per semplificare) di P.l.l. per grammo di detriti indica la presenza di sintomi clinici nel gruppo ispezionato. Il rinvenimento di più bassi livelli (attorno a 102 CFU /grammo) indica il pericolo di manifestazione della patologia entro un periodo di due anni. Salvo importazioni di spore dall’esterno!


Ispezione e diagnosi

L’adeguata ispezione degli alveari e il rilevamento dei sintomi nei primissimi stadi della malattia è il principale prerequisito per qualsiasi programma di eliminazione della peste americana. Un’ispezione efficace e approfondita non è però del tutto semplice. Non è sempre operazione agevole distinguere tra i sintomi che si possono presentare, particolarmente da quando sono presenti anche quadri virali sviluppatisi in seguito all’avvento della varroa.


Ispezioni visive

Si possono considerare due principi di base che sono sempre validi. Il primo è che non è del tutto possibile la dettagliata ispezione del favo con le api sopra. Il secondo è che più favi di covata sono ispezionati, maggiore è la possibilità di diagnosi della malattia già dal primo manifestarsi. Per cercare di rendere le ispezioni efficienti è importante lavorare ordinatamente. L’ispezione visiva dei favi presuppone che siano guardate le due superfici di covata e il contenuto di celle sospette, disopercolandole quando necessario.
Nella tradizionale prova dello stecchino può presentarsi qualche difficoltà. Può succedere che le larve o le pupe siano ai primi stadi di infezione o abbiano già cominciato a seccarsi e siano poco o per niente filanti. Anche se la larva è secca si potrà verificare infatti che la scaglia non sia filante, dal momento che non vi è più presenza di liquidi nella cella. Ciò rende piuttosto difficile una diagnosi sicura se non con i kit sopra citati o con le analisi di laboratorio.


Identificazione della scaglia

L’identificazione della scaglia rimane un altro test classico per la valutazione della patologia. E’ bene ricordare che dal momento che la larva morta ha bisogno di un po’ di tempo (3-4 settimane) per seccarsi e diventare scaglia, non ci si trova già più nella prima fase della malattia e verosimilmente si potranno trovare nell’alveare altre celle con larve o pupe morte meno vecchie.


Diagnosi differenziale

Vi è un certo numero di patologie apistiche che presentano sintomatologie similari alla peste americana e che possono far scambiare tali patologie per essa. Tradizionalmente si poteva sostenere che se si potevano escludere le altre patologie ci si trovava di fronte a peste americana. I quadri clinici associati a varroa e sindromi virali rendono questa accezione non del tutto plausibile.


Famiglie contaminate

L’infezione da peste americana non avviene semplicemente perché un singolo batterio, o meglio, una singola spora entra nella famiglia. I sintomi clinici si manifestano solo quando milioni e milioni di spore sono introdotti nell’alveare. Molte delle spore presenti nel miele possono essere ingerite dalle api adulte e espulse all’esterno mediante defecazione. Ma alcune spore possono arrivare dal miele o dal polline alle larve tramite la nutrizione. In parecchi casi è possibile che siano in numero insufficiente a creare l’infezione.
Allo stato attuale le spore batteriche sono presenti in moltissime colonie, ma in molti casi non in numero sufficiente a scatenare la malattia. E’ perciò evidente che qualsiasi cosa che aumenta la presenza del patogeno fa aumentare il pericolo mentre qualsiasi cosa che ne diminuisce la presenza riduce il pericolo.
Da qui, l’utilità di qualsiasi mezzo atto a diminuire il numero delle spore presenti su ciascuna famiglia, nell’intero apiario e nell’intera azienda apistica.
Come detto, la presenza di spore di peste americana nelle famiglie di api o addirittura nello stomaco delle larve non significa automaticamente che la famiglia è malata. La larva e quindi di conseguenza la famiglia, risulterà malata quando il batterio la porterà a morte. A questo punto l’evoluzione del contagio è inarrestabile e irreversibile (eccezioni a parte). La famiglia perciò è ritenuta sana anche se contiene molte spore, fino a che una larva non muore a causa di esse.
A maggior ragione è intuibile l’importanza di cercare di mantenere più bassa possibile la presenza di spore in ogni alveare.


Famiglie infette

Una famiglia si ammala di peste americana quando una o più larve si ammalano e muoiono per azione del P. larvae larvae.
Lo spostamento di favi, miele, polline e qualsiasi altro oggetto (es. coprifavo, fondo antivarroa, porticina di entrata ecc.) da una colonia a un’altra che non mostra sintomi della malattia, si può tradurre in uno spostamento (più o meno consistente) di spore e in certi casi portare la famiglia ricevente ad una quantità di spore tale da far scoppiare i sintomi evidenti. Una volta che un numero di spore sufficiente ad innescare l’infezione è entrato nel circuito alimentare delle larve, le prime mortalità saranno visivamente evidenti in 12 giorni e mezzo.
Sono state effettuate le seguenti osservazioni sperimentali (Goodwin):
le famiglie della prova sono state volontariamente contaminate con una quantità nota di spore. Il ricercatore ha poi osservato in quanto tempo si manifestassero i sintomi clinici.
Pur in tempi estremamente variabili e a volte piuttosto lunghi si può osservare che il 100% degli alveari infettati mostra prima o poi i sintomi evidenti della malattia.
Quasi metà delle famiglie manifesta i sintomi evidenti nei primi due mesi successivi all’introduzione delle spore.
Se per caso da alcune famiglie colpite si tolgono inconsapevolmente i melari e li si pone (dopo averli smielati) su famiglie sane nella primavera successiva, ad un controllo effettuato dopo qualche mese, a fine stagione, si ha la probabilità, secondo Goodwin, di trovare l’85% delle famiglie su cui sono stati posti i melari provenienti dalle famiglie malate che mostrano i sintomi clinici della peste americana. Il rimanente 15% potrà essere diagnosticato nella primavera ancora successiva, un anno e mezzo dopo che i melari sono stati tolti dagli alveari originalmente malati.
Questo dato è stato in passato contestato da esperti apistici italiani che ritengono che il melario locale, essendo difficilmente sede di deposizione di covata, non contenga una quantità di spore notevole. Non hanno però prodotto su questo dati scientifici. (vedi tabella)



Diffusione della peste americana

Per controllare la diffusione della peste americana è importante capire come la malattia si trasferisce tra le famiglie:
miele estratto dai melari
trasferimento di favi di covata
favi vuoti
altre parti di alveari contaminati
saccheggio  
deriva
regine e pacchi d’api
sciami
fogli cerei
equipaggiamento apistico (guanti, parti di arnia, smelatore ecc.)
nutrizione con miele contaminato
E’ importante ricordare sempre che le colonie non si infettano di peste americana ricevendo  una sola spora ma che sono necessari diversi miliardi di spore.
Tuttavia vi può essere una quantità di spore (anziché una goccia) che fa traboccare il vaso. Molto spesso la prima causa di diffusione delle spore è la pratica apistica. In particolare: il movimento di melari smielati fra varie famiglie, spesso l’anno successivo o per asciugatura a fine stagione (anche se come detto vi è chi ha rifiutato questo dato).
Il trasferimento di favi da nido con covata e miele da una famiglia all’altra. L’utilizzo du miele nell’alimentazione delle api. Il saccheggio, può rappresentare una consistente forma di contagio, ma in genere deriva da cattiva pratica apistica. La deriva di api adulte da alveari colpiti ad alveari sani non è invece causa significativa di contagio.


Melari smielati

I melari sono ciò che più frequentemente è scambiato tra gli alveari. Le colonie dalle quali provengono sono di frequente non controllate per la presenza di peste americana quando il miele viene raccolto, specialmente se i melari sono tolti dagli alveari in periodo di saccheggio.
Questi favi possono poi essere dati ad altre famiglie dello stesso apiario, ma anche ad altri apiari. Uno studio è stato condotto in Nuova Zelanda per verificare l’importanza dei melari smielati nel trasferimento delle spore di peste americana. I melari smielati sono, secondo gli autori neozelandesi, probabilmente il maggior veicolo di diffusione delle spore.


Trasferimento di favi di covata con miele

Spesso si trasferiscono favi di covata e miele da una famiglia all’altra. Sfortunatamente, così facendo si può veicolare anche un consistente carico di spore.

Favi vuoti


I favi vuoti, non contenendo miele, sono generalmente vettori di un numero minore di spore tuttavia non trascurabile.


Altre parti dell’arnia

Tutte le altre parti dell’arnia e del materiale apistico possono essere vettori di spore (seppure in quantità generalmente bassa).


Saccheggio

Ricerche condotte a Ruakura in Nuova Zelanda, hanno verificato il potenziale di diffusione della malattia attraverso i saccheggi. E’ stato appurato che a seguito di un saccheggio la malattia si può sviluppare nei successivi tre mesi nell’80-88% delle famiglie saccheggiatrici. Tuttavia su questo ha certamente un effetto sia il carico di spore presenti nelle famiglie saccheggiate, sia quello delle famiglie saccheggianti.

Deriva

Le api si trasferiscono con frequenza da un alveare all’altro, particolarmente quando gli alveari sono disposti in una lunga fila. Questo fenomeno, denominato deriva, è spesso menzionato come uno dei fattori principali della diffusione della peste americana, tuttavia ciò non corrisponde esattamente al vero, pur essendo il fatto certamente da non trascurare. Spesso gli alveari contigui a quello in cui si manifesta la patologia, la manifestano a loro volta dopo breve tempo, ma più che la deriva delle api possono essere presi in considerazione altri fattori.
Gli alveari vicini alla colonia infetta sono quelli su cui l’apicoltore passa ad operare e tutto ciò che inavvertitamente o con intenzione succede può essere vettore di trasferimento di spore tra le due famiglie.
Da prove effettuate, ricercatori neozelandesi hanno concluso che solo circa l’8% delle famiglie contrae la patologia a causa di deriva delle api adulte. Ciò fa sì che la deriva non debba essere considerata fra le maggiori cause di diffusione del patogeno. Dal momento che la deriva ha effetto anche sullo sviluppo delle famiglie e sulla produzione si potrà cercare con opportuni accorgimenti di ridurla al minimo possibile.


Regine

E’ teoricamente possibile che una regina sia vettore di spore da una famiglia all’altra, tuttavia in quantità certo non sufficienti ad essere la sola causa di contagio. Se si inserisce la regina di una famiglia malata in una sana essa non infetta la colonia sana, ma se è vero che la famiglia di provenienza ha sviluppato la patologia significa che non ha una particolare capacità di resistenza ad essa e non è certo il caso di continuare ad utilizzarla.

Sostituzione periodica dei favi da nido

Se le dita dei guanti o altro attrezzo apistico non sono “ficcati” direttamente in una celletta con larva morta non avranno sulla loro superficie una quantità di spore tali da rappresentare uno dei fattori maggiori di diffusione.
E’ però il caso di pensare nella logica per cui molte gocce fanno un fiume e mantenere tutto al massimo di disinfezione possibile.  
Lo smelatore (e la pratica di smelatura) può essere uno dei momenti di maggiore diffusione delle spore. Il miele infetto rischia di essere trasferito in questa fase da un favo all’altro nel corso dell’estrazione.
Tuttavia, la quantità di spore trasferite può essere in certi casi insignificante se comparata con quella presente in un melario proveniente da famiglia colpita.

Miele e polline per l’alimentazione delle api

Il miele è indiscutibilmente la prima fonte di diffusione delle spore di peste americana e anche nei mieli invasettati per la commercializzazione, è stata rinvenuta una consistente quantità di spore. Ciò può deporre anche a favore della tesi sulla pericolosità dei melari.
Anche il polline può arrivare a contenere considerevoli quantità di spore.
Particolare attenzione deve essere prestata anche agli opercoli. L’alimentazione con miele o polline contaminato è indubbiamente fra le maggiori cause di contagio. L’incidenza della malattia nelle aziende apistiche è oggi ampiamente variabile tra meno dell’1% e più del 10%.
E’ perciò evidente che intensità dei controlli e misure di eradicazione dovranno essere proporzionali al livello di rischio.


Efficacia delle misure di eradicazione

(Dal manuale “Eradicazione della peste americana” di Mark Goodwin and Cliff Van Eaton - Nuova Zelanda)
Se nonostante le buone pratiche adottate l’incidenza della patologia rimane stabile è probabile che si stiano contaminando con pratiche errate diversi alveari sani.
Se l’incidenza aumenta l’apicoltore sta verosimilmente infettando un numero di famiglie superiore al numero di quelle risanate. Per porre rimedio è necessario aumentare il numero e l’efficacia delle ispezioni per trovare precocemente gli alveari colpiti. Sono anche necessari cambiamenti nella pratica apistica per diminuire la diffusione delle spore.


"La maniera più efficace di combattere la peste americana è quella di verificare attentamente il quadro clinico prima di togliere qualsiasi cosa dall’alveare e ridurre gli scambi di materiale tra le colonie quanto più possibile, nel contempo effettuando il ricambio di favi e miele delle scorte".



Frequenza delle ispezioni

E’ ovvio che più frequenti sono i controlli, più sarà alta la probabilità di rinvenire eventuali casi nella prima fase della malattia e limitarne perciò la diffusione. Dati del ministero neozelandese dimostrano una più alta percentuale di casi rinvenuti in autunno rispetto a quella rinvenuta in primavera. Gli alveari devono essere accuratamente ispezionati almeno in primavera e in autunno. E’ consigliabile aumentare per quanto possibile queste ispezioni, curando in parallelo quanto più possibile la disinfezione del materiale qualora l’incidenza della patologia lo richieda.


Percentuale di favi ispezionati

C’è sempre la tentazione di diminuire il numero dei favi ispezionati. Tuttavia il risparmiare la visita di qualche favo può avere conseguenze molto spiacevoli. Non solo si rischia di lasciare in campo un alveare infetto a diffondere spore, ma dopo averlo visitato e ritenuto sano si comincerà senza saperlo a diffonderne le spore.
Se vi è un solo favo colpito in un alveare da 12 favi si ha il 75% di probabilità di non diagnosticare la malattia ispezionando tre favi.


Piano di controllo e di risanamento degli alveari


Hobbisti
Trattandosi di pochi alveari si ha la possibilità di un controllo pressoché completo. Ispezionare ogni favo di covata, tre volte durante la primavera. Assegnare un numero ad ogni alveare e lo stesso ai relativi melari.
Verificare che durante la smelatura i telaini siano reintrodotti nello stesso melario numerato di provenienza. Ispezionare ogni favo durante l’autunno.
Nel caso siano rinvenuti casi di peste, non trasferire alcunché da un alveare ad un altro per minimo un anno. Rinnovare regolarmente la cera del nido e le scorte alimentari. Disinfettare in ragione del livello di rischio.

Semicommerciali e professionisti
Il problema per questo tipo di allevamenti è la perdita di tempo necessaria per ispezioni accurate, pratiche varie e disinfezione. Si tratta di organizzarsi al meglio.
Ispezionare con cura ogni alveare all’inizio della primavera Ispezionare almeno tre favi di covata nel periodo successivo, prima della posa dei melari.
Ispezionare al meglio gli alveari da cui si tolgono favi per aggiungerli ad altri alveari.
Disinfettare al meglio. Se non vi è miglioramento della situazione utilizzare misure più severe di controllo; disinfezione e rinnovo del materiale. Sul problema della disinfezione si parlerà su uno dei prossimi numeri di Apitalia.


Cure

Non è attualmente registrata alcuna forma di cura con mezzi chemioterapici. La tecnica di messa a sciame è conosciuta, per altro è  impiegata da moltissimi anni, ma è meno efficace di quanto si sia storicamente creduto.
E’ stata verificata l’efficacia del metodo su 101 alveari (Hornitzky). Nessuno dei trattamenti testati è risultato efficace al 100%. La sola scuotitura su fogli cerei ha fatto risultare 10 (41.7%) di 24 alveari risanati. Due alveari con api presentavano presenza di spore di P. larvae; 2 alveari (8.3%) hanno sviluppato di nuovo la malattia e 12 (50.0%) sono morti.
Di 32 alveari con api scosse su favi trattati con raggi gamma, 14 (43.8%), sono risultati risanati, 3 (9.4%) hanno sviluppato di nuovo la malattia e 15 (46.9%) sono morti. Il ripresentarsi dei sintomi della patologia ha avuto luogo nelle famiglie in test in tempi diversi variabili da 3 a 17 mesi dopo la scuotitura. Dopo i 17 mesi non sono state effettuate verifiche.
Non trattiamo in questa sede le relazioni fra varroa e peste americana limitandoci a comunicare che la presenza dell’acaro rende le api maggiormente vulnerabili alle patologie batteriche.
 
 
 IMMAGINI ALLEGATE A QUESTO ARTICOLO: 5 tot.

Bacillo della peste americana

Spora di peste americana

Telaini colpito da peste americana

Positività alla prova dello stecchino

 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 04/10/2006 da Gianni Savorelli
 
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