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 Varroa
Studi preliminari inerenti l’applicazione della termoterapia nel contenimento di Varroa destructor (Anderson & Trueman) in colonie di Apis mellifera ligustica
 
di Tiziano Gardi*, Marco Ciscato*, Virginia Ruspolini*, Monica Pica**, Mauro Tagliaferri***, Francesco Ambrogi****
 
A tutt’oggi la varroasi risulta essere la principale patologia delle api, che se non viene trattata periodicamente, porta al collasso della maggior parte delle colonie nell’arco di 2 - 3 anni. A tale scopo si è voluta saggiare la possibilità di contrastare l’acaro Varroa destructor (Anderson & Trueman) con sistemi a basso impatto sul sistema alveare, tra i quali l’utilizzo della termoterapia somministrata attraverso appositi telaini termostatati oggetto di duplice domanda di brevetto nazionale con numerazione RN2013A000051 e RN2013A000052, su cui vengono fatte sviluppare le colonie. Obiettivo della sperimentazione attuata è stato quello di verificare attraverso questa metodologia la possibilità di contenere l’acaro V. destructor a livelli accettabili all’interno delle colonie senza far ricorso a sostanze di sintesi
 
INTRODUZIONE
Secondo studi effettuati per il contenimento della varroasi è dimostrato che se non viene trattata periodicamente, porta al collasso della maggior parte delle colonie d’api, in tempi brevi (Rosenkranz et al., 2010; Dietmann et al., 2012; Carpana e Lodesani, 2014; Lodesani et al., 2014; Büchler et al., 2014).
Il ciclo biologico della Varroa destructor (Fig.1) prevede due fasi (Rosenkranz et al., 2010; Sammataro et al., 2000):
Fase foretica che avviene sul corpo dell’ape adulta.
Fase riproduttiva che avviene all’interno della cella di covata.
Il controllo consiste principalmente nell’utilizzo di prodotti di origine chimica o naturale che colpiscono l’acaro in fase foretica (Rosenkranz et al., 2010; Lodesani et al., 2014); solo nel caso dell’acido formico si è riscontrata un’azione entro cella (Fries et al., 1991), ma si hanno ancora dubbi su come questo possa influire sullo sviluppo futuro delle colonie a seguito del trattamento, infatti sono state riscontrate perdite e rinnovi di regine, fuoriuscite di api dall’alveare oltre ad essere strettamente legato alle condizioni ambientali esterne all’alveare (Giacomelli et al., 2013).
La sperimentazione in oggetto è stata condotta in collaborazione tra la FAI - Federazione Apicoltori Italiani, il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali (DSA3) dell’Università degli Studi di Perugia e la Società Cooperativa Agricola Apicoltori Gubbio - Gualdo Tadino (PG) che ha messo a disposizione gli alveare muniti di telaini oggetto di brevetto. La ricerca è stata finanziata dal Mi.P.A.A.F.  nell’ambito del Reg. CE 1234/2007 - Miglioramento della produzione e commercializzazione del miele - Azione B, Sottazione 2 - 1.
Nel corso della sperimentazione si è cercato di capire come la termoterapia, ossia l’uso del calore possa essere un’efficace biotecnica per il controllo dell’acaro varroa.
La lotta a V. destructor mediante trattamenti termici o ipertermia (Engels, Rosenkranz; 1992) è nota fin dalla prima comparsa dell’acaro nella ex URSS (Fakhimzadeh, 2001). Dagli studi effettuati emerge che l’acaro predilige temperature di circa 32 °C (Engels, 1998; Rosenkranz et al., 2010) ma viene danneggiato da temperature superiori a 38°C e in dipendenza della durata di esposizione a queste. è però altrettanto dimostrato che la morte dell’acaro è connessa alla durata di esposizione alle alte temperature (Engels, Rosenkranz, 1992; Engels, 1998). Mentre a temperature di 44 - 45 °C la covata delle api inizia a subire danni anche irreversibili, a seconda della durata dell’esposizione (Engels, Rosenkranz, 1992).
Sulla base di questi studi (“Storia della lotta alla Varroa destructor attraverso l’uso dell’ipertermia”) possono essere reperibili in commercio: il Varroacontroller, sviluppato in Austria  che riprende direttamente il sistema ideato da Engel e collaboratori, oppure il Mitezapper® che prevede la “cottura” della covata opercolata da fuco (riscaldamento eccessivo della covata), e successiva rimozione della stessa da parte delle api, simulando la tecnica dell’asportazione dei favi di covata ed infine, il sistema Beesauna, sviluppato in Germania.

MATERIALI E METODOLOGIA
La sperimentazione condotta per un triennio, prevedeva l’uso di appositi telaini (Fig.2) muniti di resistenza (Telaini Termostatati: TT) sui quali era possibile applicare i comuni fogli cerei che venivano forniti dal detentore del brevetto. Gli stessi venivano inseriti in 108 alveari contenenti colonie di Apis mellifera ligustica (Spin.) distribuiti nel comprensorio in cui opera la Società Cooperativa Agricola Apicoltori Gubbio - Gualdo Tadino. Le arnie erano di tipo Dadant - Blatt a dieci favi dotate di fondo diagnostico per la conta degli acari.
In primavera appena la stagione apistica lo consentiva venivano inseriti i TT per permetterne la costruzione da parte delle colonie. Durante il primo anno si sono verificati problemi di costruzione in uno degli apiari, a seguito dell’inserimento tardivo dei TT (andamento stagionale avverso). Nei restanti apiari la costruzione è risultata regolare e le colonie si sono sviluppate come nei telaini non termostatati (Telaini Standard: T Std) (Fig. 3a e 3b). Negli anni successivi si è potuto però notare che anche i telaini che non risultavano costruiti e/o risultavano danneggiati, venivano recuperati dalle api che riuscivano a riposizionare la cera nelle parti mancanti e a completare la costruzione del favo (Fig. 4).
Il sistema impiegato prevedeva il riscaldamento della covata attraverso gli appositi TT con il fine di raggiungere la temperatura di 42 °C all’interno delle celle di covata. Tutto ciò nel tentativo di colpire la varroa nella fase riproduttiva (Engels, 1994; Engels, 1998).
In ciascuno degli alveari sperimentali veniva inserito un TT munito di sonda (Telaino sonda) con funzione di termoregolare il sistema e mantenere la temperatura prestabilita all’interno della covata opercolata per il tempo necessario al trattamento.
Nella fase iniziale si è cercato di verificare se temperature diverse da quelle riportate dalla bibliografia tedesca (42 °C), potessero influire positivamente o negativamente sul sistema alveare. Sono state pertanto prese in esame tre temperature 41, 42 o 43 °C con una durata del trattamento di 60 minuti dal raggiungimento delle temperature prestabilite (Fig. 5). Successivamente si è invece indagata una sola temperatura di trattamento (42 °C), come riportato in bibliografia (Engels, 1994; Engels, 1998), ma con diversa durata (60’ e 90’) e con diverse tempistiche di trattamento.

RISULTATI E DISCUSSIONE
I risultati ottenuti nel corso della sperimentazione fino ad ora attuata ci permettono di trarre delle considerazioni generali sulla termoterapia attraverso il riscaldamento del nido con TT:
L’inserimento dei TT non influenza negativamente lo sviluppo delle colonie, né l’attività di deposizione delle regine e nemmeno l’attività delle api operaie (costruzione dei favi, immagazzinamento polline e miele), infatti come si è visto nelle colonie aventi telaini termostatati ma non sottoposte ad alcun trattamento termico, non si sono verificate differenze rispetto a colonie allevate su telaini standard (Fig. 3a, 3b).
Si è osservato che, in periodo di sciamatura o comunque in presenza di celle reali aperte, durante il trattamento termico, si può verificare uno scivolamento delle larve di regina probabilmente dovuto al fatto che le celle reali sono costruite perpendicolarmente rispetto al favo: la gelatina reale con il calore tende a fluidificarsi rendendo la cella più “scivolosa” e alterando la posizione della larva per gravità. Per quanto riguarda invece la covata  di operaie e fuchi, non sono stati riscontrati apparenti stati di alterazione che comunque saranno oggetto di ulteriori verifiche.
Rispetto alla stagione apistica 2014, nel corso del 2015 si sono verificati alcuni rinnovi di regine probabilmente connessi ad una anomala fecondazione avvenuta nell’anno precedente piuttosto che imputabili solamente al trattamento termico.
Durante i trattamenti termici è opportuno che sul telaino dotato di sonda sia presente covata opercolata affinché la temperatura di 42 °C possa assolvere alla sua funzione, in quanto, come è stato sperimentato da Engels (1994, 1998), l’ipertermia ha un’azione all’interno delle celle di covata opercolata. Infatti, come si è potuto verificare, se nelle celle sovrastanti la sonda è presente miele, polline o larve di differenti età non ancora opercolate, non sempre la temperatura impiegata riesce a mantenersi costante ed ad avere l’effetto desiderato nei favi di covata adiacenti. In questi casi si possono di fatto verificare fenomeni di “bruciatura” della covata (morte dovuta al trattamento termico), con relativa rimozione della stessa. Ciò, se da un lato, consente l’uccisione della varroa all’interno delle celle, dall’altro impegna le api alla rimozione della covata deteriorata ed al suo successivo ripristino. Questo fenomeno, qualora dovesse verificarsi in modo diffuso all’interno della colonia, porterebbe ad una estesa coetaneità della covata favorendo il successivo reinserimento della varroa che si trovava in fase foretica al momento del trattamento.
Onde evitare il verificarsi di tale problematica, a fini sperimentali, si è scelto di inserire manualmente poco prima del trattamento la sonda termoregolatrice all’interno di una cella di covata opercolata, per cercare di garantire un regolare riscaldamento della camera di covata. Ciò nonostante si sono verificati fenomeni di “bruciatura” nei telaini adiacenti al telaino sonda. Nell’anno in corso è già in sperimentazione l’uso di un nuovo telaino sonda che possa garantire maggiormente il rispetto della temperatura applicata anche nei restanti telaini in cui la sonda non è presente. Questa nuova metodica dovrebbe permettere un più corretto calcolo dell’efficacia del trattamento termico come previsto anche dalla metodica ufficiale in materia di acaricidi per uso apistico che non prevedono l’analisi in caso di situazioni anomale (EMA, 2010; Dietmann, 2013).
Nel corso dei trattamenti si può notare formazione di “barba” al di fuori dell’alveare, come normalmente avviene in caso di temperature piuttosto elevate, tale fenomeno non sembra però arrecare alcun problema all’andamento dell’alveare.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Le tecniche fino ad ora utilizzate, basate sull’uso della termoterapia e che prevedono lo spostamento di telaini di covata o api in contenitori comuni appositamente termostatati al fine di distruggere l’acaro varroa, pur fornendo da un lato buoni risultati, dall’altro si dimostrano  piuttosto complesse da attuare. Queste tecniche vengono applicate, soprattutto, in momenti in cui le api potrebbero essere facilmente sottoposte all’azione del saccheggio o in cui l’apicoltore si trovi impegnato in altre attività aziendali oltre ad aumentare il rischio di contaminazione delle colonie con patologie di tipo batterico e/o fungine a seguito dell’uso di un contenitore comune.
La metodologia impiegata nella sperimentazione che prevede l’utilizzo di telaini appositamente termostatati su cui far sviluppare ciascuna colonia, non richiede alcun spostamento di favi di covata e/o di api, può risultare molto più pratico per l’apicoltore, anche se al momento necessita di ulteriori approfondimenti.
Infatti, tale biotecnica potrebbe essere ulteriormente migliorata sia riguardo ai costi iniziali di allestimento dell’apiario sia riguardo al corretto raggiungimento e mantenimento di una temperatura atta a combattere la varroa all’interno delle celle di covata opercolata senza arrecare danno alcuno al resto dell’alveare. Quest’ultimo, infatti, è un organismo molto complesso ed efficiente che, soprattutto in sperimentazioni di campo, può presentare molte variabili che rendono più difficile una corretta valutazione ed interpretazione dei risultati: diversa forza numerica delle colonie, temperatura, umidità ed irraggiamento esterni nel momento in cui si opera, la risposta di ciascuna colonia al riscaldamento artificiale, fattori genetici, sottospecie di ape allevata, presenza di fonti nettarifere e disponibilità idriche nell’ambiente circostante.
Pertanto, qualsiasi apicoltore voglia impiegare la termoterapia quale metodo di lotta alla Varroa destructor, deve tener conto delle variabili sopra citate al fine di ottenere i migliori risultati. Infatti, non è sufficiente innescare il meccanismo termoterapico, ma è necessario verificare precedentemente lo stato sanitario e di sviluppo delle colonie al fine di non danneggiare le api e la relativa produzione.
Attualmente sono in corso ulteriori studi volti anche a verificare se l’applicazione della sola termoterapia possa essere in grado di contenere entro limiti accettabili l’acaro varroa all’interno delle colonie senza al contempo avere effetti negativi ad esempio sul cibo larvale, sulle scorte di polline e miele del nido o per il miele presente nei melari.
 
 
 IMMAGINI ALLEGATE A QUESTO ARTICOLO: 5 tot.
Fig. 1
Ciclo semplificato di V. Destructor (Rosenkranz rt al. 2010).
Fig. 2
Apposito telaino termostatato (non costruito) per il riscaldamento della camera di covata.
Fig. 3
Particolare dello sviluppo della covata di colonie di Apis mellifera ligustica su Telaino standard (a) e Telaino Termico (b).
Fig. 4
Telaino termostatato danneggiato reinserito e in cui le api hanno ripreso a posizionare e lavorare la cera.
Fig. 5
Particolare dell’esecuzione di un trattamento termico durante il periodo di sperimentazione.
 
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© Apitalia - Tutti i diritti riservati
Scritto in data 05/01/2017 da Tiziano Gardi*, Marco Ciscato*, Virginia Ruspolini*, Monica Pica**, Mauro Tagliaferri***, Francesco Ambrogi****
*Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali Università degli Studi di Perugia; **Dipartimento di Scienze Farmaceutiche Università degli Studi di Perugia; ***Inventore e depositario del brevetto; ****Società Cooperativa Agricola Apicoltori Gubbio - Gualdo Tadino (PG)
 
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