Speciale Apicoltori - n. 640, gennaio 2014
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
[Condizioni di accesso ai contenuti di Apitalia Online]
 
 • Giuseppe Rosini
L'apicoltore? Deve fare un balzo in avanti
di Massimo Ilari
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Giuseppe
 cognome  Rosini
 età  57
 regione  Puglia
 provincia  BA
 comune  Bari
 nome azienda  Az. Agr. Giuseppe Rosini
inizio attività  1976
arnie  1300
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Ciliegio
Agrumi
Acacia
Eucalipto
Timo
Millefiori
Castagno
Rovo
 miele prodotto  60 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
L’imprinting è merito del nonno. Quando mi portava in campagna con il suo traino notavo delle scatole in legno poggiate su di un muro a secco da cui entravano e uscivano degli strani animaletti volanti. Che cosa fossero l’ho imparato a mie spese: api, occhio gonfio per una settimana. Un po’ di tempo più in là, messo di fronte al lavoro che avrei dovuto fare da grande, mi tornarono in mente le api del nonno e quei, pochissimi, vasetti di miele che riusciva a produrre e vendere. Si accesero alcune riflessioni, favorite dal fatto che mi piace la campagna, che quasi tutti gli allevamenti non riservavano agli animali una lunga vita, che le api non si uccidono, producono il miele, il miele si vende ed ecco il lavoro. Un interrogativo: ma di miele si riesce a “campare?”. Inevitabile la mia prima ricerca di mercato. Nei fatti, ho iniziato una mattina quando, come folgorato, dissi a mia madre «tra un po’ torno». Lei si raccomandò di non far tardi perché avrei dovuto servire a tavola (i miei genitori possedevano un albergo - ristorante e io servivo a tavola). Viaggio lampo alla ditta Lega di Faenza, 700 Km di corsa: carico due arnie e veloce ritorno, il pomeriggio. Ovviamente, l’inevitabile “cazziatone” di mia madre e mio fratello che aveva dovuto servire al mio posto. Superata la baruffa, sistemai subito le due arnie vuote in giardino, sotto un nespolo in fiore, pieno di api. Entreranno pensai, sono così nuove e belle le arnie che non potranno che entrare. Speranza vana. Che feci? Catturai le api una per una, infilandole nell’arnia dal foro del coprifavo. Devo ammettere che la mia prima operazione apistica non fu propriamente un successo, ma imparai subito a maneggiare le api. Fortuna che la primavera successiva mi salvarono alcuni sciami naturali. Non c’era la varroa (1976).
 
I suoi maestri?
La mia preparazione è avvenuta soprattutto in Francia dove mi recai per non essere riuscito a scucire neanche una parola ai vecchi apicoltori locali, custodi, ancora oggi, di inesplorati segreti. Poi, diversi corsi di formazione presso il vecchio I.N.A., ancora esperienze in aziende emiliane e infine il grande salto. Altra chicca? Il momento dell’iscrizione alla Camera di Commercio. Ricordo ancora la faccia dell’impiegato quando gli spiegai di quale attività si trattasse: l’apicoltura. Quello, perplesso: «Non è mica un lavoro!». Per farla breve, mi iscrissero nell’artigianato. Vi risparmio le odissee successive.
 
Che cosa vuol dire avere una passione per l’Ape?
E' un modo di vivere.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
La Puglia, in particolare gli areali della Murgia Barese-Tarantina e della Costiera ionica-Salentina, sono i nostri territori di pascolo. Si tratta di zone caratterizzate da diverse altimetrie e diverse fioriture, sfruttabili in maniera ottimale per le nostre necessità produttive. Ottime zone di svernamento con riprese graduali (guidate essenzialmente dal rosmarino); pascoli invernali continui (crocifere), spinta dei mandorli, secondo il meteo stagionale. Se si è bravi nei 90 giorni pieni delle fioritura si porta a casa tanto miele. Ma non sono tutte rose e fiori. I guai iniziano già a partire da giugno: bisogna sloggiare verso girasoli, castagni e monti. Non calcoliamo più l’eucalipto, scarso come estensione e ormai sempre meno produttivo. Se, poi, non piove: api alla fame. D’inverno? Si portano in produzione famiglie su tre telaini, ma guai a sbagliare api. Le nostre leggono bene l’andamento meteo e delle fioriture, non sbilanciandosi in improbabili “botte” di covata ai primi tepori, corone di scorte superiori e rose graduali. Bloccano la covata tra novembre e dicembre. Esperienze con ceppi diversi? Disastrose! La morale? Torna alla mente un vecchio andante: “Api e buoi dei paesi tuoi”. Ottima la viabilità per i trasporti, un po’ meno muoversi con camion di grandi dimensioni nei tratturi, con muri a secco.
 
C'è dell'altro?
Soliti problemi con gli avvelenamenti, in particolare su agrumi ma tutto sommato gestibili e sopportabili. Soliti problemi, però assai più grandi, con i furti. Crediamo che in Puglia, in proporzione al numero di alveari presenti, sparisca circa il 10% dell’intero patrimonio apistico. Furti di tutti i tipi: arnie, telai di sponda, melari e, caratteristica forse unica, furti delle sole api mediante “scrollamento” dei favi, fenomeno questo in gran voga e legato, evidentemente, al mercato dei pacchi di api. Le zone interessate sono quelle a maggior concentrazione di alveari e operatori (Bari, Taranto). C’è da dire che manca, totalmente, una qualsiasi normativa regionale di disciplina del settore.
 
Che problemi pone la commercializzazione?
In quasi 40 anni di lavoro abbiamo costruito un mercato consolidato e abbastanza fedele. Serviamo solo circuiti di alimentazione bio, erbo- risterie e farmacie. Vendiamo tutto in vasi e solo il 10% è inviato a un ingrosso molto particolare (birrifici, aziende farmaceutiche e cosmetiche). Non vogliamo essere presenti nella Gdo (Grande distribuzione organizzata, ndr), almeno per ora.
 
Pratica il nomadismo?
Fino al 2009 ci spingevamo anche a 500 Km dalla sede aziendale. L’aumento vertiginoso dei costi, unitamente a rese non propriamente ottimali, ha messo in discussione il modello e allora abbiamo preferito indirizzarci verso una diversa gestione. La parola d’ordine? Ottimizzazione. Dunque, contenimento della spese (l’unica cosa certa del nomadismo è il costo); massimizzazione del prodotto e innovazione di sistema. In sintesi, riusciamo a ottenere, in termini di prodotto, gli stessi risultati pre 2009, ma con un notevole contenimento dei costi. Come che sia, lavoriamo su un solo grande spostamento di quasi tutti gli apiari; il resto, è lavoro di fino: repentino contenimento della varroa, produzioni di propoli, pappa, pollini.
 
L’apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Credo che la conoscenza del territorio in cui si lavora con le api sia fondamentale nella gestione aziendale. L’esperienza maturata in anni di lavoro rappresenta un capitale impagabile, che fa la differenza. Le risposte del territorio al clima; l’andamento ciclico delle fioriture; l’avvicendarsi delle pratiche agronomiche; le rese delle postazioni, valutate in decenni, ci permettono di effettuare scelte importanti in termini di operazioni apistiche che in molti anni ha fatto la differenza tra una cattiva stagione e una buona: conoscere l’andamento delle gelate nella piana agrumicola permette di sistemare ottimamente gli apiari, passando da quasi 0 a 40 Kg.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Il mio modello aziendale ha subito negli anni profonde modifiche, frutto dell’esperienza e conoscenza che mano mano ho acquisito. Oggi lavoriamo in un sistema che si base essenzialmente sul “ciclo chiuso”.
 
Che cos'è?
L’azienda è divisa in tre grossi tronconi: la produzione primaria, la trasformazione, la distribuzione. Ogni settore opera con personale e attrezzature dedicate, rispondendo l’uno alle necessità dell’altro. La produzione primaria con i capi di allevamento gestiti da tre addetti, sei in periodo pieno, disposti in lotti che variano da 40 a 70 unità. Producono ciò che la trasformazione richiede. La trasformazione lavora con due addetti e un proprio laboratorio e si occupa di elaborare in prodotti vari tutte le materie prime ricevute. La propoli conferita diventa sciroppi, tronchetti, estratti ecc; la pappa, flaconcini, bustine o tal quale; il polline è differenziato per origine, essiccato o disidratato o venduto congelato. Il commerciale ha un addetto e lavora con quattro linee: Novapi, Propoli Doc, Novogel, Pollivit.
 
Ma è un'apicoltura convenzionale o bio?
Giusto. Passando al tipo di apicoltura, in senso più tecnico, lavoriamo in regime di certificazione Bio, adottando alcuni accorgimenti particolari. In primis, l’adozione di arnie a sezioni che ci permettono, oltre alla normale produzione di miele, altri diversi tipi di interventi. I più importanti? Il contenimento della varroa mediante confinamento, produzione pappa, starter, svernamento multiplo, basato su due famiglie, in arnie da 10 e tre famiglie in arnie da 12. Adozione, su tutte le nuove arnie, di fondi polline fissi (tipo Pitarresi). Produzione di propoli su coprifavo mediante griglia in acciaio “richiudibile”. Allevamento di regine in nuclei da 1/3 favo nido che ne permettono, agevolmente, anche lo svernamento. Palettizzazione e “fissaggio obbligatorio”(vedi furti) di tutte le arnie su “banchette” in ferro da quattro, in linea, movimentate con camion gru Palfingher leggera, per non gravare sul carico complessivo, o muletto Multione 280 e con fuoristrada e carrelli di varie grandezze. Lavorazione dei melari in campo meccanizzato, secondo un modello copiato da una azienda canadese (French Bee Pharm, sollevamento simultaneo di tutta la pila dei melari per le varie operazioni). Adozione di un nuovo sistema di gestione degli apiari “Bee System”, basato su registrazione vocale che si traduce, automaticamente, in grafici e dati in tempo reale su computer in azienda (non perfettamente a punto). Nutriamo pochissimo, e proprio se costretti. Non ci piace somministrare zuccheri vari, non adattissimi alle esigenze delle api. Disponiamo, comunque, di una scorta di favi a miele in cella recuperati nel periodo dell’abbondanza, per sballare le camere di covata: marzo-aprile-maggio.
 
Che cosa direbbe agli apicoltori che usano antibiotici?
Non solo non serve a niente, ma espone chi li usa a gravissime conseguenze penali. Per quanto mi riguarda, subisco perdite per la peste americana nella percentuale del 1-2%, frutto anche di precise scelte aziendali che impongono l’abbattimento sistematico non solo dei casi di “americana” ma anche di tutti i non valori che riscontriamo in campo. Qualsiasi caso non gestibile con le attuali conoscenze sulle patologie viene abbattuto. Per chi come me non ha pretese di selezionatore è sicuramente un ottimo sistema di lavoro.
 
Come lotta contro la varroa?
La grande battaglia contro la varroa, che tante perdite ci ha inflitto, ha comportato un cambio radicale nel sistema di lotta, incentrato sul continuo contenimento del numero di acari per evitare le ben note conseguenze accessorie come virosi, parapesti, ecc. Si inizia già dall’autunno, spostando tutti gli apiari nelle zone alte per sfruttare l’ormai consueto blocco di fine novembre, frutto anche di un buon lavoro di selezione dei ceppi con simili caratteristiche e di un carico decisamente basso di varroa in pre-invernamento. Si tratta con 2 sublimazioni a 5 giorni. A stagione iniziata, febbraio con mandorli e rosmarino, si parte con la sistematica asportazione dei fuchi, lavoro in cui utilizziamo anche un particolare nutritore a tasca con uno scomparto sottostante che agevola tale operazione. Occhio a non sbagliare tempi. Si continua con blocchi mirati, in coda alle principali fioritura, 1/2 o 1/3 in base alla stagione, per lasciare sempre un minimo di pascolo successivo al blocco. In questo caso si gocciola al doppio. Arriviamo, infine, ad agosto con api abbastanza pulite, pronte per la preparazione all’invernamento e ad altre, eventuali e programmate, operazioni: rimonta, sostituzioni, pareggi, ecc.
 
Cosa funziona in apicoltura?
L’associazionismo, l’idea che da soli non si va da nessuna parte. L’opposto dell’apicoltura che io avevo trovato in Puglia negli anni ‘70. Chi aveva le api si “rinchiudeva a riccio” e non aveva alcun rapporto con i propri colleghi, sembravano più degli stregoni che allevatori. Il tempo che passa ci ha dato una mano.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Il settore è male organizzato, in molti casi ci si improvvisa e nel migliore dei casi si copia. Nascono soggetti che dopo una lettura di un libro e aver frequentato un corso base spiccano il volo verso le mete più alte. È come se lo studente che si iscrive all’Università non avesse fatto tutti gli studi precedenti. Ci sono, inoltre, soggetti e associazioni che non hanno la preparazione adeguata, l’esperienza e conseguentemente le capacità di leggere con esattezza il settore e che in molti casi recano anche danni allo stesso in una autoreferenzialità che ha quasi dell’infantile. Ci vorrebbero da parte delle Istituzioni maggiori controlli sulle referenze dei propri interlocutori, porre paletti e precise condizioni, organizzando le cose in modo tale che la parte decisionale sia in mano alle più alte competenze possibili. In Puglia, poi, se non ci fosse la 313 a dettare qualche regola (disattesa) non ci sarebbe alcun Regolamento, disciplina capaci di permettere un adeguato sviluppo del settore. Cosa grave è che gli stessi addetti, se non per qualche rara eccezione, non fanno nulla perché la situazione cambi, evidentemente non ne hanno bisogno.
 
Cosa rappresentano per lei le api?
Un modo di vivere e fonte di reddito per me e i miei collaboratori.
 
Aspettative future dell’attivita?
Tante. Credo che in apicoltura ci sia ancora molto da fare. Il settore dovrebbe compiere un balzo in avanti vero, con un piglio più imprenditoriale, erigersi come comparto forte e dinamico che conosce il mercato, che sa capire e sfruttare al massimo le proprie potenzialità. Dovremmo muoverci come comparto, non come singoli. I consumatori, il mercato ci danno credito ma ci chiedono ancora tanto. A questo punto, spetta agli operatori comprendere e investire.
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Giuseppe Rosini
 
© by Apitalia - Tutti i diritti riservati
 
[Torna all'indice generale]