Speciale Apicoltori - n. 552, gennaio 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Giuseppe Miranti
Come sposare l'imprenditoria e l'amore per le Api
di Massimo Ilari & Alessandro Tarquinio
Giuseppe Miranti. Apicoltore bio. 26 anni. Vice delegato nazionale dei Giovani imprenditori della Coldiretti. Vice Presidente dell’APAP - Associazione Provinciale Apicoltori Piacentini. Il giovane Apicoltore è stato scelto come “Testimone del clima” per il WWF (Associazione ambientalista) a Montreal (Canada), dove durante il summit delle Nazioni Unite sul clima, che si è tenuto lo scorso novembre 2005, Dimas, Commissario europeo all’Ambiente, ha raccontato la sua storia. Miranti era stato già sentito a Bruxelles, dove davanti ai Commissari europei aveva presentato la sua esperienza.
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Giuseppe
 cognome  Miranti
 età  26
 regione  Emilia-Romagna
 provincia  PC
 comune  Piacenza
 nome azienda  Azienda Agricola Miranti
inizio attività  1996
arnie  60
 apicoltura  Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Tarassaco
Acacia
Tiglio
Millefiori
Girasole
Erba medica
 miele prodotto  30 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Dieci anni fa quando frequentavo l’Istituto agrario di Piacenza che si trova alle porte della città. All’interno dell’Istituto, immerso in un bellissimo frutteto, c’era una persona anziana che gestiva un apiario. Fu lui il tramite e ve ne spiego subito la ragione. La finestra della mia aula si affacciava sull’apiario. Io ero affascianato dai movimenti dell’Apicoltore e dalla attività delle api. Così durante l’intervallo delle lezioni avevo preso l’abitudine di recarmi in apiario, facendo migliaia di domande, sul suo lavoro, all’Apicoltore. Ad un certo punto erano più le ore che passavo in mezzo alle api rispetto a quelle che trascorrevo in aula. Da quel momento ho deciso che sarei diventato apicoltore. Sono partito con tre alveari in un piccolo appezzamento di terra che mio padre aveva appena comprato.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Innanzitutto, l’ho appena ribadito, per la mia passione per le api. Poi, per il fatto che sono una persona un po’ matta ma con un certo spirito imprenditoriale. In pratica avevo bisogno di qualcosa che mi consentisse di fare impresa in agricoltura con strumenti limitati. Allora non provenendo da una famiglia di agricoltori, non avendo una stalla, un’azienda agricola e terreni ho capito che la cosa più semplice era di impiantare un’azienda apistica, dove si richiede un investimento iniziale minore. E ci sono riuscito. Oggi riesco addirittura a gestire anche un’azienda agricola. Comunque c’era e c’è sempre la passione e la curiosità per il lavoro delle api e per la loro opera d’impollinazione. In definitiva, ho cercato di legare la passione e l’amore per le api all’imprenditoria.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Sono sin dagli inizi un Apicolture biologico. Ma è soltanto a partire dal 2001 che sono certificato da ICEA (uno degli Organismi di certificazione e controllo riconosciuti a livello europeo). Si tratta di una scelta che rispecchia il mio modo di vivere e di essere nei confronti dell’Ambiente. Parliamoci chiaro, da una parte è stata anche un’opportunità imprenditoriale perché il terreno in cui avevo le api era situato in una fascia collinare e non aveva grandi prospettive per competere con altre aziende agricole. Dall’altra parte la scelta è stata indirizzata dalle mie conoscenze scolastiche, soprattutto perché ero molto affascinato dalla biodinamica, dall’agricoltura biologica e quindi dalla complessità della biologia di gestione di un’azienda.
 
Quindi ha saputo legare l’imprenditoria e l’amore per le api, con il rispetto per l’ambiente?
Certo. L’ape, ora, più che mai mi serve come anello biologico vincolante della azienda che gestisco. Io sono nato apicoltore e avevo poco meno di mezzo ettaro di terra, adesso ho trentacinque ettari e faccio allevamenti allo stato brado di suini, bovini, ovini e polli, coltivazioni di frutta e l’anello biologico fa parte di quest’auto sufficienza aziendale, non solo per produrre miele. Cercherò di essere più chiaro. I miei apiari non sono collocati in postazioni favorevoli per produrre miele, ma sono posizionati in zone per impollinare piante è questo che fa sì che creino l’anello fondamentale per la mia azienda.
 
E’ importante il servizio d’impollinazione?
E’ fondamentale per i miei terreni. E’, però, ovvio che produco miele molto volentieri per consumarlo e venderlo.
 
Qual è la situazione ambientale della sua zona?
E’ sempre più difficile fare miele. Mi riferisco alla Pianura Padana dove io ho l’azienda, sulla prima fascia collinare, un’area che è ancora una piccola oasi felice. Il problema più grande sta, lo ripeto, nella pianura padana, dove si coltiva il pomodoro in modo intensivo. Oltre a quest’ultimo, spadroneggiano anche le monocolture e tutto ciò sta abbattendo il paesaggio agrario. Solo se pensiamo alla parte riguardante l’irrigazione c’è da mettersi le mani nei capelli. Queste coltivazioni, che possiamo a ragione definire industriali, hanno un gran fabbisogno idrico e il terreno e le piante vengono irrigati con veri e propri tifoni d’acqua. Si tratta di pompe che sparano non so a quale pressione e fanno una strage di api bottinatrici.
 
Le modifiche apportate dall’uomo all’ambiente, hanno cambiato il comportamento delle api?
Senz’altro. Tanto per fare un esempio, trovo difficilissimo fare fronte alle gelate tardive. Mi spiego. Nel mese di febbraio mi trovo delle giornate bellissime, soleggiate e allora comincio a visitare le famiglie e osservo delle stupende ovodeposizioni. Allora intervengo con tecniche apistiche per farmi trovare pronto per l’inizio della stagione: attuo riunioni, bilanciamenti, ecc. Poi arriva il mese di marzo e improvvisamente si registra un crollo delle temperature con grandi gelate, con una moria delle covate e uno spreco di forze e di energie delle api regine. Quest’anno è stata una tragedia. Io ho avuto una bellissima fioritura di acacia. Grazie all’aumento della temperatura si sono registrate fioriture prolungate ma poi le api non avevano la forza per andare a bottinare, e quindi mi mangiavo le mani a vedere le acacie indirizzate su un binario non produttivo.
 
Il cambiamento climatico, come affermano ormai gli studiosi, è direttamente rapportato con l’inquinamento ambientale?
Secondo me è tutto collegato. Le stagioni sono effettivamente alterate. Quando si sente la solita frase che non esistono più le mezze stagioni, modo molto simpatico per descrivere il fenomeno, sento tutta la sua profondità. Purtroppo si passa rapidamente dal caldo al freddo, alla non stagionalità, e le api avvertono un forte disagio, sicuramente, molto più di noi. Non a caso le tecniche apistiche stanno diventando sempre più dinamiche, così ogni anno non si possono più eseguire le stesse metodiche portate avanti l’anno prima. Ciò rende difficile programmare e organizzarsi sia in termini di produzioni, sia d’investimenti che di previsione. Non è facile, specialmente per le micro imprese, fare una pianificazione commerciale. Si fa fatica e ci si mette degli anni e poi ci si trova in condizioni svantaggiose come è capitato a mequest’anno: non sono riuscito a soddisfare neppure il mercato locale.
 
Che problemi incontra nella sua regione nella produzione del miele?
Solo nel senso che è difficile una programmazione commerciale anche per chi come me pratica soltanto il mercato corto e che dunque si rapporta direttamente con il consumatore. Una regola aurea è anche quella di mantenersi su un certo livello di alveari, cercando di tenere il proprio apiario con un totale di famiglie cui ci si possa dedicare senza ricorrere a interventi invasivi e chimici. Non si possono avere più famiglie di quante se ne riescano a seguire in maniera ottimale.
 
Allora possiamo ribadire che piccolo è bello?
Sicuramente. Non è una massima, ma una filosofia di vita. Del resto, ora più che mai, è certo che le api hanno bisogno del nostro aiuto e della nostra presenza. Non posso dire che questa sia l’unica ricetta per tutti, visto che sono vice presidente dell’associazione APAP - Associazione Provinciale Apicoltori Piacentini cui aderiscono 226 soci. Non posso dire a tutti che fare apicoltura in questo modo è l’unica soluzione. Mi piacerebbe, però, che questa filosofia entrasse nella mente dei giovani di cui l’Apicoltura ha un gran bisogno.
 
Quanti giovani praticano apicoltura nella sua zona?
Sono in tanti a mostrare un crescente interesse. Molti di loro stanno riscoprendo la voglia di andare a rioccupare i territori dei loro nonni, a riprendere le loro attività. Stanno riscoprendo le api e l’Apicoltura. In questo percorso sono avvantaggiati, sicuramente, da una legge di orientamento che agevola e di molto la parte commerciale e le opportunità di andare a commercializzare i prodotti dell’apicoltura. Grazie a queste ultime opportunità legislative si può affrontare adesso più che mai un discorso di imprenditorialità in campo apisico.
 
Come mai è stato scelto dal WwF come testimone del clima in Italia?
Prima di tutto c’è da sottolineare che il Wwf ha attuato una selezione in partnership con Coldiretti, associazione che si rende sempre disponibile a queste tematiche, dove io ricopro degli incarichi E’ grazie a tale connubio che la scelta è caduta su di me. Poi ha inciso il fatto che rappresento un’azienda giovane, un bel messaggio da spendere, e, infine, il fatto di essere apicoltore. Ciò, rispetto ad altri, ha rappresentato un bel vantaggio. Non è difficile comprenderne la ragione. L’ape è un organismo definito per antonomasia sentinella dell’ambiente, e quindi indicatore immediato di qualcosa che non va intorno a noi. Penso che l’attività apistica sia stata ritenuta un indice di confronto immediato e nella conferenza stampa tenutasi a Bruxelles, davanti alla commissione ambiente del Parlamento Europeo, poteva essere un indice significativo e chiunque poteva capire il disagio che si avverte con i cambiamenti climatici, attraverso i comportamenti delle api. Io non sono stato a Montreal come è apparso sui giornali, ma sono stato ascoltato a Bruxelles. E’ stato il Commissario all’Ambiente Dimas che a Montreal, davanti a 190 capi di governo di tutto il mondo, ha portato il messaggio di un giovane apicoltore Italiano.
 
Come lotta contro la varroa?
Come produttore biologico ricorro solo a prodotti ammessi nel disciplinare. Questo, però, già lo facevo prima per una questione mia, di rispetto per l’ambiente. Aderendo all’ICEA ho continuato questo tipo di lotta. Io sono assai facilitato nella lotta alla varroa, perché non mi interessa produrre fino all’ultimo momento, fino all’ultimo colpo di sole, visto che cerco soprattutto di mettere le api in condizioni di vivere al meglio. Oltre all’acido ossalico, che si usa in certi periodi, continuo a cambiare cera. Quello che prima era un problema nel convertirsi al biologico, cioé di fare il cambio della cera, io l’ho preso come una ginnastica mentale. Quindi mi voglio convertire ogni anno, dedico il 30 % o 40 % del mio tempo alla sostituzione dei telaini per cercare sempre di avere della cera vergine. Inoltre, allevo in azienda un certo numero di api regine che una volta ogni due anni cambio per averle sempre giovani.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
Sono ancora nella fase di non inventare niente ma di copiare e apprendere tanto. Non mi sento ancora un apicoltore finito, anche se ho la possibilità di fare corsi e lezioni di apicoltura agli studenti delle facoltà di Agraria. Quando parlo ai ragazzi tento sempre di trasmettere un goccio di umiltà anche perché sono ancora io nella fase d’imparare. Si tratta di una cosa che capisco benissimo. Del resto il grande Socrate, amava ripetere. “So di non sapere”.
 
Degli antibiotici cosa pensa?
Penso malissimo. Non si debbono usare. E’ un discorso serio che va affrontato in ogni coltura e per gli allevamenti, non si tratta di criminalizzare solo il mondo apistico. Come che sia, per le api il ricorso agli antibiotici è un mascherare il problema perché hanno un effetto provvisorio, placebo. Danno solo la sensazione di aver risolto il problema, che assolutamente, invece, rimane immutato.
 
Che consiglio darebbe agli apicoltori?
In certe condizioni purtroppo occorre prendere delle decisioni drastiche e non aver paura di rinunciare alla famiglia. L’ape è sentinella ambientale, il miele è un prodotto naturale e quindi dobbiamo ricorrere a tecniche di qualità, non solo idonee ed efficaci per risolvere il problema ma anche per fornire al consumatore un prodotto pulito. Se non s’imbocca questa strada per il miele arriveranno i tempi bui.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Sicuramente funziona l’ape che è fonte d’ispirazione per tutti. Se penso alla mia esperienza, la cosa più affascinante che mi ha colpito non era solo di aprire il coperchio di un’arnia ma di vedere un anziano tra le api e sentire parlare del suo mondo fantastico. Tutto collegato al laborioso insetto.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
E’ che veniamo da un’attività che per secoli è sempre stata considerata complementare. Dunque, c’è una difficoltà imprenditoriale, a mio avviso, a gestire un’azienda apistica. Ciò non toglie che sia stato un bene che anche l’hobbista, il pensionato, il ferroviere o la casalinga, per secoli, abbiano gestito due alveari all’interno della propria azienda o sul balcone di casa. Questo ha avuto un’importanza essenziale per il ciclo biologico del Pianeta. Adesso, però, se vogliamo diventare produttori apistici, in quanto imprenditori dobbiamo fare dei passaggi culturali, dobbiamo affrontare l’azienda non solo come economia domestica ma con spirito imprenditoriale. Ad esempio, il fatto che ci siano persone che producono 90 quintali di miele, senza emergere dal sommerso. Ciò, in qualche modo, va a rovinare il mercato di quanti investono per affrontare il mercato dotandosi di attrezzature, laboratori, innovazioni. Si rischia che tutto ciò si trasformi in concorrenza sleale in casa, perché chi non emerge dal sommerso è costretto a svendere il prodotto e l’imprenditore ha difficoltà a piazzarlo per la notevole concorrenza che si dispiega. Per ricorrere a un paradosso, delle volte credo che faccia più paura la concorrenza in casa che quella proveniente della Cina perché quest’ultima possiamo contrastarla sul piano della qualità e sul piano del Miele Italiano.
 
Cosa pensi del nomadismo?
Credo che sia un’attività che merita rispetto. Sono i primi a fare impresa. Ciò non toglie che vada risistemata e vincolata a degli impegni anche di tipo morale e professionale molto più seri. Non basta lasciare 20 - 30 - 40 alveari in un posto e poi andarsene via. Oltre alla produzione di miele bisogna guardare anche i problemi dell’ecosistema, delle malattie che colpiscono l’alveare. Nella mia provincia a volte facciamo fatica perché ci confrontiamo con alveari abbandonati. Un buon nomadista dovrebbe essere molto più imprenditore, e ragionare meglio sulle varie destinazioni da raggiungere e sulle produzioni di miele. Oggi come oggi non so se mantenere camion e camioncini e alveari sparsi in tutta Italia sia un’attività redditizia. Sul tema sono disposto a confrontarmi con quanti dalle pagine di Apitalia sono disposti a fare conoscere le loro opinioni dalle pagine di Apitalia. Probabilmente si dovrebbe fare un passo indietro e gestirsi un patrimonio apistico che si riesca a seguire tranquillamente e serenamente, con il minor sforzo e la migliore resa.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
La cosa che mi da più soddisfazione e mi riempie di gioia e come le api affascinano i bambini. Quando vado nelle scuole o faccio con loro dei percorsi legati al mondo delle api nelle fattorie didattiche rimango entusiasta da come sono attratti dal mondo Ape.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
Sicuramente uno stile di vita. Quando si è presi da dubbi o crisi esistenziali in merito ai meccanismi che regolano la vita, tutto scompare se ci mette a osservare la società delle api e la loro organizzazione. Non a caso il diritto romano prende ispirazione dalla vita sociale delle api. Questo vuol dire che qualcuno prima di noi le ha osservate e ha preso ispirazione da loro.
 
Aspettative future della sua attività?
Le aspettative spero siano buone, sono confortato dal fatto che qui da noi sta nascendo un gruppo di giovani apicoltori che vedono nell’apicoltura un’opportunità lavorativa. Il fatto che in molti vadano a rioccupare gli spazi dei loro nonni nelle montagne e nelle colline e che cerchino un sostentamento con l’apicoltura mi fa ben sperare. Nella mia zona, tempo fa, si sono trasferiti tre ragazzi, tre famiglie di giovani, che arrivavano da Milano. Si sono spostati perché hanno voluto cambiare vita. Sono andati in montagna, hanno iniziato un’attività apistica e hanno fatto dei bambini e dopo dodici anni hanno anche la parrocchia dove di recente è stato battezzato il primo bambino. Questo è un messaggio bellissimo, cioé quello di rioccupare spazi ormai abbandonati e privi di strutture. Ad esempio, non c’era la scuola ed ora invece c’è e conta tre figli di apicoltori. Si tratta di segnali che ci dicono che l’ape ancora una volta ha fatto il suo lavoro, in tutti i sensi.
 
 
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