Speciale Apicoltori - n. 602, luglio-agosto 2010
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Marco Caione
L'ape per modello
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Marco
 cognome  Caione
 età  35
 regione  Puglia
 provincia  LE
 comune  Magliano
 nome azienda  Azienda Apistica "Il Girasole"
inizio attività  1997
arnie  300
 apicoltura  Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Millefiori
Eucalipto
 miele prodotto  70 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Ben prima dell’avvento della varroa, l’apicoltura era una tradizione di famiglia: sia mio nonno che mio padre allevavano le api da tempo, seppure con metodi tradizionali. Come? Vi chiederete voi. Presto detto, nelle arnie in pietra dette “ucche”. Quando fece la sua comparsa la varroa tutte le api furono distrutte e da allora la tradizione registrò un brusco arresto. Dunque, provengo da una famiglia apistica, anche se c’è da precisare che per quanto mi riguarda ho iniziato per caso, trovando uno sciame appeso ad un ulivo. Volevo prenderlo e allora chiesi l’aiuto ad un amico apicoltore del mio paese (Luigi, con il quale adesso collaboro) che mi aiutò ad inarniarlo. Proprio da quello sciame ha preso il via la mia avventura.
 
Per quali motivi ha scelto questa strada?
Provengo da una famiglia di agricoltori, sono perito agrario e la campagna mi ha sempre attratto, soprattutto lo stare all’aria aperta. Quindi, la mia attività, come logica, sarebbe dovuta essere quella dell’agricoltore specializzato, ma il destino ha voluto diversamente. Infatti, ricordo ancora quella domenica di maggio quando mi trovai di fronte quello sciame, ne fui come stregato. La passione per l’ape cresceva sempre di più e insieme alla passione cresceva anche l’azienda. L’apicoltura, alla fine, si è trasformata in un’attività a tempo pieno. C’è da precisare che sono stato aiutato nella scelta anche dalla crisi che attraversava e attraversa l’agricoltura.
 
Che cosa vuol dire avere una passione per l’Ape?
Vuol dire non prendersi mai le ferie, trascurare la famiglia e fare sempre tardi la sera. Tutto ciò non solo per motivi economici. E sì, perché lavorando a stretto contatto con le api e osservando la loro vita non si può fare a meno di dimenticare tutto il resto. Credo che se prendessimo esempio dall’ape la società umana sarebbe assai migliore.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
Soprattutto la carenza di fioriture estive: non a caso si fanno solo due raccolti a stagione. Abbiamo molte fioriture in inverno, ci consentono di far sviluppare presto le famiglie, però da maggio in poi non abbiamo più fioriture che permettano di avere raccolti successivi, tranne l’eucalipto in giugno. Le famiglie riprendono l’attività in autunno, se arrivano le piogge in settembre. Insomma, per lavorare con le api (miele, sciami) abbiamo a disposizione solo due mesi: aprile e maggio. E c’è dell’altro. Il Salento, la zona in cui svolgo la mia attività, ha rese produttive che sono tra le più basse d’Italia: ci attestiamo, mediamente, sui 35 kg annui.
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Per fortuna problemi di commercializzazione non ne abbiamo. Si riesce a vendere tutto, anzi il problema, come ho già illustrato, è produrre il miele. Una particolarità. ll miele, nel Salento, si vende, soprattutto, durante il periodo natalizio quando in ogni famiglia si fa un dolce tradizionale col miele (“purciddhruzzi”). Andando alle cifre, se ne consuma dai 5 ai 7 kg per famiglia. Negli ultimi anni, il consumo di miele salentino è cresciuto vertiginosamente, grazie al lavoro dell’Associazione Apicoltori salentini che ha saputo promuovere un miele unico nel suo sapore, creando anche un marchio (Miele del Salento), a garanzia della territorialità del miele. Ciò ha fatto sì che gli apicoltori adottassero dei sistemi di produzione atti a garantire una elevata qualità del prodotto. Come che sia, ciò che difetta in Italia è la mancanza di Campagne informative che illustrino ai consumatori le potenzialità nutrizionali del miele. Il dolce nettare delle api è un vero e proprio alimento che non dovrebbe mai mancare dalla tavola. Condivido, in tutto e per tutto, la Campagna promozionale di Apitalia per spingere il consumatore ad avere in dispensa non meno di 5 varietà di miele. Il miele va bene ad ogni età della vita.
 
Pratica il nomadismo?
No, ho tutte postazioni fisse. Gli apicoltori salentini sono per vocazione stanziali, a scoraggiarci a praticare il nomadismo è la distanza che si deve percorrere per arrivare sulle fioriture. Ciò non toglie che in futuro sia possibile anche superare questo ostacolo.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Sicuramente. Quando si spostano gli alveari per fare nomadismo si deve essere sicuri del tipo di fioriture presenti nella zona in cui ci si trasferisce e dunque dei tempi di fioritura delle piante. Eppoi, conoscere le fioriture vuol dire anche conoscere il territorio in cui si lavora: così si sa se nutrire o no, se anticipare la posa dei melari o meno.
 
Che tipo di apicoltura pratica?
Pratico l’apicoltura convenzionale, anche se c’è da dire che conduco gli alveari come se fossi un biologico convinto.
 
Che cosa direbbe agli apicoltori che usano antibiotici?
Gli antibiotici non vanno utilizzati. Se ne può fare a meno. Eppoi, il ricorso agli antibiotici riesce solo a mascherare il problema della peste americana, amplificandolo la pattogia appena menzionata quando non si usano più. Infine, come sottacere che con gli antibiotici si macchia la buona immagine del miele? L’unico sistema per risolvere il problema è quello di bruciare tutto e di risanare le arnie. Certo non c’è bisogno che sia io a dire ciò tutti sappiamo come intervenire, occorre essere, semplicemente, convinti di lavorare in apiario senza antibiotici.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
No, nessuna. Trovo sufficiente attuare le buone pratiche apistiche, nel rispetto delle api e della natura. Gli apicoltori sanno bene di che cosa parlo.
 
Come lotta contro la varroa?
Alcune, inevitabili, valutazioni. Oggi il problema della varroa è rilevante. In questi ultimi anni, poi, le perdite di api per varroa, soprattutto in inverno, sono salite vertiginosamente: le morie hanno interessato sia chi usa il chimico sia chi si indirizza sul biologico. Una cosa è certa: occorre stare sempre in allerta perché la varroa non perdona! La lotta alla varroa non si può più intendere come una volta: tampone estivo, pulizia radicale in inverno. Ai giorni nostri, per trattare la varroa si ha bisogno di piani di trattamento per tutta la durata della stagione apistica, cercando di non far prevalere la varroa e di non arrecare danni alle api, debilitandole troppo. I piani di trattamento dovrebbero essere eseguiti dalle associazioni territoriali, come facciamo noi con la nostra Associazione. E veniamo al mio modo di combattere la varroa: parto, in inverno, con il blocco di covata artificiale, usando le gabbiette cinesi (questo perché da noi non c’è blocco naturale); dopo 21 giorni attuo un trattamento con ossalico gocciolato. In aprile, in concomitanza della sostituzione delle regine, effettuo un secondo blocco di covata; quindi trattamento con ossalico (sta per cominciare la sperimentazione di un formulato). In luglio, applico ai nuclei spugnette di timolo: 5 trattamenti ogni 4 giorni, subito dopo ossalico gocciolato. Alle arnie acido formico. In settembre, se ce n’è bisogno, si ripete il formico. Altrimenti, niente fino a novembre quando si farà il blocco di covata. Tutto ciò comporta una mole di lavoro enorme, però garantisce una buona pulizia degli alveari e la raccolta di un prodotto sano e pulito.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Innanzitutto, la mancanza di fondi. Un apicoltore per mandare avanti la propria attività o fare investimenti deve riuscirci esclusivamente con le proprie forze. Poi, l’assenza di dialogo tra le diverse Associazioni nazionali. Si fa un gran parlare di giovani in apicoltura, eppure non si vedono interventi sostanziali per far partire un progetto giovani che rappresenterebbe un grande incremento per l’apicoltura.
 
Cosa rappresentano per lei le api?
Passione, modello di vita, ambiente sano senza veleni, lavoro in mezzo alla natura.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Il secondo anno di attività pensai di allevarmi le api regine, però avevo paura di non riuscire a fare i traslarvi. Come uscirne? Decisi di acquistare un cupolarve. Lo misi in funzione e vidi che funzionava perfettamente: la regina iniziò a deporre, da lì iniziai l’allevamento. L’anno successivo avevo bisogno di alcune regine e rimisi in funzione il cupolarve, ma la regina non ne voleva sapere di deporre dentro i cupolini. Passati alcuni giorni con esito negativo, mi feci coraggio e decisi di translarvare con il picking; passate 24 ore vidi l’accettazione e rimasi sbalordito: le avevano accettate tutte! Da allora il cupolarve non lo ho più usato.
 
Aspettative future della sua attività?
Tre desideri. Spero tanto che le api smettano di morire, che raccolgano molto più miele e che lo Stato ci aiuti ad andare avanti. Non mi sembra proprio di avere delle aspettative esagerate.
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Marco Caione
Marchio di qualità "Miele del Salento"
Arnie tradizionali in pietra, dette "ucche".
 
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