Speciale Apicoltori - n. 553, febbraio 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Walter Pace
Fare Apicoltura rispettando la natura
di Massimo Ilari & Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Walter
 cognome  Pace
 età  48
 regione  Abruzzo
 provincia  AQ
 comune  Pratola Peligna
 nome azienda  Apicoltura Colle Salera
inizio attività  1979
arnie  450
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Agrumi
Acacia
Castagno
Girasole
Lupinella
Millefiori
Eucalipto
Timo
Edera
 miele prodotto  140 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Nel 1979 lessi su una rivista, credo fosse Capital, un servizio sull’apicoltura. Fui affascinato da quanto avevo letto e nella mia testa cominciarono a frullare mille domande sul mondo delle api alle quali volevo assolutamente fornire una risposta. Un imperativo dominava, cominciare a fare qualcosa di pratico per sedare questa tempesta interiore. Così decisi di andare in cerca di uno sciame naturale, cosa molto facile all’epoca. Avendo a disposizione delle tavole costruii la mia prima arnia. Era la cosa più azzeccata che potessi attuare, visto che iniziai sempre di più ad incuriosirmi e per dare le giuste risposte alla mia curiosità decisi di frequentare diversi corsi di apicoltura. L’obiettivo? Imparare tecniche e metodi per governare le api. Nel 1983 partecipai al mio primo corso per assaggiatori di miele, settore nel quale poi mi sono abilitato. Diventare assaggiatore, nel corso degli anni, si è rivelato fondamentale per la mia pratica apistica: per il grande aiuto che mi ha dato la conoscenza sensoriale di questo prodotto per riuscire a commercializzarlo nel migliore dei modi. Oggi mi sto occupando anche di allevamento di api regine frequentando corsi di formazione in Italia e soprattutto all’estero, in Francia e in Polonia, dove ho trovato una realtà veramente inaspettata. Loro seguono molto attentamente la fecondazione artificiale delle api regine e ci sono delle aziende di prima qualità con macchinari e metodi nuovissimi ed efficienti. Confrontandomi con queste diverse realtà ho avuto modo di attuare tecniche che hanno fatto crescere e potenziare la mia azienda.
 
Quindi gli scambi con la realtà estere sono produttivi?
Certo che sì. Si ha modo di confrontarsi. Una delle cose che mi ha più colpito è che, fuori dall’Italia, hanno fatto e stanno facendo delle selezioni di razze di api, dei ceppi non inclini alla sciamatura e soprattutto non aggressivi e quindi più calmi. Anche io nella mia azienda dal 2001 faccio selezione di api regine calme.
 
Cosa altro l’ha spinta verso l’apicoltura?
Chi pratica il mestiere di Apicoltore, quando apre una cassa di api vede e avverte immediatamente se sono aggressive e non è certo un caso che quelle aggressive attaccano. Che fare? Attuare le tecniche che ti permettano progressivamente di allevare famiglie geneticamente meno nervose. Io elimino la regina e ne introduco un’altra giovane, allevata da me. Può anche darsi che la nuova regina sia aggressiva e allora la elimino di nuovo. In prativa vado avanti finché ne trovo una che fornisce api mansuete. Una precisazione. Tutte le regine che introduco nell’alveare sono prese da madri calme, ma può succedere che non facendo fecondazione artificiale la regina non abbia lo stesso comportamento della madre.
 
Per quali motivi ha iniziato?
E’ la passione che ho per questo mondo. Le api mi affascinano. Tutto è iniziato, come ho già ricordato, dalla lettura di un semplice articolo e dalla mia curiosità. Nessuno mi ha spinto o instradato verso ciò che sono oggi: è stato un percorso cresciuto spontaneamente dentro di me. Per molti anni sono stato un hobbista, cercando di affinare sempre nuove tecniche per meglio operare in un settore dove non si finisce mai di imparare.
 
Pratica il nomadismo?
Sicuramente con un’ottima organizzazione aziendale: camion, muletto, pallettizzazione che richiede molto meno manodopera. Il nomadismo, non ho dubbi, fa bene all’Apicoltura. Quando si produce si produce tutti. E’ superficiale affermare che se in una zona ci sono troppe api si produce di meno. Racconto un episodio. Un anno, era il 2002, portai le api in provincia di Latina per produrre Eucalipto. Già si vedeva che era un’annata negativa: fiori a macchia di leopardo e la cosa non era di buon auspicio per un buon raccolto. Durante la notte, appena arrivato, scaricai gli alveari provvisti, tutti, di una targhettina con le generalità e i dovuti riferimenti, come prevede la legge regionale del Lazio, in una postazione precedentemente individuata. Il giorno dopo mi chiama un altro apicoltore che aveva letto il mio numero di telefono sulla targhetta sulle arnie, lamentandosi che avevo posto le arnie a circa 100 metri dal suo apiario. Spiegai di essere in buona fede e che durante la notte non ero riuscito a vederlo. In ogni caso, venni a scoprire che il proprietario del terreno aveva dato il benestare a me, mentre l’affittuario del terreno aveva dato il benestare all’altro apicoltore. Per correttezza ricaricai le api di notte e le riposizionai in un’altra zona. Anche lì è capitata una cosa che ha dell’incredibile. E vengo ai fatti. A distanza di oltre un chilometro, in linea d’area, abitava una signora che fece un putiferio perché non voleva che io tenessi le api in quel posto senza alcun valido motivo. Intervenne la polizia provinciale, la dottoressa Zottola, responsabile del servizio veterinario di Latina, il vice presidente degli apicoltori del Lazio, l’assessore all’agricoltura della provincia di Latina e i Carabinieri e tutti quanti dicevano: “tu sei in regola e non devi portare vai le api”. La signora, minacciando, assicurò che se non portavo via le api me le avrebbe bruciate. Per non correre rischi, nonostante le rassicurazioni delle autorità, ricaricai le arnie e le riportai, in accordo con l’altro apicoltore, sulla postazione iniziale. Voi non ci crederete, quell’anno, in quella zona, feci una produzione incredibile: in tutto l’Agro Pontino si è prodotto solo in quei pochi chilometri. Produssi dai 4 ai 5 melari di miele: ecco perché assicuro che se c’è raccolto ce n’è per tutti.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Pratico da 6 anni apicoltura biologica, sono certificato ICEA organismo di controllo di AIAB. Questa è stata un’opportunità che rafforza le mie scelte di fondo in campo apistico: venendo dall’hobbismo, e quindi producendo miele soltanto per la mia famiglia, sono sempre stato attento a certe scelte e ho sempre lavorato in un certo modo. Posso anche dire di aver sempre fatto apicoltura biologica e per vedere riconosciuta la mia voglia di qualità ho voluto farmi certificare e controllare.
 
Come lotta contro la varroa?
Praticando apicoltura biologica, ricorro solo ai prodotti che il disciplinare prevede. Dunque, l’acido ossalico e il timolo che impiego di meno perché ritengo che dopo molti anni di utilizzo dia assuefazione. La mia preoccupazione più grande è l’arrivo in Italia di Aethina tumida, penso che quando arriverà non potrò andare avanti con il biologico o meglio sarà molto difficile riuscire a fare Apicoltura.
 
Degli antibiotici cosa pensa?
Io non ho mai adoperato antibiotici. Poi, facendo apicoltura biologica con un organismo di controllo molto severo come l’ICEA, con controlli molto frequenti, tra l’altro fatti da un’apicoltore, anche volendo credo sia difficile usare antibiotici. Combatto la peste sostituendo la cera. Tanto per fare un esempio quest’anno ho sostituito 1800 telaini con 1800 fogli cerei. Cerco a tutti i costi di sostituire il maggior numero di telaini per non avere depositi di batteri nei favi vecchi. Un buon consiglio che mi sento di dare a tutti gli apicoltori è di cambiare i favi molto spesso: un favo non può stare all’interno dell’alveare per più di tre anni, questo è sicuro. Nel favo vecchio si annidano batteri di covata calcificata, ci può stare la peste, il nosema e chi più né a ne metta. In ogni caso, sono decisamente contrario agli antibiotici, non solo in Apicoltura.
 
Ci sono problemi nella commercializzazione?
Non ho problemi di commercializzazione perché io punto tutto sulla filiera corta, ho un rapporto diretto con il consumatore. Così riesco a gestire meglio il mio mercato e il lavoro produttivo. Si tratta di una vera e propria ottimizzazione. Una prova? Sapendo quanto miele di castagno o di girasole devo fare nell’annata produttiva, sposto le arnie secondo la produzione che dovrò ottenere rispetto alla richiesta calcolata molto precisamente l’anno precedente. In pratica, porto le mie arnie a fabbisogno e le altre le tengo ferme per produrre sciami e per produrre mieli particolari in quantità limitata. La ragione? Non è conveniente, con il biologico, fare lavoro in più per vendere, poi, il miele sottocosto.
 
Che problemi incontra nella sua regione nella produzione del miele?
Ho la fortuna di avere l’azienda in Abruzzo, definito il polmone verde d’Europa. Si tratta di una zona circondata da parchi. Il mio centro aziendale fa parte del Parco nazionale della Maiella ma sono circondato da altri parchi nazionali come il Parco nazionale dell’Abruzzo, il Parco nazionale dei monti della Laga. A primavera le arnie posizionate nella zona producono un miele di ottima qualità e di quantità limitata perché sfrutto delle fioriture particolari come Marruca, Edera, Santoreggia, Timo Serpillo. Le arnie che posiziono fuori cerco di portarle in zone molto nettarifere. Il problema che incontro, oltre la varroa, è sicuramente l’orso, molto presente in queste montagne. L’orso è molto goloso di miele, occorre stare molto attenti e nelle zone più a rischio mettere una recinzione protettiva, con la corrente elettrica a bassa intensità, come deterrente, originata da una batteria.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
In primis la scarsa conoscenza del giusto uso di prodotti per la cura delle api. E’ vero che ci sono l’acido lattico, l’acido ossalico, il timolo, in passato si usava l’acido formico, ma quando andiamo all’atto pratico su come dovremmo curare le api ci trasformiamo tutti in farmacisti, veterinari, piccoli chimici. Il guaio è che siamo tutti autodidatti, ognuno di noi prepara la propria cura come meglio crede e non esiste una linea vera per curare le api. Nessuno ci aiuta. Questo fa sì che si crea sempre resistenza al principio attivo perché chi lo usa in un modo e chi in un altro. Siamo di fronte a una anarchia totale che determina solo danni sia al consumatore che all’Apicoltore che per primo entra in contatto e respira tutte queste sostanze, visto che non si è mai abbastanza pratici nel loro impiego.
 
I veterinari cosa fanno?
In provincia di L’Aquila dove io opero sono molto attenti ed effettuano, almeno una volta l’anno, il controllo a tutti, prelevando campioni di miele. Fanno il controllo dell’HACCP, del laboratorio e della sua pulizia, dei residui nel miele, verificano la presenza di antibiotici, di residui di piombo, ecc. Tutto ciò è estremamente importante e ci aiuta a crescere e a lavorare nel modo giusto.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Sicuramente lo spirito associativo, perché la realtà abruzzese presenta molte associazioni che creano un forte spirito di aggregazione e di confronto tra gli Apicoltori. Quando ci si riunisce si parla dei farmaci, delle tecniche, delle esperienze. Insomma, si crea così un gruppo di lavoro stimolante per la crescita dell’Apicoltura.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
La pallettizzazione. Sin dal 1992 ho pallettizzato tutto. Per centrare l’obiettivo mi sono munito di muletti per la movimentazione delle arnie, per la movimentazione dei pallet. Nella mia azienda tutto si muove su ruote o su pedane. Grazie a questi mezzi un operatore è assai facilitato nel lavoro e riesce a fare molte operazioni anche da solo.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Tornando indietro nel tempo, erano un paio di anni che portavo le api in una postazione nel Parco nazionale della Maiella e a fine giugno le riprendevo. Un anno, però, non ricordo il perché queste arnie sono rimaste più del previsto nel Parco della Maiella, a 1500 metri di altitudine, e quando siamo andati a vedere come stavano appena arrivati all’apiario abbiamo avvertito subito un forte odore, quasi sgradevole. Siamo scesi dal camion, pensavamo fosse un’animale morto o chi sa cosa, poi ho avuto il presentimento che fossero le arnie e avvicinandomi sentivo l’odore forte e intenso che veniva dal loro interno. Parlando, in seguito, con alcuni esperti in analisi sensoriale del miele per cercare di capire quale miele avesse un odore così intenso, con un sapore così forte, mi dissero che probabilmente si trattava del Timo Serpillo. Allora, per verificare l’affermazione, feci eseguire l’analisi melissopalinologica e nel miele c’era effettivamente una presenza molto elevata di Timo Serpillo. Così da quell’anno ho cominciato a produrre questa qualità di miele.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
Le api mi hanno dato l’opportunità di praticare un lavoro non secondario, a stretto contatto con la natura con i suoi colori e i suoi profumi. E’ cresciuto tutto dal nulla e via via mi ha appassionato sempre di più. Spero di trasmettere a uno dei miei tre figli la passione che ho per questa attività: il mondo dell’Ape ha bisogno di continuità. Del resto, anche se i miei tre figli sono tutti studenti nel tempo libero collaborano al mio lavoro e sono molto d’aiuto.
 
 
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