Speciale Apicoltori - n. 555, aprile 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Bruno Marcon
Fare Apicoltura tra passione e impresa
di Massimo Ilari & Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Bruno
 cognome  Marcon
 età  61
 regione  Veneto
 provincia  TV
 comune  Treviso
 nome azienda  Apicoltura Marcon
inizio attività  1972
arnie  530
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Carnica
 tipo di miele  Acacia
Castagno
Tiglio
Millefiori
Eucalipto
Girasole
Tarassaco
 miele prodotto  0 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Innanzitutto, è bene precisare che provengo da una famiglia contadina che da sempre ha tratto il suo sostentamento dal duro lavoro della terra. Però, come tutti gli altri abitanti della zona il reddito dei campi era integrato da altri lavori ai quali ci si dedicava secondo le stagioni. Il motivo? “Arricchire” i magri bilanci familiari. Del resto la passione per la terra fa parte del mio DNA e me l'ha trasmessa mio nonno al quale attribuisco il merito di avermi trasferito anche un’altra passione: quella per le api. Vi racconto un fatto. Tutte le domeniche, di ritorno dalla messa, o dai Vespri pomeridiani, con il nonno ci fermavamo, spesso, a osservare il lavoro delle api. E sì perché qualcuno dalle mie parti aveva degli alveari che conduceva con amore. Non per ricavarne guadagno ma per consuetudine o piacere. Certo non è da nascondere che in ogni modo qualche vantaggio i contadini-apicoltori dalla conduzione degli alveari lo avevano: il miele. Ma attenzione non si può assolutamente fare riferimento ad una attività economica. Come che sia le api erano entrate a fare parte del paesaggio pedemontano e ci fu un momento che finirono per arrivare anche a casa nostra.
 
Eppoi come sono andate le cose?
Come tutti gli altri bambini vado a scuola, conseguo la licenza elementare e mi iscrivo all'Avviamento professionale che oggi non c'è più. Per farla breve la scuola media dell'oggi. Un paio di anni mi sono più che sufficienti per capire che il mio futuro non è proprio legato allo studio e ai banchi di scuola. Non a caso sento che preferirei costruirli. Galeotto fu il banco, visto che dalla scuola approdo in un laboratorio di falegnameria. Per aprire una lente sul periodo, siamo intorno agli anni ‘50 quando non era difficile andare a “bottega” per imparare un mestiere ma un vero rebus era trovare un lavoro. Risultato? Comincio a cambiare molti posti di lavoro, sempre in aziende che lavorano il legno, anche se cresce dentro di me la passione per le macchine e la meccanica e non si sopisce mai quella per le api che, nel frattempo, mi facevano sempre compagnia. Infatti, nella casa di Volpago erano cresciute di numero e il nonno mi lasciò in eredità ben dodici arnie. Piano piano non sono più un semplice osservatore delle api e il rapporto con loro cresce di qualità.
 
Quando è scattata la scintilla?
La svolta si verifica, più o meno, intorno al ‘72 e in modo casuale. Vengo contattato dall’Associazione Apicoltori di Treviso che mi chiede, nella mia qualità di artigiano, di costruire per loro degli alveari. Perché proprio io? Perché io coniugavo due forti passioni, e lo sapevano tutti: quella professionale per la falegnameria, le costruzioni, le macchine e quella legata al piacere di stare con le api.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Accettando la proposta dell’Associazione di Treviso, una proposta che mi ha cambiato la vita. Da quel momento ho compreso che il mio mondo sarebbe stato legato indissolubilmente alle api. La prova? In pochi anni i terreni di Volpago si animano di ben 700 alveari. Comincia il lavoro duro ma pieno di piacere e soddisfazioni. Le api sono totalizzanti e non ammettono una cura limitata. Io lo capisco ben presto visto che non posso più tenere conto del tempo e degli orari, tanto il lavoro con loro mi coinvolge. In quel periodo mi sorgono però diverse domande. Al di là della fatica e dell’impegno, questa passione per l’Apicoltura sarà in grado di assicurarmi un futuro? E ancora. Da dove arriveranno le entrate? Dalla vendita del miele e degli altri prodotti dell’alveare? Mi rispondo che non è abbastanza. E allora matura in me la scelta di costruire una impresa che valorizzi e utilizzi tutto il mondo delle api. In tutti i loro aspetti: dal loro collocamento, dalla valorizzazione della produzione di miele per arrivare alla costruzione dei materiali. In questa fase risultano molto utili i miei rudimenti di falegname. Attrezzo un laboratorio che in tempi rapidissimi diventa il più specializzato della zona nella costruzione di arnie: sono in grado di fornire agli altri apicoltori tutti i materiali e i supporti apistici necessari, secondo le esigenze. Intanto, non smetto certo di fare l’apicoltore. Un’arte che come ho già detto ho appreso sin da piccolo grazie al nonno e che con il tempo ho affinato frequentando e seguendo i consigli degli altri apicoltori della zona. Curo gli alveari in prima persona e divento sempre più bravo, scusate l’autocompiacimento. Mi appassiono talmente che in poco tempo delle api apprendo caratteristiche, abitudini, pregi e difetti.
 
E come si passa dall'apicoltura pura e semplice all'impresa?
Semplicemente mettendo insieme l’attività di costruzione e quella apistica. Grazie a ciò siamo diventati in poco tempo una impresa che varca addirittura i confini regionali. Tra l’altro ora portiamo anche un buon numero di alveari in Toscana, vicino al mare. E c’è voluta tanta fatica. Di solito, partivamo la sera, viaggiavamo per tutta la notte e all’alba iniziavamo il lavoro. Una mano a diventare impresa ce l’ha data anche l’evoluzione culturale del grande pubblico nei confronti dei prodotti naturali come appunto quelli derivati dal lavoro delle api.
 
Può farci l'identikit dei vostri interlocutori?
Il nostro pubblico si divide sostanzialmente in due categorie. Innanzitutto quelli che allevano le api e che dunque si rivolgono a noi per quanto riguarda i materiali, cioè le attrezzature. Poi, il consumatore che comincia sempre più a conoscere e ad apprezzare il miele e i suoi fratelli. Per far crescere la sensibilità del consumatore abbiamo portato avanti un duro lavoro, iniziando ad andare nelle scuole per far conoscere le api e il loro mondo “segreto” ai bambini. Non potete immaginare che successo e di quanto i più piccini siano affascinati dal lavoro di sua maestà l’ape. Così facciamo apprezzare il miele e formiamo i consumatori di domani. Un lavoro che paga in termini di consensi, non c’è che dire. E ve ne fornisco subito la prova. Nella nostra apicoltura arrivano tante persone, all’inizio solo spinte dalla curiosità ma poi restano affascinante dalle api e da quanto siamo riusciti a costruire, tanto che non vorrebbero più andare via. Allora per fornire una risposta adeguata e al passo con i tempi abbiamo messo in piedi un punto vendita che gestisce mia figlia, mente un altro mio figlio si occupa della falegnameria che è specializzata, come abbiamo visto, nella realizzazione di alveari e altre strumentazioni annesse. Infine, un plauso particolare va a mia moglie Costantina che è una vera colonna dell’impresa e porta avanti anche le pubbliche relazioni accogliendo i visitatori e le scolaresche. La mia famiglia è indispensabile per l’attività intrapresa: di me dicono che sparisco troppo spesso e mi rendo irreperibile dileguandomi tra gli alveari e per seguire la pratica del nomadismo.
 
Pratica il nomadismo?
L’Azienda utilizza 10 container che contengono 40 alveari ciascuno e che sono caricati meccanicamente e senza fatica su un camion appositamente adattato: sono sufficienti cinque minuti per caricare o scaricare la struttura che ospita i 40 alveari. Ho progettato io stesso sia il container che gli adattamenti alla motrice. Inizio l’attività di nomadista trasferendo alcuni container in zone più alte del Montello, dove produco l’acacia e sui colli della fascia pedemontana della provincia di Treviso, per il castagno. Nello stesso periodo altri alveari li trasferisco nella pianura trevigiana dove raccolgo il tiglio e in Polesine per l’erba medica, il girasole, la melata che ormai è pressoché scomparsa dalla pianura trevigiana e dal Montello. Occorre valutare attentamente il trasferimento degli alveari che deve essere effettuato al momento opportuno e cioè qualche giorno prima della fioritura che dovrà interessare le api. Per non disturbare gli Apicoltori stanziali del posto o gli altri nomadisti non mettiamo mai più di un container per postazione e comunque a non meno di un Km da altre postazioni fisse. Solo eccezionalmente, in alcuni casi, può capitare di avere postazioni con più di un container vicine ad altri nomadisti, quando le fioriture lo permettono: cioè quando le fioriture hanno caratteristiche tali da garantire un buon raccolto per tutti.
 
Come avviene la commercializzazione?
Quasi tutta la produzione è venduta direttamente in Azienda, nel nostro negozio. Il rimanente 20% circa è ceduto ad altri negozi della zona. Nel punto vendita dell’Azienda avviene anche la vendita dei prodotti della cosmetica naturale a base di prodotti dell’alveare.
 
Come lotta contro la varroa?
Negli ultimi due anni ho usato una confezione di Apiguard per alveare a metà agosto e tre somministrazioni di acido ossalico gocciolato: a settembre, ottobre e, in novembre, a fine covata. Collaboro con la Federazione Apicoltori Italiani nella sperimentazione dello spaziomussi® con un container di 40 alveari. Premesso che siamo ancora in fase di studio e opero con api di razza “carnica”, ho constatato maggiore produttività in queste famiglie. Probabilmente perché si crea una situazione dell’alveare che di certo rispetta l’ape e la fa vivere meglio e con risultati economici (di produzione) di almeno il 10% maggiori agli altri alveari.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
C’è scarsa collaborazione fra gli Apicoltori. Sembra quasi che ognuno sia geloso delle proprie esperienze, abbia preziosi segreti che non deve regalare agli altri! Io parlo tranquillamente con tutti e da tutti raccolgo informazioni anche a costo di apparire, a volte, ingenuo. Un vecchio andante recita che l’unione fa la forza e io ritengo che sia profondamente vero. Non ha senso chiudersi a riccio ed essere “gelosi” della propria attività. Dobbiamo prendere esempio dalle api che producono il miele e gli altri prodotti vivendo in comunità e dando vita ad una società incentrata sulla collaborazione. Dobbiamo imparare da nostra Maestra ape.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
L’Associazione cui appartengo, che dà prova di grande professionalità e sensibilità verso il settore. Spero, ma non ho dubbi su ciò, che continui sempre ad operare come sta facendo ora, tenendo informati e uniti gli Apicoltori, organizzando attività di aggiornamento e formazione: iniziative che coinvolgono tutti: Apicoltori con pochi alveari e Apicoltori professionisti. Un plauso va sempre all’Associazione per i momenti di aggregazione, anche conviviali, che sa mettere in piedi. Momenti che a volte accompagnano manifestazioni importanti, che raccolgono allegramente gli Apicoltori a scambiarsi opinioni e “ricette risolutive” attorno ad un tavolo e un buon bicchiere di vino!
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
L’idea del container, da me ideata e realizzata, unisce alla facilità di carico e scarico la possibilità di lavorare in qualsiasi situazione meteorologica, anche con la pioggia. C’è poi da tenere presente che le api, lavorando all’interno, non disturbano il lavoro dell’Apicoltore e sono molto più mansuete forse perché abituate ai rumori che si producono frequentemente nel container: quando c’è un po’ di vento, ad esempio, tutta la struttura vibra in maniera evidente; probabilmente, quindi, i movimenti e i rumori provocati dall’Apicoltore non sono quasi avvertiti dalle api che continuano senza problemi nelle loro occupazioni. Oggi, ad esempio, con temperatura di 10 °C e discreto vento, ho aperto circa 60 alveari senza ricevere alcuna puntura (ovviamente io lavoro senza maschera).
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
L’Apicoltura è un’attività che può rappresentare una accettabile fonte di reddito, che impegna molto e che presuppone un continuo aggiornamento: queste cose insieme aiutano a vivere serenamente e a mantenersi svegli. Il lavoro con le api, comunque, è la conseguenza di quella “malattia” che mi ha preso da bambino, trasmessa dal nonno e che mi ha fatto incuriosire, con i suoi 10 alveari e i 4 bugni rustici che teneva per avere, ogni anno, alcuni sciami. Ricordo, a proposito delle api del nonno, che c’era una famiglia particolarmente aggressiva, cattiva: produceva, però, molto più miele delle altre!
 
Aspettative future della sua attività?
Credo che il sogno si stia realizzando: mio figlio Luca, 25 anni, collabora già attivamente alla gestione dell’Azienda, lavora con me e come me non ha paura delle api, osserva attentamente i loro comportamenti, valuta le situazioni ed agisce con sufficiente autonomia e professionalità. Mia figlia Katia, 30 anni, gestisce il negozio.
 
E che ci dice della “Casa delle Api”? Che significato dà a questa iniziativa?
La “Casa delle Api” è il sogno di mia moglie Costantina, finalmente realizzato. La nostra idea è stata quella di realizzare una struttura didattica dove anche i bambini possono vivere, con gioia e in un ambiente vivo e colorato, l’esperienza di qualche ora con un Apicoltore e le sue api. Non quindi un museo grigio e troppo severo, non solo una forma di pubblicità al miele, bensì l’esposizione del lavoro delle api e dell’Apicoltore, della loro importanza per l’ambiente.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Sarebbero molte le situazioni da raccontare e che mi piace ricordare con un sorriso. Ma una in particolare la voglio condividere con i lettori di Apitalia. Quando eravamo ancora fidanzati, Costantina abitava proprio vicinissima ad un bel bosco di acacia, sul Montello. Le mie prime esperienze di nomadismo le ho vissute trasportando da casa mia a quella di Costantina alcuni alveari, uno per volta. Con la mia moto Gilera “Giubileo” rossa: io guidavo sulla stradina in salita e in terra battuta verso il bosco e Costantina, seduta di traverso sul sellino posteriore, tratteneva l’alveare approssimativamente legato al suo corpo.
 
 
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