Speciale Apicoltori - n. 579, giugno 2008
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Pietro Miola
Il signore delle api
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Pietro
 cognome  Miola
 età  72
 regione  Veneto
 provincia  VI
 comune  Vicenza
 nome azienda  Apicoltura Martina di Miola Pietro
inizio attività  1968
arnie  180
 apicoltura  Nomade
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Acacia
Castagno
Tarassaco
Tiglio
Melata di abete
Erba medica
Millefiori
 miele prodotto  75 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Ma, diciamo che una mattina di 40 anni fa mi sono svegliato apicoltore, con disperazione di mia moglie. Rivedendomi bambino, come in un film, con mio nonno materno che mi mostrava, a pochi centimetri e senza nessuna protezione per entrambi, l’andirivieni delle api e poi scoperchiando la “casetta” i favi pieni di miele e di api laboriose. Mia moglie non è d’accordo: «ma come, un’antennista-radiotecnico affermato e oberato di lavoro come te si mette a fare l’apicoltore?» E io non sono certo arretrato: «ma non ti ricordi mio nonno, quanti alveari aveva e con quanta cura e passione le accudiva le sue api?» E lei. «Si, ma nel Medioevo! E poi, dove vorresti portarle?» «A casa dei tuoi» dico io. Ma sarà il posto giusto?» ribatte lei.
 
Come lotta contro la varroa?
Che si è rivelata la scelta giusta: era il miglior posto su cui poter posizionare gli alveari, non a caso è un’area che si trova all’interno dei Colli Euganei, un gruppo di colline di origine vulcanica che sorge, come un arcipelago, dalla pianura padano-veneta pochi chilometri a sud-ovest di Padova. Fu così che iniziai questa meravigliosa avventura.
 
Furono esordi difficili?
Quando si inizia a percorrere una nuova strada è chiaro che si presenti qualche difficoltà. Per un anno cercai inutilmente chi mi potesse vendere un paio di alveari, a quell’epoca, però, erano tempi duri: le poche associazioni esistenti non erano reclamizzate, l’editoria apistica era scarsa e le conoscenze altrettanto. Ma io non indietreggia di un passo, testardo e determinato per natura come sono. Incominciai a cercare libri, riviste e quant’altro mi potesse aiutare. Fu così che dopo un anno di sofferenze i miei sforzi furono premiati. Incominciai con due alveari, un trionfo. 3 melari sull’acacia e ben 4 sul castagno, anche se metà del castagno era melata, che io ancora non conoscevo. Con questo risultato, vinta l’iniziale diffidenza di mia moglie, l’anno dopo partii con 8 alveari, sempre dividendomi fra apicoltura da una parte e antenne e TV dall’altra. Era tanta la passione che aumentavo il mio patrimonio apistico di anno in anno, rispondendo di pari passo alle richieste, sempre in aumento, di persone che volevano il mio miele. Ma la vera svolta è degli anni ‘80. In quel periodo mi abbono a tutte le riviste del settore, scopro, attraverso le biblioteche e le varie associazioni che man mano sono sorte, libri, riviste nuove e vecchie (l’Apicoltore italiano, l’Alveare, poi l’Apicoltore moderno, le Nostre api e via via Apitalia, la Cit­tà delle api, ecc), scovando riviste fin dal 1897, tanto per capirci.
 
Insomma, ormai era un vero apicoltore
Sì e no, sentivo che avevo ancora tanto da imparare. Così prendo il coraggio a due mani e mi metto a partecipare a corsi, convegni, mostre che si tengono in Italia. Prendo parte, a Trento, era la primavera del 1981, ad uno stage di due giorni dove conosco il dottor Gian Pier Bonimond, il professor Ives Donadieu, Abramo Andreatta (il MAESTRO). Con Donadieu riesco ad avere un’intervista di ben 18 minuti, dopo aver acquistato da lui la bellezza di 860.000 lire di libri, una grossa cifra per l’epoca! Nell’ottobre ‘81, a Lazise sul Garda, per 3 giorni, ritrovo Donadieu, Bonimond, ma conosco il professor Luciano Pecchiai, Martelli, Astorre Girotti. Nell’ottobre ‘82 per 3 giorni a Torino (Teatro Regio) e lì conosco: Vidano, Marletto, Frilli, Proserpio e tanti altri. Da allora, tutti i Convegni e gli Stages che contano sono miei! Da Bologna a Milano, Gorizia, Udine, Como, ecc. Dal 1983 al 1986 frequento dei Corsi di perfezionamento al CEFA di Minerbio (BO) dove conosco De Benedetti, Lucilla Pieralli, Lucia Piana e altri nomi famosi del mondo apistico, ritrovo l’indimenticabile Astorre Girotti che ospitandomi a casa sua mi fa partecipe delle sue esperienze e di qualche piccolo segreto, soprattutto per quanto riguarda l’allevamento di regine e la produzione di pappa reale. Nel frattempo l’associazione provinciale apicoltori di Vicenza, della quale facevo parte, organizza la 1a Giornata Del Miele alla quale partecipo un po’ timidamente. L’anno dopo assumo le redini di questa manifestazione e la faccio diventare una vetrina apistica molto importante; il mercatino con le bancherelle del miele mi andava un po’ stretto e così, ho incominciato ad accompagnarlo con un convegno e qui sono passati, anche per più volte, il professor Pecchiai, il professor Pavesi, il dottor Margheri, il dottor Cervesato, il dottor Quercia ed il professor Celli e qualche altro ancora! Ma non solo attività convegnistica; durante la manifestazione inserisco la mostra delle attrezzature moderne e antiche e, per finire, al tramonto la smelatura in piazza. La manifestazione ha sempre registrato una grossa partecipazione e allora la “esporto” anche a Recoaro Terme, Gallio, sull’altipiano di Asiago, Bassano del Grappa e Marostica, nella piazza dove si svolge, ogni anno, la nota partita a scacchi.
 
Risultato?
Penso di aver appreso molto di apicoltura anche se c’è da dire che le mie vere maestre sono state e sono le api. Come che sia con il crescere del mio impegno apistico, all’inizio del 3° millennio abbandono definitivamente le antenne TV e mi butto a capofitto nell’apicoltura a 360 gradi più uno! L’affermazione non sembri iperbolica, visto che dentro di me cresce ogni giorno la passione per l’ape e il suo mondo.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
Semplice, amare tutto di una “creatura” grazie alla quale è possibile la vita sulla Terra e che ogni giorno permette che sulle nostre tavole arrivi frutta e verdura in quantità. Poi le api ci danno tanti insegnamenti: convivialità, unione, amore per l’ambienti principi che dovrebbero essere le nostre parole d’ordine. Così non mi stanco di divulgare il loro mondo, non a caso da oltre 30 anni tengo lezioni di apicoltura nelle scuole, dalle materne alle superiori; serate culturali e divulgative dove oltre alla vita delle api si parla anche dei prodotti dell’alveare, supportando la didattica con filmati e diapositive, tutti rigorosamente “made in Apicoltura Martina”.
 
Lei fa nomadismo?
Al cento per cento. A Vicenza non si fa miele, i miei apiari sono tutti a 50/70 Km da casa; all’inizio di stagione (aprile) con le famiglie più precoci sul tarassaco, sui prati irrigui del nostro territorio, dove l’allevamento bovino (mucche da latte) è ancora fiorente e dove sui campi, in inverno, spargono solo il buon letame, tanto per capirci. Subito dopo sui Colli Euganei per il millefiori/ciliegio, poi l’acacia e il castagno. Contemporaneamente al castagno fiorisce il tiglio e subito dopo sul Delta del Po per l’erba medica; per il rimanente 60% si va in montagna per la melata e la flora alpina, millefiori di montagna.
 
E' molto impegnativo?
E’ chiaro, ma sono dotato di un fuoristrada con rimorchio, ideale per muoversi anche in terreni sconnessi, sul quale carico 15 alveari con melario o 30 senza melario per il primo spostamento o per il recupero dopo l’ultimo raccolto. In casi eccezionali, ricorro ai miei 3 figli maschi: all’occorrenza basta un fischio e il gioco è fatto, soprattuto per gli spostamenti in montagna. E c’è dell’altro. Approfittando di parenti e amicizie, via via acquisite, ho la fortuna di usufruire di numerose postazioni, 12 in totale, di cui 10 pianeggianti, anche in montagna. In pratica arrivo a destinazione con il mio mezzo, non mi serve la gru. Se arrivo da dietro, scarico le casse direttamente dal rimorchio ai supporti, anche con melario; se lo spazio sul retro manca, arrivo sul davanti e con carriole opportunamente modificate - stessa altezza del piano di carico e dei supporti - con 3/5 metri al massimo gli alveari sono piazzati. Inoltre, dispongo di un apiario appoggio collocato in un’oasi di verde a 15 Km da casa che io chiamo didattico-sperimentale. Qui pareggio le famiglie prima degli spostamenti e ad agosto tratto, divido e preparo per l’invernamento su cassette in polistirolo da 6. Qui produco la pappa reale, allevo regine e, quando è possibile, porto le scolaresche dopo le lezioni in classe, per la visita sul campo.
 
Con quanti alveari va in produzione?
180 per il miele, tutti nomadi. 24 per la produzione di pappa reale, stanziali; lavoro in orizzontale, con casse da 12, anche se da poco ho incominciato in verticale con cassettine da 6 in polistirolo. Staremo a vedere.
 
E con 180 alveari riesce a produrre tanto miele?
Ho già premesso che sono un attento osservatore del mondo delle api. Sulle pagine di Apitalia avrete certo letto del collega Francesco Campese che lavora con alveari a 2 regine. Bene, io c’ero arrivato da solo. Ma c’è di più, da qualche anno inverno le famiglie su 6 telaini, su cassette di polistirolo, quelle con nutrito­re anteriore incorporato. Orbene, queste passano l’inverno consumando poche scorte; ai primi “caldi” si possono già nutrire con sciroppo liquido (al 20% di umidità), già sul tarassaco accosto le due famiglie, escludi regina e sul melario da 12 (anche da 10, con le opportune modifiche) e le api salgono su sul 1°, 2° e 3° melario che è una meraviglia. Sui Colli Euganei l’acacia, nelle stagioni “normali” fiorisce ai primi di maggio; dopo 10/12 giorni il 50% delle famiglie, le più laboriose, sfruttando la fioritura a scalare, sono trasferite sulla fioritura di acacia della fascia pedemontana. Dunque, doppio raccolto in una sola stagione, quando va bene. Ma attenzione alle sciamature. O si levano le celle, magari col relativo telaino per fare nuovi nuclei, o si ingabbia la regina per 10 gg.; dopo questo periodo si travasano sulle Dadant-Blatt da 10 per lo sviluppo della famiglia e si portano in montagna. Ah, dimenticavo una cosa molto importante. Mia moglie, nel frattempo, è diventata più brava di me, soprattutto per la pappa reale. In più, mi aiuta in laboratorio per il confezionamento e l’etichettatura. E non finisce qui. E’ sempre lei che mi sprona a portare avanti nuove sperimentazioni come serate enogastronomiche con abbinamento di miele e formaggi, ricette di cucina a base di miele, gelato al miele, liquori al miele e altro ancora. Senza di lei non sarei quello che sono e non sarei arrivato a tanto. Poi, incredibile a dirsi, mi ha insegnato a non usare la maschera. Chi l’avrebbe mai detto! A rappresentare questa unione abbiamo chiamato l’attività Apicoltura Martina, il nome di mia moglie, e non Piero Miola. E’ il minimo che potessi fare.
 
Che tipo di apicoltura pratica?
Mi vanto di fare l’apicoltura tradizionale, come mio nonno. Non ho niente contro il biologico, sia chiaro, ma non ci vedo chiaro con tutta quella “burocrazia” per la certificazione. Soprattutto non capisco perché un’azienda del Veneto o del Trentino abbia un Ente di certificazione nel Lazio o in Sicilia. Io ai miei clienti esibisco le analisi del mio miele, e questo mi basta. E’ il miele che do ai miei nipotini.
 
Come lotta contro la varroa?
Premesso che se le api si ammalano è sempre colpa dell’apicoltore, io che non le ho seguite a dovere o il mio vicino che le ha trascurate; accade così che con il saccheggio si portano a casa ogni sorta di patologie. La varroa non è una malattia! Questo lo sappiamo tutti. Per la varroa ricorro all’acido ossalico sublimato, facendo anche dei test con Apiguard® e Apilife Var®. Per il resto ho un farmaco infallibile: il fuoco. Al di là delle possibili patologie, quando una famiglia zoppica, stenta a partire, non va a melario, si fanno due conti: i denti cariati, come le mele marce, vanno eliminati, altrimenti succede che per salvare una famiglia che non rende, nella stagione sucessiva se ne perdono 3 e forse più.
 
Sisente di dare qualche consiglio ai suoi colleghi?
Volentieri. In primis non tenere più famiglie di quelle che si possono seguire. Poi, non produrre più miele di quello che si riesce a vendere, entro certi limiti. La ragione? In stagioni di vacche grasse si è costretti a svendere quel che si è prodotto con tanto amore e sacrificio; e quando arrivano le vacche magre, che si fa? Ancora, produrre Miele, Polline, Propoli, Pappa reale, pensando che lo mangi TU, che lo dai ai tuoi figli o ai tuoi nipotini di pochi mesi. Cosa voglio dire? Che così operando non si vedrebbero più apiari posti ai bordi dell’autostrada, o in posti ancora peggiori. Infine, tenere sempre alta la qualità del nostro miele perché quello della grande distribuzione costerà… anche poco, ma i1 nostro VALE! Tutto qua!
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Come dicevo, apisticamente sono cresciuto man mano, seguendo le richieste dei miei clienti, che ringrazio anche da queste pagine. Come azienda agricola vendiamo a casa, il cosiddetto mercato corto; da settembre, oltre alle feste del miele, partecipiamo a fiere specifiche e manifestazioni agricole. Tra i nostri clienti-rivenditori annoveriamo una trentina di negozi (in maggioranza panifici, due erboristerie e una importante farmacia) ma il grosso del miele di acacia va a finire in bottiglia. Sì, proprio così. E ve ne illustro la ragione. Da oltre 20 anni una famosa distilleria della zona, approvvigionandosi da noi, produce una grappa al miele dal sapore unico, una miscela di miele e di oli essenziali di erbe alpine, sapientemente dosati, che sta facendo letteralmente il giro del mondo. E di ciò sono molto orgoglioso. Insomma, non ho problemi per la vendita. Piuttosto, il vero problema è di produrlo il miele, con certe “fioriture” arriviamo a malapena a Natale. Poi, suggeriamo di acquistare… quello che c’è rimasto, anche se a volte il gusto la fa da padrone.
 
Cosa rappresenta per lei l'apicoltura?
Da numerosi anni ormai fa parte della mia vita, le giornate passate in mezzo ai boschi, coi profumi che a volte inebriano, mi ripagano alla grande dei molti sacrifici e mi ritengo fortunato di come mio nonno ha saputo trasferirmi tutto il suo sapere e la sua passione, anche se allora non me ne rendevo conto. Qualcuno ha detto che a scuola dell’APE si diventa uomini: credo sia una grande verità, purtroppo ignorata dai più.
 
Si riconosce qualche pregio o difetto?
I pregi, se ci sono, li vedono gli altri. Fra le cose che hanno detto su di me c’è quella di essere un vulcano in eruzione… in continua evoluzione (è stato detto in un contesto internazionale al “Tecno Bar&Food”, alla Fiera di Padova, in un laboratorio del gusto, dove si faceva l’abbinamento miele e formaggi da parte del mio partner, un celebre affinatore di formaggi). Difetti? Uno su tutti, non riesco a stare zitto: all’interno delle associazioni, ai convegni tra i colleghi, coi politici; non sopporto le mezze misure, non sarò mai un diplomatico.
 
Un messaggo da lanciare agli apicoltori?
L’apicoltura deve essere abbracciata anche dai giovani. Dunque, largo ai giovani. Agli apicoltori più anziani dico che l’apicoltura fa bene certamente e mantiene giovani di corpo e di spirito. Parola di Piero Miola = Apicoltura Martina.
 
 
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Pietro Miola
 
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