Speciale Apicoltori - n. 573, dicembre 2007
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Fabio Alberto Montagliani
Un alveare nella testa
di Massimo Ilari Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Fabio Alberto
 cognome  Montagliani
 età  41
 regione  Abruzzo
 provincia  AQ
 comune  Marsica
 nome azienda  Apicoltura Montagliani
inizio attività  1983
arnie  500
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Acacia
Millefiori
Tiglio
Castagno
Girasole
 miele prodotto  160 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha intrapreso l’attività di Apicoltrice?
E’ un’attività di famiglia. Ha iniziato mio nonno e poi ha proseguito mio padre, anche se c’è da dire che in quella fase tutto è stato condotto a livello amatoriale. Chi si appassionò veramente all’apicoltura fu mio fratello, che seguì i passi di mio padre. Inizialmente lo deridevo, facendo battutacce sull’ape regina. Poi, con il passare del tempo ho intrapreso anche io questa strada. Un episodio. Mentre cercavo di imparare, presi la prima puntura in testa: cominciai a sentirmi poco bene e fui costretto a tornare a casa. Mio fratello capì subito che rischiava uno shock anafilattico e allora chiamò mio cugino, fa il medico, che con una semplice puntura di antistaminico risolse il problema. Presi quel segnale come un invito a lasciar perdere. In molti, però, mi dicevano che era una decisione improntata soltanto alla paura. In effetti, sentivo dentro qualcosa che mi portava sempre verso il mondo delle api: la notte continuavo a leggere tutte le riviste di settore: l’Ape nostra amica, La città delle api, l’Apicoltore moderno, Apitalia (Lapis in quel periodo non c’era). Insomma, nonostante la puntura restavo veramente appassionato, anche se mi guardavo bene di andare dalle api. Poi un giorno mio padre vendette degli sciami a Mario Di Matteo, un apicoltore, che l’anno successivo tornò e chiese a mio padre altre api visto che gli erano morte. Mio padre accettò di buon grado, a condizione che lasciasse gli alveari nel nostro terreno. Ve ne chiederete la ragione. E’ semplicemente che aveva paura che le facesse morire di nuovo. A partire da questo episodio abbiamo allevato api per più di venti anni. Sor Mario, come lo chiamo io, era iscritto all’associazione “Amici delle api” di Roma dove aveva frequentato molti corsi per apicoltori e teoricamente era bravissimo ma non aveva molta pratica. In ogni caso, fu lui che mi convinse a tornare dalle api, dicendomi che le mie resistenze erano dettate dalla paura: grazie alla sua insistenza tornai dalle api.
 
Sembra di leggere un po’ di discontinuità.
Parlerei, più esattamente, di storia travagliata, della famiglia, con le api. Mio padre aveva sì le api, ma per motivi economici fu costretto, come molti in Abruzzo, ad emigrare prima in Venezuela e poi in Francia. Al ritorno in Italia, nel 1961, non trovò più le api. Di certo gliele avevano rubate. Non si scoraggiò: rimise in piedi l’apiario e con mio fratello Giulio, che aveva imparato molto sulle api dal Professor Antonio Taglieri, un insegnante di Avezzano di latino e greco, che allevava api. Mio fratello seguiva molto il professor Taglieri, e un anno in cui il professore si trovò a ricoprire l’incarico di Presidente della Commissione degli esami di Stato chiese a Giulio la cortesia di mettergli gli sciami nelle casse vuote, offrendogli la possibilità di tenere per sé quelli avanzati. Mio fratello lo prese in parola, però subito dopo fu costretto a partire per il militare. Finito il servizio di leva scelse un posto in fabbrica, che considerava più sicuro e remunerativo, e lasciò l’attività apistica che io intrapresi in sua vece.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Ho sempre avuto la passione per gli animali. Se non avessi fatto l’apicoltore avrei scelto il mestiere di allevatore di cavalli. Anche per i cavalli ho una passione autentica, Per quanto riguarda le api, è stato più facile fare l’apicoltore visto che mio padre aveva già intrapreso l’attività. In più sapeva fare il falegname, e così avevo il vantaggio di avere a disposizione il reparto falegnameria.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
La lettura è semplice: tutti gli anni non vedo l’ora di aprire le casse, non ne posso fare a meno. E’ splendido osservare le api perché ci insegnano tante cose: ci dicono che tutti insieme riusciamo ed è possibile fare grandi cose, ci comunicano l’ordine. Con ciò non voglio dire che dovremmo comportarci come insetti, ma delle volte non è sbagliato apprendere i loro comportamenti che il più delle volte sono buoni. Faccio questo mestiere con passione e rispetto, anche se a volte guardando le api cerco di immedesimarmi nei loro pensieri e mi capita di sentire che “loro” potrebbero pensare che gli stiamo rubando il lavoro.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
L’area in cui opero non presenta grosse difficoltà. I problemi vengono proprio dall’allevamento delle api e dalle emergenze sanitarie. Oggi le famiglie non sono più come una volta: prima erano più forti, più vigorose. La prova? Una volta che andai a prendere le api sul castagno, con mio fratello, di solito ci andiamo di mattina, ma nel bosco con l’umidità e l’acqua decidemmo di andarci la sera, impiegammo molto tempo e molta pazienza per farle rientrare nell’alveare. Non volevano rientrare, non a caso finimmo a notte fonda di caricare tutte le api sul camion. Oggi sono assai più mansuete. Prima le api producevano di più, non c’erano trattamenti da fare, era meno complicato praticare l’apicoltura. Ricordo un episodio. Un giorno venne un ragazzo in falegnameria e mi chiese cosa era esattamente questa varroa, all’epoca ancora non si producevano le arnie con il fondo anti varroa, si utilizzava un foglio di giornale e la vasellina. Allora andammo a vedere uno di questi fogli e vedemmo che la varroa nonostante fosse caduta era ancora viva e si muoveva. Capimmo che quel mezzo di “distruzione”non era sufficiente perché la varroa era tutt’altro che morta. Da quel momento cominciammo a capire che l’apicoltura sarebbe cambiata e che le api si sarebbero indebolite. Ma alla varroa, purtroppo, si sono aggiunte le altre patologie, l’agricoltura intensiva, i neonicotinoidi e tanto altro. Povera ape e poveri noi.
 
Come fare fronte alla peste americana e a quella europea?
Siamo sempre stati molto scrupolosi. Ogni volta che troviamo qualche famiglia malata, puliamo tutti i materiali utilizzando dei guanti. Poi, si aspetta la sera che la famiglia rientri e con un po’ di benzina bruciamo tutto. La percentuale di moria per peste quest’anno non è stata molto alta: abbiamo perso solo 6 famiglie. In ogni caso, il segreto è di visitare sempre le famiglie. Che senso ha portare avanti una famiglia malata, conviene sempre bruciarle. Come mi dice sempre Walter Pace, apicoltore abruzzese, le api sono come le pecore: bisogna andare tutti i giorni a visitarle. Così io ci vado tutti i giorni, ogni mattina faccio il mio giro e le visito a rotazione, e portando con me gli attrezzi. Quel che è certo che spunta, quotidianamente, sempre qualche problema e c’è sempre da lavorare e fare assistenza alle api.
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Mi ritengo fortunato perché la produzione che faccio riesco a piazzarla tutta. Non posso sicuramente aumentare il numero di alveari altrimenti non ce la farei come tempo: per stare bene sul mercato una parte del tempo lo dedico alle api e una parte lo dedico, personalmente, alla vendita. Non mi piace molto fare né fiere né mercati, però quando ho tempo non li disdegno. Ho una buona vendita anche al negozio che ho qui in casa, mentre il resto lo conferisco tutto ad un buon prezzo ai diversi punti vendita.
 
Lei fa nomadismo?
Sì soprattutto per castagno, santoreggia e sideritis. Sono organizzato con un fuoristrada e un carrello e con tutti e due riesco a portare circa 30 arnie per volta.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Penso che nell’arco degli anni ogni apicoltore riesce a conoscere il territorio della zona in cui opera, e quindi è in grado di avere ben chiaro il calendario delle fioriture. Conoscere le fioriture è sufficiente, non occorre che sia un esperto.
 
Che tipo di apicoltura pratica?
Quella convenzionale, anche se non sono contrario al biologico. Uno dei principali ostacoli sulla via del biologico sta nei costi della certificazione: facendo due calcoli occorre sborsare una cifra consistente. Comunque, se si pratica il convenzionale secondo le regole non ci sono sostanziali differenze di qualità con il bio.
 
Cosa significa apicoltura convenzionale?
E’ quella che ti permette di usare prodotti chimici autorizzati, anche se io so che pure i biologici, con le dovute modalità, li usano. Vi dirò di più, a tanti apicoltori biologici fornisco la cera d’opercolo per la campionatura delle analisi. Quindi vanno a prendere la cera di un convenzionale per fare le analisi della cera di un biologico. Non vi sembra una contraddizione? Ma attenzione, dentro di me penso che il biologico è lo sbocco commerciale del futuro: finanziamenti, ma non sta solo qui il discorso, possibilità di essere riconosciuti maggiormente dal consumatore, accesso ai marchi di qualità, quelli dei parchi ad esempio, senza tante complicazioni.
 
Cosa pensa dalla legge 313?
Avrei qualcosa da dire in merito. La legge ha equiparato gli apicoltori professionisti agli hobbisti, e questo è giusto perché entrambi salvaguardano l’ape. Tutto cambia se si cominciano a prendere in esame le fasi in cui si effettua la vendita o le fasi in cui si accede a qualche finanziamento: l’hobbista e il professionista non possono essere messi sullo stesso piano e ve ne spiego subito la ragione. Perché lo Stato condanna chi svolge il doppio lavoro abusivamente, mentre concede un incentivo a una persona che già ha un altro lavoro e addirittura gli consente di guadagnare oltre al suo stipendio. Magari si potrebbe consentire all’hobbista di fare l’apicoltore a livello amatoriale, per autoconsumo, mettendoli in regola presso le ASL. E’ assolutamente errato creare una concorrenza sleale nei confronti di chi come me ci vive. Sto parlando non perché ho qualcosa contro qualcuno che io neanche conosco, parlo proprio perché questo è un problema che sento e che influisce sul mio mercato.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
Tirarsi dietro un alveare malato non vale la pena, non si può più giocare con queste cose. Farmaci riconosciuti non ce ne sono. Poi bisognerebbe entrare nel merito se è giusto o meno l’antibiotico o se bisognerebbe alzare i limiti. A ciò non ci voglio pensare, perché se vedo mia figlia che ha due anni e so che potrebbe mangiare un miele con antibiotici, anche se autorizzato, vi dico che decisamente non sono d’accordo. Sicuramente è la ricerca che deve darsi da fare per risolverci il problema, altrimenti sarà molto dura.
 
Utilizza particolari tecniche che migliorano il suo lavoro in apiario?
Ho una motocarriola idraulica che mi permette di alzare circa due quintali e con delle pedane riesco a facilitare molto il procedimento per collocare le arnie dentro il carrello.
 
Come lotta contro la varroa?
Ho provato a lavorare anche con il telaino trappola, per intenderci il «metodo Campero». Però è un metodo molto “lavorato” e l’ho sperimentato grazie ad un amico di Sulmona, Ferdinando Fantini, che è un esperto del Campero. Direi che non è difficile attuarlo ma c’è troppo lavoro, lo ripeto, e poi bisogna vedere di stagione in stagione come si è messi con i tempi lavorativi. Utilizziamo l’acido ossalico a primavera con il vaporizzatore, anche se c’è da dire che vanno molto bene le vaschette di Apiguard e l’ApiLifeVar. Al momento le famiglie sono bellissime, e quindi inverneremo delle famiglie buone. L’apicoltura oggi cambia, e cambiano anche le tecniche.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Il rapporto con gli apicoltori. Non ci sono motivi per chiudersi o per essere gelosi fra apicoltori. Una mano andrebbe data agli Istituti di ricerca che potrebbero, con una buona ricerca, aiutarci nel nostro lavoro.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Le api.
 
Cosa rappresentano per lei le api?
Oggi rappresentano tutto. A parte la passione sono una fonte di lavoro: senza le api io dovrei cercarmi un altro lavoro. Meglio avere rimorsi che rimpianti, sono contento di non avere rimorsi per il fatto di averlo intrapreso questo lavoro. Magari non ho scelto quello di allevatore di cavalli o quello dell’allevatore di pecore, ma sono contento, se li avessi intrapresi magari oggi avrei sofferto. Con le api grazie a dio ci tiro fuori un buon reddito.
 
Da solo riesce a fare tutto in azienda?
No, sarebbe impossibile. Ho la fortuna di avere mio padre che si occupa della parte della falegnameria ed è anche un falegname esperto. Ho una falegnameria tutta attrezzata. Quando vado alle api o a distribuire il miele nei punti vendita ci sono mia moglie o mia madre che mi coprono la vendita al negozio. Un grande aiuto me lo dà anche la mia nipotina, alla quale piacciono tanto le api. Le visite in apiario quelle invernali le eseguo tutto da solo, mentre per le visite di primavera, c’è bisogno di più lavoro, mi dà una mano mio fratello e un mio amico. Così ho tempo da dedicare alla commercializzazione. Non ho sicuramente la possibilità di aumentare la produzione perché dovrei assumere degli operai e i costi aumenterebbero: questa è un’arma a doppio taglio visto che o si aumenta di molto, per recuperare sui costi, o si rimane nella mia media riuscendo comunque ad avere un ottimo guadagno.
 
Aspettative future della sua attività?
Per quanto riguarda le api spero di andare avanti così. A livello di vendita l’auspicio è che il miele mantenga questi prezzi che non ci sia il ritorno della Cina in modo forte. La speranza è che con questo lavoro si continui a vivere dignitosamente, sicuramente puntando sulla qualità.
 
 
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Fabio Alberto Montigliani
 
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