Speciale Apicoltori - n. 567, maggio 2007
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Sebastiano Repici
Le Api? Un colpo di fulmine
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Sebastiano
 cognome  Repici
 età  52
 regione  Sicilia
 provincia  ME
 comune  Saponara
 nome azienda  Apicoltura Repici
inizio attività  1980
arnie  300
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Agrumi
Millefiori
Castagno
Eucalipto
 miele prodotto  80 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Fin da ragazzo nutrivo dentro di me un grande amore verso quello che era “natura” e soprattutto animali. Dapprima allevavo uccelli da mostra, poi conigli ed infine quello che per me era un mondo sconosciuto ed ostile, cioè le api. Il tutto avvenne nel 1980, anno in cui nacque la mia prima figlia; il pediatra mi consigliò di darle del miele, quello veramente buono, all’ora era in auge il vergine integrale, prodotto principalmente dall’ape senza manomissione umana. Per puro caso era il mese di aprile ed in un cespuglio, occasionalmente, mi imbattei in uno sciame d’api. Non conoscendo nulla sull’apicoltura mi feci consigliare da mio padre e cercai di farmi spiegare quello che lui sapeva sull’argomento, in pratica il motivo per il quale stavano aggrappate al cespuglio e come si poteva prelevarle. Fu un’impresa alquanto ardua, le punture non si contavano più, ma alla fine missione compiuta. Da allora per me, grazie anche alla partecipazione di mia moglie, le api sono diventate una droga vera e propria, sono la mia ragione di vita e sono diventato apidipendente.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Dopo alcuni anni che avevo terminato gli studi ebbi la fortuna di essere assunto presso una azienda di Stato a Messina, e nel contempo dentro di me aumentava sempre di più la passione per le api. Non ho mai pensato alla eventualità di un avanzamento di carriera, in quanto ciò richiedeva il trasferimento in altra regione ed il conseguente abbandono del mondo delle api. Già da allora nei turni di riposo il mio tempo era dedicato a questo fantastico mondo. Per me ai primi tepori di febbraio stare davanti agli alveari era emozionante, ascoltare i loro ronzii, cercare di spiegare dentro di me quello che stava succedendo all’interno dell’arnia. Non essendo figlio d’arte (apisticamente parlando) non badavo a spese per poter conoscere ed entrare nel mondo delle api con riviste, telefonate, convegni, viaggi: il tutto allo scopo di coniugare la teoria con la pratica. Ancora oggi, posso giurare che di quesiti, nella mia mente, ne nascono sempre di nuovi e che il mondo dell’apicoltura è una scoperta continua. L’uomo ha sempre da imparare e soprattutto da prendere esempio da questo meraviglioso e laborioso insetto.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
La maggiore difficoltà che si incontra nella mia zona è la stragrande maggioranza di persone che naviga nella totale ignoranza in merito a quello che sono i vantaggi derivanti dall’attività di questo meraviglioso insetto ed, in particolare, dall’impollinazione. Altra grossa difficoltà è la mancanza di collaborazione sia delle istituzioni che degli stessi apicoltori, poiché ognuno segue dei percorsi a modo proprio. Altro problema di grande rilevanza è che trovandomi in un’isola le mie postazioni per lo più si trovano alle pendici dei Monti Peloritani, quindi la movimentazione e gli spostamenti delle arnie sono alquanto complicate per le strade impervie e i dirupi. Gli stessi devono, infatti, essere effettuati con fuoristrada a trazione integrale. Allo stesso tempo, grazie a questa meravigliosa isola, si vengono a creare diverse fioriture in periodi differenti, in totale assenza di agricoltura intensiva e di conseguenza senza alcuna minaccia di avvelenamento per le api a causa di prodotti chimici usati in agricoltura. Nella mia zona, sino a circa venti anni fa, gli agrumeti per gli agricoltori erano fonte di reddito mentre oggi un kg di arance ha un valore commerciale di circa 10 centesimi che non ripaga certo l’utilizzo di prodotti chimici! Si sta anzi procedendo ad abbandonare tutto, levare le piantagioni per creare aree da pic-nic. Che sia meglio cosi? Dunque, ci vuole una grossa pazienza per andare oltre l’ostacolo. E senza passione non si riesce a centrare l’obiettivo.
 
Ci sono problemi nella commercializzazione?
La maggiore difficoltà che si incontra nella mia zona è la stragrande maggioranza di persone che naviga nella totale ignoranza in merito a quello che sono i vantaggi derivanti dall’attività di questo meraviglioso insetto ed, in particolare, dall’impollinazione. Altra grossa difficoltà è la mancanza di collaborazione sia delle istituzioni che degli stessi apicoltori, poiché ognuno segue dei percorsi a modo proprio. Altro problema di grande rilevanza è che trovandomi in un’isola le mie postazioni per lo più si trovano alle pendici dei Monti Peloritani, quindi la movimentazione e gli spostamenti delle arnie sono alquanto complicate per le strade impervie e i dirupi. Gli stessi devono, infatti, essere effettuati con fuoristrada a trazione integrale. Allo stesso tempo, grazie a questa meravigliosa isola, si vengono a creare diverse fioriture in periodi differenti, in totale assenza di agricoltura intensiva e di conseguenza senza alcuna minaccia di avvelenamento per le api a causa di prodotti chimici usati in agricoltura. Nella mia zona, sino a circa venti anni fa, gli agrumeti per gli agricoltori erano fonte di reddito mentre oggi un kg di arance ha un valore commerciale di circa 10 centesimi che non ripaga certo l’utilizzo di prodotti chimici! Si sta anzi procedendo ad abbandonare tutto, levare le piantagioni per creare aree da pic-nic. Che sia meglio cosi? Dunque, ci vuole una grossa pazienza per andare oltre l’ostacolo. E senza passione non si riesce a centrare l’obiettivo.
 
Pratica il nomadismo?
Pratico il nomadismo solo per poter produrre miele di castagno e di eucalipto, mentre la maggior parte degli apiari sono posizionati in zone vocate a più fioriture.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Se questa domanda mi fosse stata posta 10/15 anni fa avrei detto certamente di si, ma oggi ho i miei dubbi in quanto le stagioni non sono più quelle di una volta. In febbraio abbiamo avuto una primavera anticipata, a marzo sembrava fossimo tornati a gennaio, siamo ai primi di aprile (al momento dell’intervista, ndr) e in Sicilia ci sono 10 gradi a mezzogiorno. Quindi le varianti sono tante. Come che sia è indispensabile avere cognizioni sul tema. Lo scorso anno il fiore di agrumi (zagara) era carente di nettare e molti dei miei conterranei etnei hanno dovuto (per sopravvivere) spostare le arnie in Calabria, dove la fioritura è posticipata di circa 10/15 giorni.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Pratico apicoltura convenzionale per convinzione e sono più che certo di non convertirmi al biologico, in quanto il gioco non vale la candela ed il miele, se prodotto con metodi naturali, è già di per sé un prodotto sano. Il miele deve essere degno di questo nome, privo di qualunque sostanza estranea, chimica o quanto altro e, scusandomi per la mia presunzione, posso dire che le api dei convenzionali e dei biologici non sono chiuse in una gabbia o in una stalla come i polli o le mucche, che si nutrono di quello che noi gli somministriamo, ma vanno a bottinare sia le une che le altre nel medesimo modo. La differenza sta nella serietà dell’apicoltore.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
Per mia convinzione sono contrario all’uso di antibiotici, in quanto sicuramente lasciano, anche in minima parte, residui su tutti i prodotti dell’alveare. Così si va a compromettere l’immagine dell’intero comparto apistico. Sono convinto che, per contenere le pesti, l’unica medicina sia il fuoco, cioè la distruzione della famiglia malata. Sul mio mezzo ho sempre a portata di mano una bottiglietta di alcol, e nel caso mi sorga qualche dubbio su qualche famiglia, non esito a sopprimerla. Noi apicoltori non sempre possiamo permetterci l’acquisto di kit diagnostici o quanto altro necessario per la effettiva diagnosi, visto che da diversi anni gli introiti sono carenti, o, per meglio dire, “da fame”; pertanto può capitare di sopprimere delle famiglie non malate. Guardando l’altra faccia della medaglia non si possono condannare quegli apicoltori che, vivendo solo di tale reddito, non possono, come me, permettersi di distruggere un grosso numero di arnie e sono, pertanto, costretti ad utilizzare dei “prodotti” pur di salvare le famiglie, non essendovi, come in altri comparti dell’allevamento, delle soluzioni alternative.
 
Come lotta contro la varroa?
La varroa nel nostro Sud è stata, dagli anni ‘80 sino ad oggi, un grossissimo problema, visto che il totale blocco della covata da noi è un’utopia. Utilizzo metodi naturali alternati: dal timolo all’acido ossalico.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Nel mondo apistico non funziona, a parer mio, chi ci ha rappresentato e ci rappresenta ai vertici, a cominciare dalle istituzioni che, ritenendo l’apicoltura un’attività marginale dell’agricoltura, hanno dato sempre rilevanza alla quantità volumetrica o al peso dell’animale, stesso discorso per i nostri rappresentanti di categoria. Le poltrone sono state sempre ben imbottite e non sono mancati i viaggi organizzati ma gli apicoltori sono stati criminalizzati e non aiutati a portare avanti una politica unitaria. Agli stessi è stato sempre detto il non fare ma ciò che bisogna fare a chi spetta dirlo? Gli apiari continuano a scomparire e di conseguenza gli apicoltori vengono abbandonati alla loro “scienza”, un passamano di ricette con polveri magiche, cartoncini o simili. Alla fine posso dire che pur seguendo scrupolosamente i criteri di una vera apicoltura, seria e degna di questo nome, il prezzo lo continuano a fare i grossi invasettatori, che con le moderne regole del marketing esercitano l’azione delle sanguisughe e riconducono il comparto apistico ad un gradino appena superiore a quello dell’elemosina. Insomma è ora di smettere!!!
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
L’unica cosa vera che funziona nel mondo apistico è l’ape che dovrebbe essere presa ad esempio dalla nostra società.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
Per me le api sono tutto, i sacrifici li considero come una missione e quando vengono fatti con soddisfazione la fatica diventa un hobby.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Era il 1° maggio 1984, giorno della morte del campione automobilistico Senna. Io e la mia famiglia ci trovavamo a trascorrere la giornata in campagna quando, al termine del pranzo, nel cortile della mia casa rurale, un’ape del mio apiario punse sul labbro il mio secondogenito. Il bambino mi diceva di avere un forte bruciore e al momento pensavo si trattasse di un semplice incidente; invece la cosa diventò veramente seria, in quanto il bambino cominciò a gonfiarsi e ad avere puntini rossi in tutto il corpo. Decidemmo immediatamente di andare in ospedale e la diagnosi fu shock anafilattico con ostruzione delle vie respiratorie. Fortunatamente la situazione si risolse per il meglio ma dovemmo pensare ad una soluzione definitiva, dal momento che ci trovavamo spesso a contatto con le api. Grazie alla collaborazione di una dottoressa del policlinico universitario di Messina abbiamo sperimentato un vaccino di durata triennale, raggiungendo un traguardo eccellente. Da allora sia mio figlio sia altri figli di apicoltori e no si sono sottoposti a tale terapia. A distanza di circa dieci anni possiamo dire che con il vaccino si può guarire consultando centri specializzati per punture di imenotteri, sparsi su tutto il territorio nazionale.
 
Aspettative future della sua attività?
Vista la situazione degli ultimi anni, intravedo un tramonto tenebroso e sono sempre in arrivo nuove tempeste a tutti i livelli. Spero non vada sempre peggio. Sarà forse meglio smettere???
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Sebastiano Repici
 
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