Speciale Apicoltori - n. 563, gennaio 2007
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Bernardino Ferri
Stregato dalle api
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Bernardino
 cognome  Ferri
 età  47
 regione  Lazio
 provincia  RM
 comune  Roma
 nome azienda  Coop. Apicoltura Nuova
inizio attività  1981
arnie  320
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Millefiori
Eucalipto
Castagno
Erica
 miele prodotto  100 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
La stupenda avventura con le api ha preso il via quasi per gioco, nel 1980. Con mia moglie Simonetta, eravamo alla continua ricerca di miele genuino per il nostro consumo. Poco soddisfatti di quello che si trovava in commercio cominciammo a prendere in considerazione l’idea di produrlo noi. Lessi il manuale “Apicoltura moderna”, dello Zappi Ricordati, e con quelle nozioni nel mese di giugno, sistemandoli sul terrazzo della casa dove abitavamo, acquistai due sciami da Tuzi, “la casa dell’Apicoltore”, negozio di Roma ormai chiuso, all’epoca molto conosciuto in tutto il centro Italia. La stagione ormai avanzata non permise alle due famiglie di produrre miele, ma queste riuscirono a svilupparsi completamente. Durante l’inverno continuai periodicamente a farmi pungere dalle api per immunizzarmi dal loro veleno. L’anno dopo, per aumentare le famiglie e per risparmiare, mi procurai dei bugni rustici, all’epoca ancora utilizzati da anziani agricoltori-apicoltori. Li trovai nella mia zona e pattuito il prezzo (30.000 £ cad.) ne scelsi una decina, pagai anticipato e decisi in accordo di ritirarli il giorno dopo, ma ahimè ebbi una brutta sorpresa: 3 erano stati sostituiti con altrettanti morti dal disonesto contadino e a nulla valsero le mie proteste. Attualmente ho 300 alveari e seguo il settore apistico di una Cooperativa Agricola Sociale, (Agricoltura Nuova) composto da altre 320 famiglie.
 
Per quali motivi ha iniziato?
All’inizio non è stata una scelta ragionata ma solo un gioco; al primo contatto con le api però sono rimasto letteralmente stregato dal loro universo. Passavo ore soltanto ad osservare dall’esterno il volo di rientro negli alveari delle bottinatrici cariche. Per i primi due anni è rimasto un hobby, trasformandosi in seguito prima in attività part-time e dal 2002 in attività principale, acquisendo la qualifica di coltivatore diretto-apicoltore.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
L’apicoltura è una attività che ti permette di vivere a contatto completo con la natura, di seguire l’avvicendarsi delle stagioni, cosa che la maggioranza delle persone ha ormai dimenticato. Per me l’alveare è il mondo dei profumi, che esprime un’armonia perfetta con l’ambiente che lo circonda. Vivere vicino a questo meraviglioso insetto mi appaga moltissimo.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
Sento molto il problema della mancanza di collaborazione, lo scambio di esperienze tra apicoltori. Se ci fosse questo aiuto tra noi, tutti ne trarremmo vantaggio; l’ape insegna: l’unione fa la forza. Invece spesso ognuno va per la propria strada, ognuno con il suo postulato, convinto che sia l’unico. Un altro pericolo che sento molto, è la continua minaccia che le api possano essere avvelenate nelle usuali pratiche agronomiche attuate dagli agricoltori; la cronaca di ogni anno ne è testimone. In questa ultima campagna di semina nella mia zona, molte aziende agricole hanno, dopo anni di scarso interesse, riseminato la colza. Il mio timore è che sia stata trattata con i nicotinoidi (vedi imidacloprid). Speriamo di non trovarci gli alveari svuotati nella prossima stagione. Inoltre, operando vicino a una grande città (Roma) la continua crescita (aggiungo disastrosa) della metropoli continua a sottrarre spazi agricoli indispensabili per il nostro lavoro.
 
Pratica il nomadismo?
Attualmente sposto pochi alveari ed esclusivamente per la produzione di miele di castagno, ma ho in programma per il futuro, nell’arco di due stagioni, iniziando dalla prossima, di pallettizzare, con delle banchette in ferro da quattro, tutti gli alveari, spostandoli con autocarro e gruetta applicata posteriormente. Per me il nomadismo è la massima espressione dell’apicoltura, permette di sfruttare meglio le risorse nettarifere ottenendo varietà di miele monoflora, migliorando la produzione e diversificando l’offerta di prodotto; permette inoltre di avere famiglie sempre in attività con le importazioni continue di raccolto, buona “terapia” per evitare l’insorgenza delle patologie dell’alveare.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Nella nostra attività è fondamentale conoscere le specie botaniche e i tempi di fioritura delle risorse nettarifere; aggiungo che anche nozioni di meteorologia, che influiscono direttamente nella secrezione di nettare delle fioriture di interesse apistico, sono utili allo svolgimento della nostra attività. Quando si ha la cognizione dei flussi nettariferi è possibile ottenere mieli monoflora anche con alveari stanziali.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Tutti i miei alveari e quelli della Cooperativa che seguo sono a conduzione “BIO”.
 
Problemi nella commercializzazione?
Vendo principalmente all’ingrosso. L’offerta di prodotto biologico al momento è insufficiente per cui non ho difficoltà nella collocazione del miele. Dal prossimo anno parte della produzione vorrei venderla direttamente al consumatore finale, nelle varie manifestazioni dedicate al settore e in qualche mercato rionale. La ragione? I motivi principali sono due: far conoscere alla gente le peculiarità dei mieli monoflora e la possibilità di poter ricavare un maggior guadagno. Qualità e reddito sono certamente da non trascurare.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
La scelta dell’utilizzo di antibiotici nell’allevamento delle api è scorretta e dannosa, per una semplice ragione: non si ha la visione sanitaria reale degli allevamenti. E’ consuetudine, durante la stagione, formare sciami artificiali e spaccare famiglie, per ampliamento e rimonta all’interno dell’azienda o peggio destinandoli alla vendita, contribuendo così alla diffusione delle patologie allo stadio latente. Se prendiamo in considerazione la peste americana, l’unico rimedio è la distruzione della colonia malata per ovvi motivi; le api non riescono a ripulire le cellette (la scaglia vi rimane attaccata tenacemente). La conduzione senza l’utilizzo di queste sostanze, comporta visite costanti e maggiore impiego ore-alveare, in special modo ad inizio e fine della stagione produttiva, per poter rilevare tempestivamente le varie patologie e fare in modo che non si propaghino. Tutto ciò comporta un limite al numero di alveari che una sola persona può condurre, a seconda delle proprie capacità. Ormai siamo un mercato globale e con l’uso di tali sostanze non si ha la speranza di competere con i paesi a basso costo di manodopera come la Cina o grandi produttori come l’Argentina. L’unico metodo per differenziarci è produrre con metodi puliti, prodotti di alta qualità.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
Per il mio fabbisogno ogni anno allevo una certa quantità di regine per effettuare cambi e sostituzioni negli alveari, circa 400, più un discreto numero di celle reali per formare nuovi sciami artificiali, operando una selezione su ceppi che hanno le caratteristiche che soddisfino le mie aspettative, come la docilità, la scarsa sciamatura e la produttività. Inoltre sto cercando di meccanizzare quelle operazioni, come lo spostamento degli alveari e la movimentazione dei melari, per evitare fatica inutile e acquisire maggior tempo per poter incrementare i capi allevati.
 
Come lotta contro la varroa?
La varroa è una causa importante dei problemi dell’apicoltura. Nelle fasi del suo ciclo di sviluppo indebolisce il superorganismo alveare, e favorisce l’insorgenza di altre patologie come le virosi, il nosema e la peste europea. Operando secondo il metodo CEE 2092/91 (Agricoltura Biologica) combatto contro la varroa in due tempi, distinti e separati. Prima con il cosiddetto trattamento tampone, con timolo, applicando tavolette di spugna OASIS imbevute di principio attivo, attuando entro la prima decade di agosto il primo intervento e a distanza di una settimana, per tre settimane consecutive, per coprire lo sfarfallamento di tutta la covata; ciò permette di abbassare l’infestazione a un livello che consente di arrivare al trattamento invernale, di pulizia radicale, con acido ossalico gocciolato nel mese di dicembre, in assenza totale di covata. Un problema sottovalutato nella lotta alla varroa è la reinfestazione, anche perché non esistono piani di lotta zonali, tutti operiamo secondo le esigenze personali ed aziendali. Se qualche famiglia “collassa” per incuria o errata conduzione, il conseguente saccheggio è causa della reinfestazione delle colonie già trattate compromettendo la sopravvivenza della colonia e l’esito finale della cura.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Di sicuro l’APE, insetto che ha attraversato nella sua esistenza ere geologiche ed è arrivata fino ai giorni nostri praticamente immutata. Difendiamola.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Come ho già detto, è importante associarsi per poter portare avanti le problematiche dell’apicoltura, tanto che nel Lazio abbiamo formato una nuova associazione, l’A.L.P.A., composta da un nucleo di professionisti ma aperta a tutti, con l’intento, in primis, di sensibilizzare le autorità della nostra regione.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
E’ un lavoro che sta diventando, anno dopo anno, più difficile, quasi una missione. Nonostante ciò ad ogni primavera rivivo con le api l’emozione della nuova stagione, la speranza che il tempo sia favorevole allo sviluppo delle colonie e favorisca fioriture per abbondanti raccolti.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Qualche anno fa, durante uno spostamento di un apiario, ho rischiato di finire sulle cronache dei giornali. Il ragazzo che guidava il camion su una stretta stradina, ma molto vicino al paese, a cento metri dalla destinazione, ha sbagliato manovra ed è finito in una cunetta. Nella sfortuna, qualcuno ci ha aiutato, il camion del tipo per il trasporto del bestiame, è rimasto poggiato ad una quercia, in bilico, bastava mezzo metro in più ed avrebbe “cappottato” facendo due giri completi, lascio immaginare con quali conseguenze. Siamo riusciti a ricomporre i 48 alveari, schiacciando inevitabilmente molte api e prendendo una buona dose di punture. Comunque alla fine della fioritura, in quel caso di agrumi, il raccolto è stato il più abbondante degli anni passati.
 
Aspettative future della sua attività?
Spero sia data maggiore importanza alle nostre api, infaticabili lavoratrici che col loro incessante lavoro sono portatrici di ricchezza e biodiversità e sia attuato quello che cita l’art 1 della legge 313/2004 “…l’apicoltura come attività di interesse nazionale… salvaguardia della razza di ape italiana…”
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Bernardino Ferri
 
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