Speciale Apicoltori - n. 561, novembre 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Hubert Ciacci
Una dolce oasi apistica nella patria del Brunello
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Hubert
 cognome  Ciacci
 età  55
 regione  Toscana
 provincia  SI
 comune  Montalcino
 nome azienda  Apicoltura Hubert Ciacci
inizio attività  1675
arnie  380
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Acacia
Castagno
Sulla
Erica
Corbezzolo
Girasole
Millefiori
 miele prodotto  250 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
“Galeotto”, per prendere a prestito la battuta dal meraviglioso Canto di Paolo e Francesca, dell’Inferno, nella Divina Commedia, fu mio padre che conduceva con passione 50 alveari. E’ chiaro che per lui l’apicoltura era un hobby, anche se la portava avanti con estrema serietà e rispetto delle api. Così, dopo gli studi, era inevitabile che grazie al continuo contatto che avevo con le api incominciassi a pensare che forse valeva la pena di fare dell’apicoltura la mia professione. La cosa più logica, allora, era quella di frequentare il corso per esperti apistici tenuto all’Istituto Nazionale di apicoltura di Bologna e con l’aiuto pratico di mio padre ho incominciato a lavorare a stretto contatto con le api. I primi tempi sono stati molto duri, il miele si vendeva solo in fusti alle industrie dolciarie e veniva pagato pochissimo. Ho deciso, comunque, di tenere duro e andare avanti. I risultati non sono mancati, ho incominciato ad avere i primi clienti commercializzando il miele confezionato e ora che ho quasi 500 clienti sparsi in tutto il mondo posso dire di avere avuto ragione.
 
Per quali motivi ha iniziato?
La passione per le api e per la natura su tutto. E’ veramente emozionante mettersi in osservazione e in ascolto del meraviglioso lavoro dell’ape. Poi, quando si raccoglie il dorato frutto del loro lavoro non si può che rimanere inebriati ed emozionati a sentire gli irresistibile profumi che sprigiona. Ho passato ore e ore a guardare le api che volavano intorno ai fiori e che si tuffavano al loro interno. Tutto ciò fa entrare dentro l’anima tanta natura e un po’ di Universo. Subito dopo, insieme ad altri 12 apicoltori di tutte le età, io ero il più giovane, il più anziano aveva 75 anni, abbiamo fondato l’ASGA, l’Associazione che riuniva gli apicoltori del sud della Toscana e cioè le provincie di Arezzo, Siena e Grosseto. Avevamo capito, 30 anni fa, imparando la lezione dalle api, che l’unione fa la forza e allora abbiamo iniziato ad organizzare la prima Settimana del miele di Montalcino presentando le nostre produzioni e creandoci piano piano quel mercato del miele confezionato che a quei tempi mancava un po’ a tutti. Erano tempi in cui era facile produrre perché non c’era la varroa e le altre principali malattie delle api. La vera difficoltà era la commercializzazione.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
Avere la passione per le api vuol dire, e non ho pudore a ripetermi, amare profondamente la natura, la campagna e la vita all’aria aperta. Filosofia? Certo che no, visto che su questi principi ho impostato la mia vita e la mia professione. Mi sono reso conto poi, piano piano, che forse questa è una delle poche attività che riesce a trarre un reddito, anche significativo, partendo da un animale senza ucciderlo o farlo soffrire, anzi curandolo e cercando di fare di tutto per il suo benessere. Tutto ciò per un’ambientalista come me è motivo di orgoglio e di felicità.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
In realtà per quanto riguarda questo aspetto credo di essere assai fortunato, visto che la mia zona di produzione è una delle migliori d’Italia. In più, in un raggio di 100 km si trovano molte fioriture diverse e la possibilità, quindi, di fare molti tipi di miele. Si tratta di una zona, ancora, prevalentemente agricola e quindi anche le colture non sono molto cambiate negli anni o addirittura cessate per fare posto a cemento e strade come in altre parti d’Italia, con grave danno per l’apicoltura. Insomma, le api hanno a disposizione un territorio veramente ineguagliabile. L’unico pericolo arriva da quanti pretendono di portare avanti il mestiere di apicoltore ricorrendo ad ogni genere di molecole chimiche. Anche in questo caso dovremmo imparare dall’ape che ci dà tante lezioni di ambiente ed ecologia. A volte, però, ci trasformiamo in studenti duri di comprendonio e fatichiamo ad imparare la lezione.
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Non ne ho di particolari. Anzi voglio precisare che la commercializzazione, di cui mi occupo personalmente, è una degli aspetti più confortanti della mia azienda. La prova? Pur facendo produzioni d’interesse riesco a vendere tutto, invasettando con il mio marchio in Italia e all’Estero. Con i tempi che corrono è un risultato non da poco. Credo che sia un premio dovuto alla scelta di puntare tutto sulla qualità e il consumatore finale lo riconosce.
 
Pratica il nomadismo?
Certo, e le mie aree preferite sono la Toscana, l’Alto Lazio e l’Umbria. Agli avversari di questa pratica ricordo che se viene condotta rispettando l’ape e l’ambiente non si ruba niente a nessuno. Essere contro per partito preso non ha il minimo senso.
 
L’apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Senza dubbio, ma non solo. All’occorrenza deve essere anche un “quasi “ veterinario. Per quanto mi riguarda, non vorrei apparire presuntuoso, riesco a capire se un alveare ha qualche problema sanitario sentendo solo il rumore delle api, dopo aver tolto il coprifavo. Questa facoltà si acquisisce solo con tanta pratica e pazienza. Conoscenza delle fiorirture e capacità di osservazione sono due aspetti imprescindibili per praticare al meglio l’apicoltura
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Lo ribadisco, una apicoltura all’insegna del rispetto dell’ape e dell’ambiente. Sono contro, da sempre, alla somministrazione di antibiotici alle api. Innanzitutto perché non risolvono i problemi sanitari, appena l’apicoltore smette di somministrarli le malattie che gli stessi antibiotici tenevano sotto controllo si riaffacciano immediatamente. In seconda battuta, soprattutto perché se si vuole davvero che l’apicoltura abbia un futuro deve essere pulita e senza residui chimici. Il miele deve essere il simbolo dei prodotti naturali. E ve ne spiego il motivo. Già il consumo di miele in Italia risulta in calo e se il consumatore capirà che non sta comprando un prodotto sano e naturale sarà la fine dell’apicoltura. Un pericolo da non sottovalutare anche perché un grande problema del miele in Italia è che se ne consuma troppo poco e con i nostri 400 grammi a testa l’anno siamo del 35% al di sotto della media europea che tocca i 600 grammi pro-capite l’anno. Per sottacere i consumi record, 1,2 kg a testa durante l’anno, di tedeschi, francesi e greci. Qui da noi c’è troppa poca cultura sul miele. Invece di perdere tempo a dire che possiede proprietà anti cancro e che cura chissà quante malattie occorrerebbe riscoprirlo come alimento e diffondere informazioni adeguate su come inserirlo stabilmente a tavola. Basta con le panzane sensazionalistiche e i falsi miti nutrizionali.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
Di farla finita, dato che si stanno infilando in un vicolo cieco. In genere gli apicoltori credono di essere tutti un po’ scienziati e quasi tutti sono convinti di possedere una ricetta magica che risolve tutti i problemi. Io non mi vedo in questa categoria, cerco di mettere in pratica quello che ho imparato in tanti anni di lavoro. Di cosa si tratta? Semplice, mantenere il massimo della pulizia negli alveari e cambiare sistematicamente la cera più vecchia perché è lì che si formano muffe, batteri e microrganismi che portano poi a sviluppare le principali malattie delle api.
 
Come lotta contro la varroa?
Per combatterla cerco di utilizzare sempre prodotti non aggressivi, autorizzati dal Ministero, e soprattutto di cambiare tutti gli anni il principio attivo, per evitare problemi di assuefazione, così veloci nelle api.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Sono molte le cose che non funzionano. La prima, a mio modo di vedere la più importante, è quella dei mass-media e soprattutto dalle istituzioni che ritengono l’apicoltura un’attività marginale del mondo agricolo. Questa visione ha impedito per anni uno sviluppo concreto e fattivo dell’apicoltura. Posso fare un esempio, la regione Toscana, dove opero, e che conosco bene, che è ben governata e dove l’apicoltura è molto sviluppata, ha avuto per il 2006 solo 80.000 Euro destinati all’apicoltura. Inoltre, ci sono una moltitudine di associazioni, spesso in contrapposizione tra di loro, quando invece bisognerebbe essere uniti, lasciare perdere gli orientamenti politici diversi e parlare alle Istituzioni con una sola voce perché gli interessi sono veramente comuni.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Su tutto, apicoltori compresi, l’Ape. Tanta litigiosità e divisione non ci sarebbe se la prendessimo a modello. Lei, sì avete capito bene la chiamo come una persona, continua a sopravvivere ostinata, portando avanti la sua preziosa opera, nonostante i ripetuti tentativi di farla sconmparire.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
Dopo trenta anni di lavoro a stretto contatto con loro è chiaro che per me sono tutto. Ho cercato di tramandare il mio piccolo sapere ai miei figli e sono felice nel vedere che anche loro sono appassionati come me a questo insetto che ti punge ma che ti sa dare anche tante soddisfazioni.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Mi torna alla mente un episodio capitato una quindicina di anni fa e dotato di non poco umorismo. Mi ero trovato a portare le api su un appezzamento di terreno di un allevatore di pecore sardo che inizialmente si dimostrò entusiasta della proposta. Allora trasferii le api e dopo una settimana fui chiamato dallo stesso allevatore che mi intimò a brutto muso di rimuovere gli alveari dal suo terreno. Alla mia domanda di spiegazione mi fornì una motivazione che non può che far sorridere: “devi spostare le api perché mi stanno mangiando tutti i fiori e così le pecore non hanno di che mangiare”. Testuale.
 
Aspettative future della sua attività?
Per il futuro sono ottimista. Spero che si riesca a selezionare una regina resistente alla varroa; che si riesca a produrre di più e meglio; che il consumo di miele aumenti in modo significativo; che i consumatori siano sempre più informati e comprino miele italiano; che l’apicoltore abbia pari dignità al pari degli altri imprenditori agricoli, anche legislativamente. Saranno solo sogni? Spero vivamente di no.
 
 
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Hubert Ciacci
 
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