Speciale Apicoltori - n. 559, settembre 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Marco Bianco
Mettersi in ascolto delle api
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Marco
 cognome  Bianco
 età  45
 regione  Piemonte
 provincia  AL
 comune  Camino
 nome azienda  Az. Agr. Bianco Marco
inizio attività  2001
arnie  500
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Acacia
Millefiori
Castagno
 miele prodotto  200 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Ho iniziato per gioco, perché un vicino stava cessando l’attività da apicoltore e allora ho pensato di comprare le sue 50 casse, lasciandomi così in questo mestiere. Per parafrasare Giulio Cesare, prima di attraversare il Rubicone, scusate il paragone: “Alea iacta est” (Il dado è tratto). All’inizio si è trattato di un’attività secondaria, ma oggi l’apicoltura è il mio lavoro principale ed è una passione che sto cercando di trasmettere anche al figlio più grande. Pratico un mestiere antichissimo e che mi tiene a contatto costante con la natura. Sono orgoglioso dell’apicoltura e a tutti gli apicoltori rivolgo un invito pressante: “produciamo miele di qualità e aiutiamo l’ape nella sua opera di salvaguardia del pianeta Terra”.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Più andavo avanti e più mi appassionavo al lavoro con le api: oltretuttto era molto gratificante. Niente noia, anzi continui stimoli ad andare avanti. Una passione che aveva ogni giorno i suoi ritorni positivi: la gente apprezzava il mio miele ed io, più trascorreva il tempo e più mi rendevo conto che mi piaceva lavorare a stretto contatto con la natura e con questo mondo affascinante: quello delle api.
 
Che cosa vuol dire avere una passione per l’Ape?
Questa passione nasce dal fatto che essendo al contatto più ore al giorno con questo meraviglioso insetto è impossibile non appassionarsi.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
I problemi sono sempre gli stessi. L’agricoltura è diventata sempre più intensiva, si bada più alla produzione che al rispetto della natura. Per noi apicoltori è difficile convivere con certi agricoltori che, per avere raccolti sempre maggiori, utilizzano trattamenti chimici, senza seguire le modalità e le tempistiche consigliate dalle case produttrici. Sparano sostanze chimiche sulle piante e sul terreno usando il cannone, mentre sarebbe sufficiente un modesto tiro di cerbottana. Avvelenare l’ambiente vuol dire avvalenare non solo il cibo ma anche le api e senza di loro, come ripeteva costantemente il grande fisico tedesco Albert Einstein, la Terra non avrebbe più di 5 anni di vita. Torna alla mente un articolo di Adriano Sofri che, parafrasando un articolo di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole, ricordava come continuando nella nostra scriteriata corsa verso la chimica rischiamo di far scomparire anche le api. “La mancanza di lucciole e di api sarà il de prufundis per tutti noi” chiosava Sofri. E c’è dell’altro. “Il fai da te” per contrastare le patologie apistiche e condurre l’alveare è dannoso per gli effetti negativi che ricadono sull’ambiente e sulle api. Si tratta di un approccio scriteriato dagli effetti imprevedibili. Fantasie? Macché, mi trovo spesso ad avere una certa moria di api nel periodo che va dalla fioritura dell’acacia fino alla raccolta della melata. I continui trattamenti che si fanno contro i patogeni dei fruttiferi e contro la flavescenza dorata della vite sono un tormento per chi come me fa dell’apicoltura il suo lavoro principale perché spesso, mi ripeto, sono eseguiti in maniera sconsiderata. Troppo di frequente, poi, si dimentica il valore economico del servizio di impollinazione, svolto dalle api. L’apicoltura dovrebbe essere considerata da tutti un’importante attività economica a livello nazionale. Qualcuno a questo punto potrebbe arricciare il naso e dire: “come quantificare l’impollinazione?” Sono pronto a rispondergli con un’aggettivo: “Incommensurabile”.
 
Che problemi pone la commercializzazione?
Ho scelto di vendere una buona parte della produzione all’ingrosso tramite l’associazione Agripiemonte miele di cui sono vicepresidente. Il servizio, fornito dalla nostra associazione, ormai da cinque anni, è molto apprezzato dai soci che sempre più numerosi scelgono di conferire il loro miele all’ingrosso. Per quanto riguarda il miele invasettato ho scelto di aderire al marchio “Mielalpi”, marchio registrato dall’associazione Agripiemonte miele e che prevede un disciplinare di produzione rigoroso, una fitta rete di controlli dal “campo al vasetto”e una convenzione con Federconsumatori Piemonte che fa da supervisore e a sua volta da controllore. Tutto ciò perché credo molto nella trasparenza tra produttore e consumatore e perché ritengo che la battaglia contro i mieli esteri si possa vincere solo attraverso la qualità. Non a caso, sovente, mi ritrovo come concorrenti sul mercato apicoltori che non sono in grado di dare al loro miele le stesse garanzie che offre il mio. Leggo sui vostri volti un po’ di perplessità, come se non avessi risposto alla domanda. In realtà, ho voluto dire che la presenza di Agripiemonte miele e l’aver scelto la qualità del prodotto mi pone ben pochi problemi. La cosa mi spinge a rivolgere un invito ai miei colleghi apicoltori: “lavoriamo all’insegna della qualità e vedrete che non ci saranno problemi di commercializzazione”. Attraversiamo un periodo in cui il consumatore è sempre più attento a ciò che mette nel carrello ed è disposto a spendere di più per apparecchiare la tavola con prodotti puliti. Dobbiamo far crescere i consumi di miele puntando proprio su qualità e informazione. Basta con le sciocchezze che indicano il miele come un semplice dolcificante e una medicina. Il miele è un alimento e come tale va pubblicizzato. Anzi spero che Apitalia riproponga ai lettori i suoi articoli sulle qualità nutrizionali del miele e sulla possibilità di utilizzarlo in cucina. Colgo l’occasione, perché ad intervistarmi c’è chi questa rubrica teneva. Gli apicoltori hanno costante bisogno di sapere cosa occorre dire di vero e positivo sul miele. Un’informazione a 360 gradi che spazzi via tutte le sciocchezze che circolano sull’argomento.
 
Pratica il nomadismo?
Pratico poco il nomadismo, sposto al massimo 50- 60 casse l’anno per produrre miele di castagno.
 
Un Apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Direi di no, è però indispensabile che un apicoltore abbia delle buone conoscenze sulla flora apistica, per scegliere i pascoli migliori per le proprie api e per cercare di produrre dei mieli monoflorali di qualità. Spesso mi avvalgo dei supporti (colorimetro, strumento per misurare la conducibilità elettrica, microscopio) messi a disposizione dall’associazione per tutti i soci. L’obiettivo? Migliorare ulteriormente la produzione. Ritengo anche importante che l’apicoltore sia anche un buon assaggiatore di miele per poter valutare il proprio prodotto e per riuscire meglio a promuoverlo e a valorizzarlo. Inoltre, tramite l’Associazione è possibile effettuare analisi melissopalinologiche del miele per verificare la monofloralità delle produzioni; in questo sono certo di dare un’ulteriore garanzia al consumatore e di essere in regola con la vigente normativa.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Da qualche anno ho scelto di convertirmi alla produzione biologica sempre nell’ottica di dare una certificazione al mio prodotto e ottenere un maggior ricavo nella vendita all’ingrosso.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
L’apicoltura, fortunatamente, si può e si deve fare senza ricorrere agli antibiotici. Lo sanno bene tanti apicoltori che da anni conducono l’allevamento delle loro api senza usare gli antibiotici. Non capisco perché non possano tutti lavorare in questo modo. Il rischio è che per colpa di pochi sia danneggiato tutto il settore apistico nazionale. Sono convinto, infatti, che per vendere meglio sul mercato il nostro miele sia necessario dichiarare che ha residui di antibiotico pari a zero, come, del resto, lo stabilisce la legge comunitaria e nazionale. Alcuni cercano di scantonare. A loro dico: “ma avete mai riflettuto sul fatto che nel nostro Paese non c’è un farmaco registrato da impiegare in apicoltura?” A chi preme perché si apra agli antibiotici voglio ricordare che in Italia si consumano appena 400 g pro-capite di miele l’anno e se continueranno gli scandali sul ritrovamento di antibiotici nel miele il suo consumo andrà a finire sotto i tacchi. Ringrazio gli esperti apistici di Agripiemonte miele per la loro opera di formazione costante che mi permette di fronteggiare il problema peste americana senza fare ricorso agli antibiotici. Non dimentichiamo, infine, che il miele è sempre stato visto come un alimento, naturale, genuino, vivo e dall’elevato valore biologico.
 
Utilizza particolari tecniche per migliorare il lavoro in apiario?
Uso solo il fuoristrada e il carrello per i vari spostamenti di alveari e di melari. Per quanto riguarda la smielatura mi avvalgo di un po’ più di comodità: ho una macchina automatica che disopercola, smiela, scera e inoltre dispongo di un’invasettatrice automatica. Lavorare e seguire bene tanti alveari mi impegna molto per cui almeno in laboratorio mi faccio aiutare dalla tecologia.
 
Come lotta contro la varroa?
Utilizzo solo metodi naturali, perché ritengo che si possa fare apicoltura senza ricorrere a prodotti di sintesi o chimici, che, a lungo andare, possono creare molti problemi, quali, ad esempio, la farmaco-resistenza e la presenza di residui nel miele.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
L’apicoltura è rappresentata da dirigenti che spesso non conoscono i reali problemi cui gli apicoltori vanno incontro, e di conseguenza non sanno né come risolverli, ma neanche come renderli meno pesanti. A volte si diventa dirigenti solo per caso e con poca preparazione. Sarebbe necessario un cambiamento e l’inserimento di gente giovane, esperta e capace che faccia dell’apicoltura un mestiere. L’apicoltura può rappresentare una valida opzione per i giovani che sono in cerca di lavoro: basta preparasi bene e ci si accorgerà che è più remunerativo e gratificante il mestiere di apicoltore, piuttosto che stare davanti a un computer tutto il giorno o in fabbrica, alla catena di montaggio. Stando a contatto con le api, dalle quale si imparano tante cose: vita di gruppo, solidarietà, lavoro in comune. L’apicoltura è un piccolo settore dell’agricoltura che spesso viene dimenticato; quindi è necessario che gli apicoltori facciano fronte comune, dialoghino, si confrontino per portare avanti l’interesse di tutti: cioè la crescita del settore e il rilancio del miele italiano in concorrenza con quello estero.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
L’Associazione di cui sono il vice-presidente, l’Agripiemonte miele, è un’Associazione che, per moltissimi aspetti, sarebbe da prendere da esempio. Sono loro che mi aiutano nella commercializzazione e che mi permettono di risolvere i piccoli e grandi problemi, non solo burocratici, che spesso mi affliggono.
 
Cosa rappresentano le Api per lei?
Tutto, la vita, il mondo. Proprio tutto.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Ricordo un episodio di circa sei anni fa. Stavo usando il soffiatore ed avevo tutti gli alveari aperti, all’improvviso è arrivato un temporale e non sono riuscito a chiudere le casse. Quel giorno ci fu una violentissima grandinata con chicchi grandi come noci e io, come già accennato, non avevo chiuso le casse; avevo paura che il temporale facesse una strage delle mie api e, invece, quando tutto finì e andai a controllare vidi che le api erano sopravvissute senza problemi. La morale? Con le api non bisogna pensare di sapere tutto, visto che c’è sempre da imparare.
 
Aspettative future della sua attività?
Le mie aspettative non sono proprio rosee: la GDO ormai da qualche anno preferisce il vasetto di miele extracomunitario (acacia), per i minori costi e per i maggiori guadagni che dà. E’ chiaro che tutto ciò va a scapito del prodotto italiano che, probabilmente, è vero, costa di più ma che è di qualità superiore e che dovrebbe offrire al consumatore maggiori sicurezze. Che fare? E’ necessario che ci sia un progetto nazionale di valorizzazione del miele italiano, magari anche grazie ad un marchio collettivo per poter finalmente sfondare nella GDO. Se le cose però non andassero come mi aspetto, potrei andare a fare l’allevatore di api regine alle Maldive. Nel mondo c’è bisogno dell’esperienza dell’apicoltore italiano. Alle Associazioni apistiche nazionali chiedo: “sino ad ora cosa avete fatto di concreto in questa direzione?” E’ giunto il momento di farla finita con burocrazie e poltrone da occupare, la parola va finalmente data agli apicoltori: i veri protagonisti di questo settore.
 
 
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Marco Bianco
 
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