Speciale Apicoltori - n. 558, luglio-agosto 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Santina Nocerino
Una Donna fra le Api
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Santina
 cognome  Nocerino
 età  44
 regione  Campania
 provincia  NA
 comune  Napoli
 nome azienda  La Fattoria
inizio attività  1993
arnie  1000
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Tiglio
Millefiori
Castagno
Acacia
Agrumi
Eucalipto
Alianto
 miele prodotto  300 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha intrapreso l’attività di Apicoltrice?
Per caso. Ero in macchina con delle amiche, si parlava del più e del meno, e all’improvviso l’amica veterinaria ci sfidò a fare un corso di apicoltura che si sarebbe tenuto a Napoli. Mi iscrissi, insieme a mio fratello Filippo. Là incontrammo un vecchio apicoltore, tuttora vivente: ha novant’anni e ancora lavora con le api. “L’avvocato”, così era ed è apostrofato da tutti noi, aveva lasciato la sua proficua attività per dedicarsi completamente al mondo delle api. Fu lui a farci conoscere questo meraviglioso mondo: è vivo nella mia mente il ricordo del primo alveare aperto con lui.
 
Per quali motivi ha iniziato?
Il primo impulso è stato quello di produrre il miele che consumavo. Un semplice approvvigionamento personale. Siamo stati sempri grossi consumatori dei prodotti dell'alveare e visto che con mio fratello e con papà coltivavamo, per passione, uno degli appezzamenti di terreno lasciatoci da mio nonno contadino, (per cercare di mangiare quanto più sano possibile), decidemmo di comprare nel 1989 dieci alveari per l’impollinazione e per assicurarci il consumo personale di miele. Contro la nostra volontà, gli alveari sciamavano e si moltiplicavano e il miele in eccesso era regalato. A questo punto ci rendemmo conto che le persone, una volta finito il miele, erano disposte a pagarlo. Io e mio fratello, frattanto, lavoravamo nell’impresa edile di nostro padre, il quale nel 1993 decise di andare in pensione, lasciandoci le redini dell’azienda. Gli alveari, nonostante ci occupassimo di altro, erano diventati più di 100 e fu allora che mio fratello disse (dopo anni mi ha confessato che pensava ad uno scherzo) “Santina, ma perché lavorare 10 ore il giorno nell’edilizia, con il patema d’animo, quando potremmo lavorare, divertendoci, sempre 10 ore il giorno ma a stretto contatto con le api?” La sfida ormai era stata lanciata, cosi aprimmo una partita IVA agricola e ancora per tre anni tenemmo in piedi l’impresa edile, affinché crescessimo col parco alveari e anche per dare la possibilità agli operai di trovare una buona alternativa di lavoro.
 
Cosa significa avere una passione per l’ape?
Vuol dire vivere in simbiosi con questo splendido insetto e con la natura e rimandare i problemi del quotidiano allo spegnersi dell’affumicatore. Vivere in simbiosi con le api significa entrare in empatia con loro e osservare, anche se si è nel pieno della stagione produttiva, anche il più piccolo segnale. Considerazione che a prima vista può sembrare di poco conto: si è portati a prendere delle decisioni conseguenti a quel segnale, aspetto che può essere di primaria importanza. Ovviamente se l’intuito è quello giusto, si registra un miglioramento sia per le api che per la produzione. Ciò fa sì che l’apicoltore, in una frazione di secondi, deve decidere cercando di non danneggiare le api e contemporaneamente salvare la stagione apistica. Si tratta di un grosso privilegio, perché vuol dire essere parte integrante con la natura. Sapere che tanti lavori hanno un impatto devastante sull’ambiente e che invece le api permettono di vivere dignitosamente e di fornire un contributo al mondo che ci circonda, rende particolarmente contenti. Nondimeno la passione per le api porta a frequentare il mondo degli apicoltori, mondo particolarmente pulito, costituito di persone semplici (almeno quando si parla di veri apicoltori) come il caro Ciccia, Nanni, Giovanni… e ciò non è poco.
 
Quali sono le difficoltà che si incontrano nella sua zona?
Per molte persone la natura è molto bella, anche se lo avvertono, è il nostro punto di vista, solo quando la vedono in televisione. Che a farla da padrone sia la civiltà dell’immagine lo dimostra il fatto che è assai difficile trovare delle postazioni perché la gente ha paura delle api. Il solo vedere un camion carico di api per alcuni è come vedere uno sciame di cavallette devastatrici. Contraddizione incredibile visto che poi ci nascondiamo quando i veri intrusi sono i palazzinari che costruiscono in zone protette e ad alto rischio di frane, alluvioni, eruzioni ecc. (la cronaca è piena di tragedie). Il solo fatto che le api bevono vicino ad un rubinetto di una cisterna e che lasciano qualche piccolo escremento sulla macchina o sui panni stesi crea notevolissimi problemi di convivenza. Sembrano passati già dei secoli da quando quasi tutti i contadini avevano i loro bugni rustici per garantirsi il fabbisogno del dolce nettare. Ormai ci siamo tutti trasformati in civili abitanti delle città. Ovviamente, essendo la postazione la ricchezza dell’azienda l’ostacolo creato dalle persone è un limite che frena la crescita aziendale e anzi le stesse zone protette, come i parchi nazionali, non sono così facilmente accessibili, malgrado le leggi siano a favore dello sviluppo dell’apicoltura, Purtroppo, anche quando c’è la disponibilità da parte del proprietario del terreno ad accogliere l’apicoltore, spesso le asperità del terreno o gli ostacoli rendono difficile la logistica.
 
Quali i problemi di commercializzazione?
Stare in città con il laboratorio crea delle difficoltà legate al traffico soffocante, anche se non bisogna nascondere che la città permette di avere un bacino di utenza enorme. C’è anche un altissimo numero di erboristerie, negozi tipici, torronifici, pasticcerie di qualità e non ultimo il negozietto della sede aziendale che facilita la vendita di una buona quantità di miele a prezzi accettabili. Il resto del prodotto? E’ conferito agli invasettatori. Altra cosa interessante? Le consegne a domicilio che per un ordine minimo sono fatte attraverso un corriere. C’è da dire però che il miele è solo uno dei nostri prodotti aziendali. Nell’elenco è possibile inserire anche le sculture che realizzo in cera d’api, il polline fresco congelato, la propoli, la pappa reale (l’azienda è iscritta al COPAIT), l’impollinazione in colture protette e a campo aperto che ci permettono di essere una realtà produttiva aperta su una vasta gamma di possibilità. Un ciclo chiuso che genera autosufficienza. La vera difficoltà, entrando nello specifico, sta nel fare arrivare alla grande massa il messaggio “miele italiano” cosa che cerchiamo di realizzare avvalendoci di sagre o manifestazioni.
 
Pratica il nomadismo?
Pratichiamo poco nomadismo per due motivi, uno è sicuramente legato alla qualità della vita e l’altro alle buonissime medie che si riescono ad ottenere nella nostra Campania Felix (felice), come amavano chiamare la nostra Regione gli antichi Romani. Ci siamo resi conto che l’investimento che ci vuole per ottenere un nomadismo spinto è sicuramente superiore ad un aumento di casse stanziali. Secondo noi, incrementando le casse stanziali, visto che lavoriamo in una buona zona, si riesce a lavorare di meno e meglio, producendo di più. A tal proposito faccio un esempio: un apicoltore che gestisce 400 casse nomadi ne può facilmente gestire più di 800 stanziali. Ma alla fine produrre tanto miele è un discorso relativo perché bisogna sicuramente tenere conto dell’energia e dei costi per produrre un chilo di miele, cosa di cui tanti apicoltori non tengono conto e ciò sicuramente va a discapito della redditività aziendale.
 
L’apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Sicuramente no, più che esperto botanico, deve avere una discreta conoscenza di botanica apistica. Eppoi, sono le api a dire se un’area è redditizia o meno. Tenere le api per due o tre anni in una zona è come avere una cartina di tornasole. Cerco di essere più chiara. Dove abbiamo le api ci sono pochissime acacie, eppure ogni anno ci danno dei bellissimi raccolti di acacia; in altre zone, invece, nonostante ci siano estensioni enormi di acacia i raccolti sono meno ricchi. E c’è dell’altro. Tante volte c’è capitato di fare del Monoflora, proprio quando per chilometri sembravano assenti quelle fioriture. Questa sicuramente va contro le mappe nettarifere che sono, dunque, puramente indicative e che mettono in risalto altri fattori importanti legati alle condizioni climatiche. In parole povere sono due i fattori importanti, al di là della botanica: l’esperienza dell’apicoltore e l’ape. Ovviamente un altro elemento, di non poca importanza, è che l’apicoltore abbia delle valide conoscenze di analisi sensoriale proprio per una migliore conoscenza e valutazione del miele. Tutto ciò comporta una valorizzazione adeguata del prodotto, nel momento della commercializzazione.
 
Che tipo di Apicoltura conduce?
Noi pensiamo, come già accennato prima, che un’azienda apistica debba essere multifunzionale. La ragione? Soprattutto per un motivo legato agli stimoli: produrre pappa reale, allevare regine, creare un pastore in cera d’api, fare polline dà sicuramente molti più stimoli che produrre esclusivamente il miele. Infine, questo ci permette di tenere impegnati per un periodo più lungo i collaboratori, garantendogli un lavoro più stabile. Siamo anche certi che così operando migliora la preparazione dell’apicoltore: producendo cose diverse a partire dalle api si notano dei comportamenti particolari e ciò permette di arricchire il bagaglio di esperienza, fondamentale per produrre reddito.
 
Cosa direbbe agli Apicoltori che usano antibiotici?
Ci sono delle regole e vanno rispettate. In Italia non è consentito l’uso degli antibiotici, cosa che avviene, invece, in America. Concessione abbastanza discutibile. Negli ultimi tempi, i controlli in Campania sono stati molto frequenti. Stiamo attenti, lavorando male rischiamo di produrre un danno incalcolabile a tutto il settore. Al primo posto va messa sempre la qualità. Sicuramente, poi, il gioco non vale la candela. Dal punto di vista di tecnica apistica, l’eliminazione delle famiglie colpite da peste americana porta a selezionare dei ceppi resistenti alla malattia e dopo anni la percentuale di famiglie colpite risulta sempre più bassa, rientrando cosi in una media quasi accettabile. Sono anni, in ogni modo, che cerchiamo di fare selezione su regine igieniche, cosa molto difficile da fare per una piccola realtà come la nostra. Speriamo che chi di dovere si accolli l’onere di un percorso che prima o poi pensiamo sarà obbligatorio, cioè quello della ricerca di api igieniche.
 
Che cosa significa essere donna in apicoltura?
Essere donna lavoratrice, in una realtà come quella del Sud, vuole dire, innanzitutto, doversi confrontare con ambienti tradizionalmente maschile. All’inizio dell’attività è stato difficile inserirmi in questo contesto, sentire certe paroline accompagnate da sorrisetti ironici: “Santina vuoi andare a zonzo sul Vesuvio con le casse di api?”, “Vuoi alzare quei bei melarietti da 12, ricolmi di miele, per sollecitare i bicipiti?” E ancora. “Vuoi prendere l’abbronzatura a chiazze sotto la maschera, invece di prendere quella omogenea sulla sdraio in Costiera Sorrentina?”. Tutto ciò per me non è stato un deterrente, anzi ha rappresentato stimolo per iniziare l’attività con impegno. Impegno a cui si è aggiunta, man mano, la passione. Col tempo, però, un sassolino dalla scarpa me lo sono tolto. Anche se ad onor del vero con l’ausilio di un uomo… mio fratello Filippo. Da allora il cammino è stato percorso… siamo giunti in America. L’azienda e io come imprenditrice sono stata una delle 5 imprenditrici italiane premiata dal Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, Gianni Alemanno, col premio “De@ terra” promosso dal Ministero, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica. L’azienda, grazie al premio, è stata invitata dal Ministero dell’Agricoltura di Boston, dove ha avuto la possibilità dì presentare l’apicoltura italiana.
 
Come lotta contro la varroa?
Semplicemente usando il timolo come trattamentoo tampone, e più volte l’acido ossalico vaporizzato, quando c’é poca o totale assenza di covata. L’aspetto che sicuramente ci aiuta è quella di fare molti sciami e di avere un coordinamento territoriale per la reciprocità dei trattamenti, fondamentale per una non infestazione. La cosa importante con la varroa e con le altre patologie dell’alveare è il loro monitoraggio. Mai abbassare la guardia, pena la perdita delle famiglie stesse.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Sono tante le cose che non funzionano nel mondo apistico. In primis la ricerca. Sono pochissimi i soldi stanziati per portarla avanti. E’ impensabile che un’azienda apistica, per quanto grande sia, possa sostituire gli Istituti. Le stesse industrie farmaceutiche investono poco per nuovi prodotti acaricidi, anche se è vero che le aziende apistiche hanno un basso fatturato per i prodotti contro la varroa e ciò non stimola le industrie farmaceutiche ad investire su di esse. Ma occorre sottolineare quanto sono indispensabili le api per l’impollinazione. In Campania, ad esempio, in coltura protetta si utilizzano diverse decine di migliaia di sciami, dando un contributo essenziale all’intera sericoltura. Un’altra cosa che non va è l’omologazione del nostro miele con quello importato. Un apicoltore italiano deve investire soldi e tempo per far sì che il suo miele possa arrivare sulla tavola del consumatore seguendo le regole imposte dalla legge e garantendo la filiera. Regole, sia chiaro, più che giuste, ma ci chiediamo come mai le regole imposte al produttore italiano non siano le stesse cui un apicoltore argentino o con gli occhi a mandorla non si deve sottoporre per commercializzare in Italia? Noi non parliamo di protezionismo, sia ben chiaro, ma di regole, lo ripeto, uguali per tutti. Siamo convinti che su questo problema si giochi il futuro di tutta l’apicoltura italiana.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Senza fare tanti giri di parole è sicuramente l’Ape. E la nostra Associazione (APAM - Associazione Provinciale Apicoltori di Napoli), non vorrei sembrare immodesta ma le cose stanno esattamente così.
 
Ci racconti un episodio particolare legato alla sua attività.
Di episodi ce ne sono innumerevoli, ma ve ne racconterò uno che è molto divertente. Dovevamo presenziare con tutta la famiglia ad una cerimonia e per Filippo (mio fratello), come al solito, quando lavora in apiario, il tempo diventa un optional. Di mia iniziativa, visto che non arrivava, sono andata a sollecitarlo di persona, anche perché non rispondeva nemmeno al telefonino. Una volta sul posto, ho lasciato la giacca a terra, dove probabilmente c’era uno sciame. Al ritorno, dopo aver “prelevato” Filippo, con fare frettoloso, ho indossato la giacca. Ma ahimè! Dopo poco, proprio nei pressi di una lunga fila di macchine parcheggiate, con relativo autista e compagna in piacevole isolamento, ho cominciato a emettere grida: le api infilatesi sotto la giacca nera erano davvero tante, tanto che Filippo è stato costretto a fermare la macchina. Io sono scesa e mio fratello cercava di liberarmi della giacca e delle api. A quel punto, la curiosità e la disponibilità dei napoletani si è manifestata tutta e infatti alcune persone, avvicinatesi a noi, mi chiedevano: “Signorina, tutto bene? Ha bisogno di qualcosa?” e Filippo imbarazzato, arrossendo rispose: “Guardate che non è come credete, io sono il fratello e lei grida per le punture, le punture delle api.” A questo punto loro indignati. “Che vergogna! E’ un’indecenza! Ha anche il coraggio di raccontarci la favoletta?”.
 
Aspettative future della sua attività?
Visto che l’apicoltura è riuscita a tenere la famiglia unita, in quanto lavoriamo tutti nell’azienda, speriamo che la cosa continui ancora per tantissimo tempo e che le nuove leve, figli e nipoti, portino avanti lo splendido percorso, così ci sembra, iniziato da noi.
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Santina Nocerino
 
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