Speciale Apicoltori - n. 557, giugno 2006
Gli uomini dell'Apicoltura in Italia
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 • Dario Porcelli
Fare Apicoltura tra passione e impresa
di Massimo Ilari, Alessandro Tarquinio
 
 CARTA DI IDENTITÁ
 nome  Dario
 cognome  Porcelli
 età  25
 regione  Lazio
 provincia  VT
 comune  Bagnaia
 nome azienda  Tusciapi
inizio attività  2001
arnie  400
 apicoltura  Nomade e Stanziale
tipo di api  Apis Mellifera Ligustica
 tipo di miele  Millefiori
Eucalipto
Acacia
Girasole
Castagno
Sulla
Erba medica
 miele prodotto  150 quintali/anno
 
 • L'Intervista
 
Come ha iniziato l'attività di apicoltore?
Dopo il diploma, essendo mio padre già un esperto apicoltore, ho potuto intraprendere l’attività apistica avvalendomi della sua notevole esperienza. Un indiscutibile vantaggio, non c’è che dire, ma ciò non toglie che c’è sempre da imparare e da lavorare duro. E’ un mestiere che è fonte di costante apprendimento. Per me, all’inizio, è stata una sfida. L’ho accettata e oggi ne sono arcicontento.
 
Per quali motivi ha iniziato?
A parte mio padre che, come ho già ricordato, mi ha sempre parlato del meraviglioso mondo dell’ape, ho sentito sempre una forte passione per Madre Natura. Ai miei coetanei dico che si tratta certo di un lavoro duro ma è assai meglio lavorare a contatto con la Natura piuttosto che stare tutto il giorno in un ufficio, magari con la luce al neon che ti distrugge gli occhi. Devo dire, poi, che non è molto allettante stare sempre seduto su una sedia. Eppoi, se conosci le api non puoi non innamorartene. L’ape non ti delude mai. Anche l’attenta osservazione del suo comportamento sociale è in grado di trasferirci tanti insegnamenti. Al di sopra di tutto la solidarietà. Se l’umanità interiorizzasse il suo concetto di solidarietà sarebbe un altro mondo. Dunque, non solo miele ma tanti buoni principi. Infine, ho valutato anche il ritorno economico che questo lavoro offre a un giovane. Insomma, sono partito e continuo ad andare avanti molto convinto
 
Spesso gli apicoltori parlano di passione per l’ape, cosa significa?
Significa entrare nel mondo e nella biologia dell’ape e attraverso lei, sì avete capito bene la chiamo lei, come una persona, capire tutti i meccanismi della natura. Quando si sceglie di diventare apicoltore, camminando in un bosco o per strada si è più attenti a tutto. Si diventa più consapevoli di ciò che ci circonda. Del Creato.
 
Al di là della passione, si può vivere di sola apicoltura?
Guardi passione e reddito sono strettamenti interdipendenti. La ragione? Se hai l’ape nel cuore, la rispetti, la segui, sei attento al suo lavoro. Questo affetto assicura sicuramente una buona produzione. L’ape non è uno schiavo dal quale succhiare il miele, ma la nostra amica che ci offre ogni giorno preziosi frutti. Mi ripeto sino alla noia, seguire questa strada è redditizio per l’ape e l’apicoltore. Certo non mancano i problemi. Come sottacere che con l’avvento del mercato globale dobbiamo confrontarci e misurarci con miele che arriva da altri Paesi: le importazioni riducono il mercato interno e abbassano i costi. Il nostro futuro apistico sta nel produrre un miele sempre più di qualità. La qualità è un valore aggiunto, che permette di spuntare buoni prezzi anche all’ingrosso. Eppoi, la qualità superiore consente di realizzare preparati anche con gli altri prodotti dell’alveare: miele e pappa reale, miele e polline, ecc. In ogni caso è possibile ideare tanti altri integratori energetici che permettono di stare sul mercato in modo degno.
 
Dunque, il mestiere di apicoltore è una professione adatta anche ai giovani?
Si, se è condotta con certi criteri e con una deontologia sana. L’obiettivo finale è sempre quello di arrivare ad un prodotto perfetto sia dal punto di vista qualitativo sia dal punto di vista del marketing. E’ una nuova professione adatta ai giovani ma che richiede un grosso impegno perché la concorrenza è tanta, ed è difficile far capire al consumatore tutte le qualità del miele. Il segreto è mettere al primo posto la qualità. Posso sembrare monotono, ma da ciò non si può transigere. Come possiamo pensare di far avvicinare il consumatore al miele se poi gli forniamo un prodotto scadente. Noi lavoriamo secondo un disciplinare, “Tuscia Viterbese”. Un ringraziamento va alla Camera di Commercio che ha varato dei disciplinari rigorosi per ogni prodotto agricolo, compreso il miele. E’ una procedura di produzione sana, molto vicina al biologico.
 
Si presentano problemi di commercializzazione nella sua zona?
Dal punto di vista produttivo e di vendita non ci sono molti problemi. Il vero scoglio è il mercato globale, quando siamo costretti a confrontarci con la Cina, l’Argentina e i Paesi dell’Est non mancano le difficoltà.
 
Cosa pensa del mercato corto?
E’ una ottima opportunità che in futuro coglierò di certo. Ora, dal punto di vista logistico, mi trovo, con l’azienda, un po’ fuori mano e non ho la possibilità di fare molto mercato corto. Fra due anni, però, ho intenzione di cambiare sede e allora potrò abbracciare questa forma di commercializzazione. Il rapporto quotidiano con il consumatore è fondamentale. In futuro curerò anche l’aspetto didattico: l’apicoltura, se intendiamo far crescere il mercato, deve arrivare nelle scuole.
 
E il nomadismo come lo vede?
Ho una sicura considerazione. Dal punto di vista economico consente di incrementare la produzione e di immettere sul mercato diverse varietà di miele. Poi, diventando nomadisti si apprendono tante cose nuove sulle fioriture e sulle piante.
 
Allora, secondo lei, l’apicoltore deve essere anche un esperto botanico?
Senz’altro. Per avere le api in raccolta occorre portarle in una zona quando il fiore è già aperto e andare via prima che il fiore si chiuda. Se il nomadista non si interessa più da vicino al mondo delle piante rischia di avere dei raccolti grami e di fare tanta fatica per nulla. L’apicoltore deve essere anche un metereologo: conoscere l’andamento del clima rende più facile il mestiere di apicoltore.
 
Cosa direbbe agli apicoltori che usano antibiotici?
Non ci siamo. La qualità non si coniuga con l’antibiotico, un prodotto di sintesi che passa nel miele, un prodotto che ha effetti negativi anche sull’uomo. L’apicoltore, però, non va abbondonato a se stesso e deve usufruire di assistenza in caso di peste americana o di altre malattie. Se arriva la peste per un apicoltore non è facile poi riprendere e continuare ad andare avanti. Volevo anche sottolineare che si stanziano tanti soldi per i contributi in apicoltura ma si fa ben poco per la ricostruzione delle famiglie quando si è colpiti dalla peste.
 
Utilizza particolari tecniche che migliorano il suo lavoro in apiario?
Sicuramente possiamo dire che quando si diventa apicoltori professionisti l’aspetto principale è riuscire a standardizzare tutto, dal materiale alle arnie, in modo da andare sulle arnie quando vuole l’apicoltore, non l’ape. Quindi agire sui meccanismi e standardizzare ogni alveare in modo tale da andarci il meno possibile. Non possiamo correre ogni volta perché è scappato uno sciame o perché c’è una fioritura improvvisa.
 
Come lotta contro la varroa?
Sono quasi trenta anni che si parla di varroa, con tutti gli studi scientifici fatti credo che si è pensato quasi esclusivamente a intercettare fondi, senza risolvere il problema. Noi quest’anno su 400 alveari abbiamo avuto quasi 100 mortalità, qualcuno per fame. Le api sono morte con tutto il miele dentro, e non mi capacito cosa sia successo. Per la varroa uso prodotti come l’Apistan, l’Apiguard. L’Apilaif Var, i prodotti in commercio e autorizzati.
 
Cosa non funziona nel mondo apistico?
Soprattutto la ricerca, perché ancora oggi non è stato trovato nulla di risolutivo sulla varroa. Anzi, le patologie dell’alveare sembrano aumentare con gli anni, e non diminuire. La ricerca universitaria, secondo me, andrebbe portata avanti secondo degli obbiettivi ben precisi per aiutare l’apicoltore nella sua lotta quotidiana contro le patologie che colpiscono l’alveare. Non va bene puntare l’attenzione solo sulla ricerca pura, fatta per pubblicare semplicemente un articolo che serve al ricercatore nella sua carriera scientifica.
 
Cosa funziona nel mondo apistico?
Le api. E ritorno al concetto di solidarietà che loro ci trasmettono ogni giorno. Un esempio che dovremmo tenere ben stretto nel cuore. Un potente antidoto, questo, per quella chiusura che spesso contraddistingue noi apicoltori. Basta, è il momento di finirla di coltivare il proprio orticello. Che bello se ci fosse una banca dati di esperienze comuni, sarebbe un motivo di formazione e quindi anche un miglioramento di tutto il settore.
 
Cosa rappresentano per lei le api?
Le api sono la vita, non soltanto dal punto di vista biologico ma anche dal punto di vista economico. Dai loro meccanismi abbiamo molto da apprendere, anche come filosofia di vita.
 
Ci racconti un fatto particolare legato alla sua attività?
Tra i tanti, mi torna in mente l’episodio dei melari. Dopo aver caricato, insieme a mio padre, su un carrello della portata massima di 600 chili circa 1400 chili di melari, è capitato che mentre lo trasportavamo abbiamo preso un tronco e allora ci si è rovesciato il carrello a cento metri dall’alveare. Avevo il papà davanti e per la nuvola di api che era esplosa non riuscivamo a vederci, pur stando uno di fronte all’altro. Avevo una gran voglia di piangere, perché avevamo passato la mattinata a smielare e a carreggiare 80 - 90 melari per poi vederli, dopo l’incidente, ridotti a un mucchio, a una massa informe. Se non fosse stato presente mio padre mi sarei, forse, arreso. Come che sia, dopo esserci rialzati, piano piano, abbiamo cercato di riutilizzare e salvare le poche cose salvabili. Credo che queste sono le cose che trasformano l’apicoltore e che lo temprano.
 
Aspettative future della propria attività?
Assicurarmi un reddito in compagnia delle api e della natura.
 
 
 • Le immagini di questa intervista (click per visualizzare)
Dario Porcelli
 
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